Applicabilità del Rito Fornero: il lavoratore non deve dimostrare il requisito dimensionale

La Redazione
10 Dicembre 2015

Con la sentenza n. 23073 dello scorso 11 novembre, la Corte di Cassazione precisa che ai fini dell'applicabilità del Rito Fornero spetta all'autorità giudiziaria il potere di qualificare la domanda in base al petitum sostanziale, senza che in capo al lavoratore licenziato si determini l'onere della specifica allegazione del requisito dimensionale che ne costituisce requisito di applicabilità.

Cass. sez. lav., 11 novembre 2015, n. 23073

A seguito della contestazione disciplinare relativa all'emissione di numerosi scontrini non fiscali e non seguiti dall'incasso delle relative somme, il lavoratore addetto ad un impianto sportivo con mansioni relative anche alle funzioni di cassa veniva licenziato per giusta causa. Il licenziamento veniva impugnato dal lavoratore che chiedeva al giudice l'accertamento e la declaratoria di nullità o annullabilità dello stesso, chiedendo la reintegrazione nel posto di lavoro oltre alla condanna della società al pagamento a sua favore della somma dovuta a titolo di indennità risarcitoria ai sensi dell'art. 18, comma 4, St. Lav., come novellato dalla l. n. 92/2012. La domanda del lavoratore veniva accolta in entrambi i gradi del giudizio di merito.

La società propone ricorso per la cassazione della pronuncia della Corte d'appello deducendo che con il ricorso introduttivo del giudizio la controparte non aveva allegato la riconducibilità della fattispecie all'ambito applicativo dell'art. 1, l. n. 92/2012, né tantomeno il requisito dimensionale che costituisce il presupposto per l'applicabilità del c.d. Rito Fornero.

I Giudici di legittimità ritengono infondata tale doglianza in quanto l'individuazione dei presupposti per l'applicabilità del Rito Fornero rientra nei poteri-doveri del giudice, il quale deve preliminarmente verificare la compatibilità della domanda con il rito e la tutela richiesti. Depone in tal senso anche la natura speciale del rito citato che non si caratterizza quale strumento di tutela delle ragioni del dipendente, bensì come tecnica di tutela finalizzata alla concentrazione dei tempi del giudizio e dei costi della giustizia. Il legislatore ha espresso tale concetto in modo esplicito nella formulazione della lettera della norma che non prevede alcuna facoltatività e dispone che “la domanda […] si propone con ricorso al tribunale […]”.

Il lavoratore licenziato non può dunque rinunciare allo specifico procedimento e conseguentemente, in virtù del principio iura novità curia, spetta all'autorità giudiziaria in via esclusiva il potere di qualificare la domanda in base al petitum sostanziale, senza che in capo al ricorrente si determini l'onere di specifica allegazione del requisito dimensionale che graverà invece sul datore di lavoro in senso negativo.

Con ulteriore motivo di ricorso, la società lamenta il vizio di extrapetizione in cui sarebbero incorsi i giudici di merito. Anche in tal caso la S.C. nega ogni fondamento alla censura in quanto il nuovo testo dell'art. 18 prevede una gradualità delle tutele in funzione del tipo di licenziamento accertato in giudizio secondo la qualificazione del giudicante. La giusta causa ed il giustificato motivo soggettivo di licenziamento sono infatti mere qualificazioni giuridiche di fatti materiali devolute all'apprezzamento del giudice e dunque, la domanda di dichiarazione di illegittimità del licenziamento per insussistenza della giusta causa, deve ritenersi comprensiva della declaratoria di illegittimità per giustificato motivo soggettivo, anche in assenza di una specifica domanda in tal senso.

In conclusione, la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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