Dimissioni del lavoratore: la chiusura della divisione aziendale non le giustifica

La Redazione
11 Gennaio 2016

Se il datore di lavoro procede, con scelta insindacabile nella sua discrezionalità in quanto espressione della libertà di iniziativa economica, alla chiusura di un reparto ed alla soppressione delle relative posizioni di lavoro, va escluso che la sottrazione di mansioni radicale e in via definitiva costituisca giusta causa di recesso. A ribadirlo è la Corte di Cassazione con sentenza n. 25384 del 17 dicembre 2015.

Se il datore di lavoro procede, con scelta insindacabile nella sua discrezionalità in quanto espressione della libertà di iniziativa economica, alla chiusura di un reparto ed alla soppressione delle relative posizioni di lavoro, va escluso che la sottrazione di mansioni radicale e in via definitiva costituisca giusta causa di recesso. A ribadirlo è la Corte di Cassazione con sentenza n. 25384 del 17 dicembre 2015.

Tale pronuncia trae origine dal giudizio promosso dal dipendente di un istituto di credito, assunto con inquadramento a livello di dirigente bancario, al quale era stato riconosciuto, oltre a vari benefit, un pacchetto di stock options per l'acquisto di azioni della società datrice. In seguito ad alcune complesse vicende societarie, il settore di attività al quale era addetto il ricorrente veniva chiuso e l'istituto avviava delle trattative con i lavoratori addetti per arrivare ad uno scioglimento consensuale incentivato dei rapporti di lavoro. Il ricorrente deduceva di aver ricevuto offerte d'incentivazione all'uscita e di averle rifiutate perché insufficienti e di essersi, quindi, dimesso per giusta causa: pertanto, conveniva in giudizio la società datrice al fine di ottenere il pagamento di somme a titolo di risarcimento del danno da demansionamento, bonus, indennità di preavviso, indennità supplementare, TFR, ratei ferie, festività e 13 mensilità, oltre alla conferma delle stock options concesse all'atto dell'assunzione. Nei primi due gradi di giudizio, le domande del lavoratore venivano respinte. Investiti della questione, i Giudici di legittimità ritengono esente da censure il ragionamento seguito dai giudici di merito nell'escludere che le dimissioni del lavoratore fossero assistite da giusta causa, la quale, come è noto, presuppone la sussistenza di un grave inadempimento in capo al datore di lavoro.

Concludendo, pertanto, per il rigetto integrale del ricorso del lavoratore, la Suprema Corte sostiene che «è da escludere che la sottrazione di mansioni radicale e in via definitiva costituisca giusta causa di recesso, così come che dalla descritta situazione sia derivato un danno da demansionamento al ricorrente e, altresì, l'esonero del medesimo dall'indennità sostitutiva del preavviso, della quale la Corte territoriale ha tenuto conto in relazione alle pretese globalmente vantate». Correttamente, dunque, è stato rilevato il carattere assorbente del mancato riconoscimento della giusta causa di dimissioni, anche con riferimento alle pretese attinenti alla liquidazione del trattamento di fine rapporto, all'omesso mantenimento delle stock options ed alla connessa pretesa risarcitoria. Per tali ragioni il ricorso del lavoratore viene integralmente rigettato.

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