Ammissibilità del meccanismo della continenza nei procedimenti introdotti con Rito Fornero

13 Marzo 2015

In caso di due procedimenti introdotti con il rito speciale, previsto dalla legge n. 92 del 28 giugno 2012, innanzi a diversi giudici, ciascuno territorialmente competente in base ad uno dei fori alternativi di cui all'art. 413 cpc, è legittima la dichiarazione di continenza del giudice adìto successivamente, sebbene i due procedimenti si trovino in fasi diverse, l'una sommaria e l'altra di opposizione, del medesimo grado, essendo contemporaneamente sussistente l'interesse ad agire del lavoratore e del datore di lavoro, che abbia introdotto per primo il giudizio di accertamento della legittimità del licenziamento, in pendenza del termine di decadenza per l'impugnazione del recesso datoriale.
Massima

In caso di due procedimenti introdotti con il rito speciale, previsto dalla legge n. 92 del 28 giugno 2012, innanzi a diversi giudici, ciascuno territorialmente competente in base ad uno dei fori alternativi di cui all'art. 413 cpc, è legittima la dichiarazione di continenza del giudice adìto successivamente, sebbene i due procedimenti si trovino in fasi diverse, l'una sommaria e l'altra di opposizione, del medesimo grado, essendo contemporaneamente sussistente l'interesse ad agire del lavoratore e del datore di lavoro, che abbia introdotto per primo il giudizio di accertamento della legittimità del licenziamento, in pendenza del termine di decadenza per l'impugnazione del recesso datoriale.

Il caso

Una dipendente della società ANAS Spa è stata licenziata: la società ha proposto, per prima, il ricorso innanzi al Tribunale di Roma in funzione di Giudice del lavoro, formulando una domanda finalizzata all'accertamento della legittimità del licenziamento, ed introdotta con il procedimento sommario previsto dalla L. 92/2012. La competenza territoriale è stata individuata dalla società ricorrente con riferimento alla propria sede legale, scelta del tutto legittima in base all'art. 413 comma 2 cpc; successivamente, la dipendente ha proposto il proprio ricorso, volto all'accertamento dell'illegittimità del licenziamento ed alla reintegrazione nel posto di lavoro nonché al risarcimento del danno, ma ha scelto di introdurre la propria domanda innanzi al Tribunale di Catanzaro in funzione di Giudice del lavoro, luogo in cui aveva sede l'ufficio presso il quale era addetta la dipendente.

Il Tribunale di Catanzaro, adito con il rito sommario di cui all'art. 1 comma 48 L. 92/2012, ha dichiarato la continenza della causa introdotta presso quel Tribunale nella controversia instaurata presso il Tribunale di Roma, ed ha quindi concesso un termine per riassumere la causa innanzi a quest'ultimo giudice. L'ordinanza di continenza è stata pronunciata nonostante le due controversie fossero in fasi differenti del medesimo grado, ossia l'una era in fase sommaria e l'altra si trovava in fase di opposizione, quindi a cognizione piena. Anche se non è specificato nell'ordinanza della Corte di Cassazione, sembra verosimile che, al momento dell'emissione dell'ordinanza di continenza, il Tribunale di Catanzaro – successivamente adito – stesse istruendo la causa in fase sommaria, mentre la controversia pendente innanzi al Tribunale di Roma avesse già superato la fase sommaria e si trovasse nella fase di opposizione.

Le questioni

I problemi affrontati dalla Suprema Corte sono sostanzialmente due.

1) Il datore di lavoro che agisca con il rito speciale di cui alla L. 92/2012 per l'accertamento della legittimità del licenziamento intimato ad un suo dipendente, ha interesse ad agire ai sensi dell'art. 100 cpc?

2) In caso di contemporanea pendenza di due procedimenti introdotti con lo speciale rito “Fornero” innanzi a giudici diversi, ma entrambi territorialmente competenti, è legittima la dichiarazione di continenza effettuata dal giudice adìto successivamente, in applicazione dell'istituto previsto dal codice di rito?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ha affermato che l'emanazione di un'ordinanza ai sensi dell'art. 39 comma 2° cpc in ipotesi di due procedimenti pendenti nel medesimo grado ma in fasi diverse, risulta del tutto ammissibile, tenuto conto che il legislatore ha costruito il cd. rito Fornero come un procedimento bifasico in primo grado: due le fasi, quella sommaria e quella a cognizione piena, unico il grado di giudizio. Al contrario, per i giudizi pendenti in gradi diversi, la giurisprudenza esclude la possibilità di una pronuncia di continenza (da ultimo, Cass. Sez. 3 – 6, n. 5455 del 10 marzo 2014; Cass. Sez. 3, n. 16446 del 15 luglio 2009); in tal caso l'unico rimedio praticabile per evitare un possibile contrasto di giudicati è quello della sospensione necessaria, di cui all'art. 295 cpc. L'opzione della Corte di Cassazione appare quindi evidente: il primo grado del giudizio instaurato con il ricorso ex art. 1 commi 47 e ss. della L. 92/2012 è unico, suddistinto in due fasi; così che tale tipologia di rito del tutto peculiare va inserita nel sistema processuale in modo da rispettarne la coerenza e gli orientamenti già consolidati.

Nel caso in esame, innanzi al Tribunale di Roma era stata inizialmente proposta la domanda di accertamento della legittimità del licenziamento, promossa dal datore di lavoro, e deve ritenersi che l'ambito di quel giudizio sia stato dilatato per effetto della costituzione della parte resistente, che dovrebbe aver formulato domanda riconvenzionale finalizzata ad ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro ed il risarcimento del danno. Pertanto, il Tribunale di Catanzaro ha dichiarato la continenza sulla base del fatto che la causa instaurata successivamente aveva il medesimo oggetto (impugnativa di licenziamento) ma ambito più ridotto (nel giudizio pendente innanzi al Tribunale di Roma vi era anche la domanda di accertamento negativo proposta dal datore di lavoro).

La lavoratrice ha quindi impugnato l'ordinanza del Tribunale di Catanzaro, proponendo regolamento di competenza ai sensi degli artt. 42 – 47 cpc. Le censure formulate dalla ricorrente hanno offerto alla Suprema Corte la possibilità di tornare sulla questione della dichiarazione di due contemporanei giudizi introdotti con rito Fornero innanzi a due diversi Tribunali, ed hanno nuovamente chiamato la Corte a pronunciarsi sul problema relativo alla sussistenza di un interesse ad agire ex art. 100 da parte del datore di lavoro che chieda l'accertamento della legittimità della propria comunicazione di risoluzione del rapporto. Le Sezioni Unite, con sentenza n. 17443 del 31 luglio 2014 (vedi il commento di Di Paola), hanno fornito una serie di tracce interpretative, nel cui solco si è inserita l'ordinanza in commento, sia pure con riferimento alla diversa ipotesi della continenza (Cass. SS.UU. n. 19674 del 18.9.2014, vedi il commento di Di Paola). E' utile evidenziare che il procedimento relativo al regolamento di competenza, nel caso in esame, era stato sospeso, in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite: la scelta di attendere un intervento di nomofilachia è risultata, in tale ipotesi, del tutto coerente, considerata la necessità di un'interpretazione sistematica delle norme che hanno introdotto il cd. rito Fornero, e la complessità di questioni come quella relativa all'interesse ad agire del datore di lavoro ed al paventato “abuso del diritto” da parte di quest'ultimo nel proporre il ricorso per l'accertamento della legittimità del licenziamento, al solo scopo di “scegliere” il Giudice competente facendo perno sul criterio della prevenzione.

Osservazioni

Occorre esaminare partitamente le questioni risolte dalla Corte di Cassazione.

La Corte, dopo aver delimitato in modo chiaro l'ambito della propria decisione, circoscritta alla verifica del presupposto della continenza, ha affermato che il procedimento per regolamento di competenza non può occuparsi dei profili processuali attinenti alla domanda proposta innanzi al giudice preventivamente adito. In tal modo, la Corte esclude di poter esaminare la censura relativa all'opponibilità dell'ordinanza, emessa dal Tribunale di Roma all'esito della fase sommaria del cd. rito Fornero, che ha deciso in rito il ricorso, senza emettere una decisione di accoglimento o di rigetto. Al di là della dichiarata inammissibilità della censura, ad avviso di chi scrive anche un'ordinanza conclusiva della fase sommaria, che si pronunci esclusivamente in rito, non può che essere opponibile ex art. 1 comma 49 L. 92/2012, dal momento che anche una decisione in rito ha incidenza immediata sulle posizioni delle parti (in quanto essa nega, nella sostanza, la stessa possibilità di fare ricorso al rito speciale di cui alla L. 92/2012); inoltre, se si escludesse la possibilità di proporre opposizione si negherebbe qualsiasi rimedio impugnatorio ad una decisione del genere, suscettibile, peraltro, di divenire definitiva (Cass. n. 10133 del 9.5.2014). La censura formulata dalla ricorrente alla Corte di Cassazione aveva lo scopo di evidenziare che l'opposizione all'ordinanza emessa all'esito della fase sommaria era stata proposta, dalla difesa della società datrice di lavoro, al solo scopo di radicare la competenza innanzi al Tribunale di Roma, sottraendola al Tribunale di Catanzaro. La questione rimanda alla problematica relativa alla competenza territoriale con riferimento alle controversie aventi ad oggetto impugnative di licenziamento, ed alle possibili difficoltà che può incontrare il lavoratore qualora, in base al criterio della prevenzione, la causa sia introdotta innanzi ad un Tribunale lontano dal suo luogo di residenza e di lavoro. Il problema esisteva già prima dell'introduzione dello speciale procedimento di cui alla L. 92/2012, e dipende dalla stessa formulazione dell'art. 413 cpc, che prevede una serie di fori alternativi; una soluzione praticabile, sostenuta all'indomani dell'ordinanza n. 3838 del 18 febbraio 2014, emessa dalla Corte di Cassazione (con cui è stata rimessa alle Sezioni Unite la questione relativa all'ammissibilità di ipotesi di litispendenza o continenza nel rito Fornero), potrebbe essere quella di prevedere un unico foro competente per i procedimenti ex lege Fornero, quello del luogo in cui si trova l'unità produttiva alla quale era addetto il lavoratore, come è previsto per le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. Tuttavia, pur potendosi in astratto giustificare una scelta legislativa di carattere eccezionale rispetto all'art. 413 cpc, rimarrebbe sempre un problema di compatibilità tra una norma che fissi una competenza territoriale unica per le sole controversie aventi ad oggetto l'impugnativa di licenziamento, e le altre controversie individuali di lavoro di cui all'art. 409 cpc; in altre parole, se la finalità deve essere quella di privilegiare la posizione della parte più debole, non si vede come tale esigenza non debba essere soddisfatta anche in tutti gli altri casi in cui il lavoratore sia una delle parti in causa.

Ad avviso della Suprema Corte, nell'ambito del giudizio per regolamento di competenza non possono nemmeno trovare ingresso le censure sollevate con riferimento alla persistenza dell'interesse ad agire del datore di lavoro per l'accertamento della legittimità del licenziamento intimato al lavoratore. E' noto che l'azione di accertamento negativo finalizzata alla declaratoria di legittimità del licenziamento era pacificamente ammessa, prima dell'entrata in vigore della L. 92/2012; il ricorso proposto ai sensi dell'art. 414 cpc trovava il suo fondamento nell'interesse del datore di lavoro alla definitività della sua decisione, che ha evidenti riflessi sull'organizzazione e sugli assetti economici dell'azienda. Pertanto in epoca un cui non era fissato un termine di decadenza per la proposizione del ricorso giudiziale (l'unico termine di decadenza era quello previsto per l'impugnativa stragiudiziale di licenziamento), si riconosceva l'interesse del datore di lavoro ad ottenere certezza circa la legittimità dell'atto di recesso (da ultimo, Cass. Sez. Lav., n. 7096 del 9 maggio 2012). Per effetto della modifica dell'art. 6 L. 604/1996, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 32 L. 183/2010, al termine di sessanta giorni per l'impugnativa stragiudiziale è stato aggiunto un altro termine di decadenza, di 270 giorni – successivamente ridotto a 180 con l'art. 1 comma 38 della L. 92/2012 – per la proposizione del ricorso giudiziale: ne deriva che la scelta datoriale di intimare il licenziamento si cristallizza e diviene non più suscettibile di essere rimossa, una volta che siano decorsi 240 giorni dalla comunicazione al lavoratore. Sulla base di tali elementi si è discusso circa la sussistenza dell'interesse ad agire del datore di lavoro, dal momento che il meccanismo delineato dal legislatore consente di pervenire ad una certezza circa la legittimità del licenziamento in un tempo relativamente breve. Si è quindi sostenuto che a seguito dell'introduzione del termine di decadenza per proporre l'impugnativa di licenziamento in sede giudiziale, il datore di lavoro non possa vantare un concreto interesse ad agire, dal momento che in breve tempo può sapere se l'atto di recesso è divenuto definitivo e non più impugnabile; di contro, si è affermato che dopo la ricezione dell'impugnativa stragiudiziale del licenziamento, il datore di lavoro vanta un vero e proprio interesse ad agire, per sapere se il licenziamento intimato è legittimo, tenuto conto che l'impugnativa stragiudiziale del lavoratore è propedeutica all'azione giudiziaria e che anche il datore di lavoro, come il lavoratore, ha diritto di rimuovere la situazione di incertezza relativa al rapporto di lavoro ed alla sua risoluzione.

Pur dovendosi cogliere la razionalità della scelta della Suprema Corte circa l'inammissibilità della disamina di un profilo processuale riguardante la domanda proposta innanzi al giudice preventivamente adito, l'approfondimento di tale aspetto processuale avrebbe contribuito a fare chiarezza su una questione fondamentale, quello della proponibilità del ricorso ex art. 1 commi 47 e ss. L. 92/2012 da parte del datore di lavoro. E' noto che, secondo un orientamento, il ricorso allo speciale procedimento introdotto dalla legge Fornero sarebbe ammesso solo per le impugnative di licenziamento, e non anche per le domande di accertamento della legittimità dell'atto di risoluzione datoriale; l'argomento testuale è ricavato dall'art. 1 comma 48, in base al quale le domande aventi ad oggetto l'impugnativa di licenziamento si propongono con ricorso al Tribunale in funzione di giudice del lavoro. Di contro, si è sostenuto che anche l'azione di accertamento negativo proposta dal datore di lavoro è domanda “avente ad oggetto l'impugnativa di licenziamento” in quanto in tale formula il legislatore ha voluto comprendere tutte le controversie riguardanti la legittimità della risoluzione del rapporto di lavoro. Sembra, tuttavia, che nel fatto stesso di ammettere il regolamento di competenza e decidere nel merito i ricorsi, la Corte di Cassazione abbia esplicitato una sua opzione per l'ammissibilità dell'azione del datore di lavoro volta all'accertamento della legittimità del licenziamento, e proposta nelle forme dello speciale procedimento di cui all'art. 1 commi 47 e ss. L. 92/2012; sembra possibile affermare che sia nel caso in esame, sia nell'ipotesi di litispendenza esaminata dalla precedente ordinanza delle Sezioni Unite (Cass. SS.UU. n. 17443 del 31 luglio 2014, vedi il commento di Di Paola), il presupposto su cui si fondano le pronunce della Suprema Corte consiste nel fatto che non è precluso al datore di lavoro il ricorso al rito speciale di cui all'art. 1 commi 47 e ss. L. 92/2012.

In proposito, se si muove dal presupposto che il rito introdotto con la legge 28 giugno 2012 n. 92 è ormai obbligatorio, e che non può farsi ricorso al rito ordinario di cui all'art. 414 cpc in quanto il legislatore non ha lasciato alla parte interessata la facoltà di scegliere tra il rito ordinario e quello speciale previsto per i licenziamenti, è evidente che anche il datore di lavoro è tenuto ad utilizzare il procedimento di cui all'art. 1 commi 47 e ss. della legge citata, qualora intenda ottenere una pronuncia di accertamento della legittimità del recesso.

Occorre inoltre evidenziare che negando il diritto di proporre l'azione di accertamento della legittimità del licenziamento per carenza di interesse ad agire, si precluderebbe al datore di lavoro la possibilità di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti. In sostanza, il datore di lavoro ha pur sempre, nel periodo successivo alla ricezione dell'impugnativa stragiudiziale di licenziamento, un interesse concreto all'accertamento della legittimità dell'atto di risoluzione del rapporto; non può utilizzare il rito ordinario di cui all'art. 414 cpc perché il legislatore ha costruito il rito Fornero come obbligatorio, allo scopo di garantire speditezza al procedimento e celerità di decisione; se gli fosse negata la possibilità di agire per ottenere un accertamento giudiziale circa la legittimità del licenziamento, si troverebbe privo di tutela, con possibile violazione dell'art. 24 Cost. Pertanto non sembra possibile concordare con chi afferma che il rito Fornero è limitato alle sole impugnative di licenziamento, anche se la tesi si fonda sulla lettera delle disposizioni di cui ai commi 47 e 48 L. 92/2012: per controversie aventi ad oggetto l'impugnativa di licenziamento si potrebbero intendere le sole cause introdotte dal lavoratore; tuttavia, più che l'argomento letterale, si deve far perno sulle argomentazioni di carattere sistematico e sulla necessità di ricercare una compatibilità del nuovo tipo di procedimento con l'intero impianto processuale e con i principi costituzionali.

Conclusioni

Con l'ordinanza in esame la Corte di Cassazione risolve la questione relativa alla continenza di cause, ritenendo nel caso di specie applicabile l'art. 39 comma 2° cpc, sebbene le due cause si trovassero in due fasi diverse del medesimo grado: non vi è lesione del diritto costituzionale di difesa qualora, per effetto della dichiarazione di continenza, l'attività istruttoria si svolga soltanto nella fase di opposizione, in quanto la fase istruttoria relativa al giudizio preventivamente instaurato sia stata ritenuta superflua dal giudice, che ha definito la fase sommaria con ordinanza in rito. In effetti, il punto più rilevante della decisione della Suprema Corte consiste proprio nell'aver ritenuto non decisivo il mancato espletamento dell'attività istruttoria nella fase sommaria. Se è vero che la perdita del doppio grado di giurisdizione non viola i principi costituzionali di uguaglianza e di diritto di difesa, è altrettanto indubitabile che, sul piano strettamente tecnico, non vi è perdita di un grado di giudizio qualora la prima decisione si risolva in una pronuncia in rito: il sistema processuale consente l'emanazione di una pronuncia di primo grado non preceduta da attività istruttoria che, a seguito di impugnazione, induca il giudice del successivo grado di giudizio a non condividere la pronuncia in rito ed a dover ammettere l'espletamento di attività istruttoria; ciò avviene anche per i giudizi a cognizione piena, con l'unico limite della necessità di rimessione della causa al primo giudice per ragioni di giurisdizione ovvero negli altri casi, tassativamente previsti dall'art. 354 cpc. Ne consegue che, sul piano sistematico, l'orientamento espresso dalla Corte ha contribuito ad inserire il procedimento introdotto dalla L. 92/2012 nel vigente sistema processuale, consentendo di avere qualche certezza in più circa la natura del procedimento in primo grado e l'applicazione al cd. rito Fornero di alcuni importanti istituti processuali, quali la litispendenza e la continenza di cause.

Guida all'approfondimento

P. Curzio, “Il nuovo rito per i licenziamenti” in “Flessibilità e tutele del lavoro. Commentario della legge 28 giugno 2012 n. 92” a cura di P. Chieco, Cacucci Editore

L. De Angelis, “Art. 18 dello Statuto dei lavoratori e processo: prime considerazioni", in Working Papers Massimo D'Antona, www.lex.unict.it

M. Biasi, “Rito Fornero, azione di accertamento datoriale della legittimità del recesso e molto più: parola alle Sezioni Unite”; commento a Cass. Sez. VI, n. 3838 del 2014 in ADL, 2014, vol. 19, fasc. 3, pagg. 714 e ss.

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