L’opzione per l’indennità sostitutiva della reintegrazione estingue il rapporto lavorativo non appena comunicata al datore di lavoro

11 Febbraio 2015

Con riferimento al regime previsto dalla L. n. 300 del 1970, art. 18 (nel testo anteriore alle modifiche introdotte con la L. n. 92 del 2012), l'opzione, ai sensi del comma 5 stesso articolo, per l'indennità sostitutiva della reintegrazione estingue il rapporto lavorativo non appena comunicata al datore di lavoro, senza che debba intervenire il pagamento dell'indennità stessa e senza che permanga alcun obbligo retributivo per il periodo successivo, giacché la prestazione lavorativa non è più dovuta. Ne consegue che, in caso di inadempimento o ritardo nel pagamento della predetta indennità si applica il regime della mora debendi proprio delle obbligazioni pecuniarie del datore di lavoro, con applicazione dell'art. 429 c.p.c., c. 3, fatta salva la prova, di cui è onerato il lavoratore, di un danno ulteriore.
Massima

Con riferimento al regime previsto dalla L. n. 300 del 1970, art. 18 (nel testo anteriore alle modifiche introdotte con la L. n. 92 del 2012), l'opzione, ai sensi del comma 5 stesso articolo, per l'indennità sostitutiva della reintegrazione estingue il rapporto lavorativo non appena comunicata al datore di lavoro, senza che debba intervenire il pagamento dell'indennità stessa e senza che permanga alcun obbligo retributivo per il periodo successivo, giacché la prestazione lavorativa non è più dovuta. Ne consegue che, in caso di inadempimento o ritardo nel pagamento della predetta indennità si applica il regime della mora debendi proprio delle obbligazioni pecuniarie del datore di lavoro, con applicazione dell'art. 429, comma 3,c.p.c. fatta salva la prova, di cui è onerato il lavoratore, di un danno ulteriore.

Il caso

Con sentenza del 2010 la Corte di Appello di Roma, in riforma della pronuncia di primo grado, rigettava la domanda di un lavoratore – che in precedenza aveva ottenuto un ordine di reintegra nel posto di lavoro ex art. 18 St. Lav. nel testo anteriore alle modifiche introdotte con la L. n. 92 del 2012 – intesa ad ottenere la condanna del datore di lavoro a pagargli le retribuzioni maturate nell'intervallo di tempo compreso fra la data in cui aveva esercitato il diritto di opzione per le 15 mensilità di cui al comma 5 del cit. art. 18 (nel testo all'epoca vigente) e il momento in cui tale indennità gli era stata in concreto versata.
Il lavoratore ricorreva in Cassazione lamentando la violazione e falsa applicazione dell'art. 18, commi 4 e 5, St. Lav., degli artt. 12 e 14 preleggi e degli artt. 1285 e 1286 c.c., per avere l'impugnata sentenza aderito all'orientamento giurisprudenziale espresso dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 3775 del 2009 - ai sensi del quale la manifestazione dell'opzione per il pagamento di 15 mensilità in luogo della reintegra nel posto di lavoro estingue il rapporto alla data stessa della manifestazione di volontà del lavoratore, pur se l'azienda non gli ha ancora versato l'indennità - nonostante il contrario indirizzo interpretativo (ossia quello accolto dalla pronuncia di prime cure, favorevole al ricorrente) prevalente nella giurisprudenza di legittimità, sia prima che dopo la citata sentenza n. 3775 del 2009, e fosse altresì condiviso da Corte Cost. n. 81 del 1992.

La questione

La questione controversa riguarda la sussistenza o meno del diritto al riconoscimento, in favore del lavoratore, delle somme richieste a titolo di risarcimento per l'illegittimo licenziamento ex art. 18, comma 4, L. n. 300 del 1970, dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettivo pagamento dell'indennità, ex art. 18, comma 5, St. Lav. (con riferimento al testo vigente prima della novella introdotta dalla L. n. 92 del 2012).

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte con la sentenza in esame ha dato continuità all'orientamento espresso nelle recenti pronunce n. 18353 e n. 18354 del 27 agosto 2014 delle Sezioni Unite, con le quali è stato posto fine ad uno dei dibattiti giurisprudenziali più accesi degli ultimi anni.
La questione in rilievo ha ad oggetto la L. 20 maggio 1970 n. 300, art. 18, comma 5, che, nel testo introdotto dalla legge 11 maggio 1990 n. 108 e prima della riforma introdotta dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, disciplinava un nuovo istituto, ossia l'indennità sostitutiva della reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato, non previsto nella formulazione originaria della disposizione del 1970. La disposizione appena menzionata, prima della novella del 2012, sanciva che: “Fermo restando il diritto al risarcimento del danno così come previsto al quarto comma, al prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore di lavoro non abbia ripreso il servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il pagamento dell'indennità di cui al presente comma, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti”.
Giova rilevare, ai fini di una maggiore esaustività, che l'istituto è rimasto associato alla tutela reintegratoria anche nel contesto della recente riforma di cui alla L. n. 92 del 2012, che ne ha solo rimaneggiato la disciplina anche se il suo ambito di applicazione si è ridotto come conseguenza del restringimento dell'area della tutela reintegratoria nei confronti del licenziamento illegittimo. La nuova formulazione dell'art. 18, comma 3, è la seguente: “Fermo restando il diritto al risarcimento del danno come previsto al comma 2, al lavoratore è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non è assoggettata a contribuzione previdenziale. La richiesta dell'indennità deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, o dall'invio del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione”. Disposizione questa che va integrata con quella del terzo periodo del nuovo comma 1, del medesimo art. 18: “A seguito dell'ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso il servizio entro trenta giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l'indennità di cui al terzo comma del presente articolo”.
Ebbene, non solo l'insorto contrasto di giurisprudenza, ma anche la stessa riforma del 2012, che si pone in linea di continuità con la formulazione previgente dell'istituto, hanno giustificato una rivisitazione della complessiva questione interpretativa affidata alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
La formulazione del 1990 dell'art. 18, comma 5, rileva la Corte, ha posto un interrogativo di fondo.
La norma appena citata, infatti, risultava carente in quanto esauriva la disciplina legislativa nell'indicare la finalità sostitutiva dell'indennità, senza regolare espressamente i suoi effetti. In particolare, tale disposizione nulla disciplinava in merito a quando il rapporto di lavoro potesse considerarsi risolto per effetto dell'esercizio da parte del lavoratore della facoltà di scelta dell'indennità sostitutiva della reintegrazione; né quando cessava l'obbligo del datore di lavoro di corrispondere l'indennità risarcitoria a compensazione del danno per il licenziamento illegittimo.
Dopo poco più di un anno dall'entrata in vigore della L. n. 108 del 1990, che, come detto, aveva introdotto l'indennità sostitutiva della reintegrazione, la Corte Costituzionale con sentenza 4 marzo 1992, n. 81 ha affermato che “il rapporto non cessa per effetto della dichiarazione di scelta del lavoratore, come si dovrebbe pensare se essa avesse la valenza di dichiarazione di recesso, bensì solo al momento e per effetto del pagamento dell'indennità sostitutiva”. Di conseguenza, come affermato dalle successive pronunce della Corte di Cassazione, “fino a quando il datore di lavoro non corrispondeva l'indennità sostitutiva rimaneva la garanzia del perdurante ordine di reintegrazione e soprattutto del connesso obbligo di corrispondere l'indennità risarcitoria a compensazione del danno da licenziamento illegittimo” (ex plurimis Cass., Sez. Lav., 28 luglio 2013, n. 11609).
Ben presto, tuttavia, la giurisprudenza di legittimità si è discostata dalla pronuncia della Corte Costituzionale e si è diversamente orientata. Possono, infatti, distinguersi tre diverse ricostruzioni giurisprudenziali.
La prima, quella tradizionale, fondata essenzialmente sulla ricostruzione della sentenza n. 81 del 1992 della Corte Costituzionale, afferma che l'ordine di reintegrazione e con esso il rapporto di lavoro si estinguono solo con il pagamento dell'indennità sostitutiva; quindi, nel periodo dall'esercizio dell'opzione all'effettivo pagamento dell'indennità sostitutiva sono dovute dal datore di lavoro al lavoratore le retribuzioni, ovvero l'indennità risarcitoria commisurata alle retribuzioni (ex multis Cass., sez. lav., 28 luglio 2003, n. 11609; 16 marzo 2009, n. 6342; 19 marzo 2010, n. 6735; 17 settembre 2012, n. 15519).
La seconda, quella tradizionale “rettificata”, formatasi a partire dal 2009, discostandosi dalla Corte Cost. n. 81 del 1992, enuncia che l'ordine di reintegrazione e con esso il rapporto di lavoro si estinguono con la dichiarazione (recettizia) del lavoratore di opzione in favore dell'indennità sostitutiva, quindi nel periodo dall'esercizio dell'opzione all'effettivo pagamento dell'indennità sostitutiva sono dovute dal datore di lavoro al lavoratore le retribuzioni ovvero l'indennità risarcitoria commisurata alle retribuzioni (ex multis Cass., sez. lav., 17 febbraio 2009, n. 3775; 16 novembre 2009, n. 24199; 30 novembre 2009, n. 25233; 23 dicembre 2009, n. 27147; 21 novembre 2012, n. 20420; 27 novembre 2012, n. 21010; 3 gennaio 2013, n. 41).
La terza, quella più recente, discostandosi completamente dalla pronuncia già citata della Corte Costituzionale, statuisce che l'ordine di reintegrazione e con esso il rapporto di lavoro si estinguono con la dichiarazione (recettizia) di opzione in favore dell'indennità sostituiva, di conseguenza, nel periodo dall'esercizio dell'opzione all'effettivo pagamento dell'indennità sostituiva il ritardato adempimento del datore di lavoro trova la sua regolamentazione nella disciplina dell'inadempimento dei crediti pecuniari del lavoratore, interessi legali e rivalutazione monetaria (ex multis Cass., sez. lav., 20 settembre 2012, n. 15869; 25 settembre 2012, n. 16228; 28 gennaio 2013, n. 1810; 24 maggio 2013, n. 12923).
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno aderito a quest'ultimo e più recente orientamento, così componendo l'insorto contrasto giurisprudenziale.
Secondo la Corte l'operazione ermeneutica da compiere per affermare la risoluzione del rapporto con l'esercizio dell'opzione, comunicata dal lavoratore al datore di lavoro, muove all'interno del processo.
La pronuncia del giudice di condanna del datore di lavoro a reintegrare nel posto di lavoro il lavoratore illegittimamente licenziato è una pronuncia provvisoriamente esecutiva alla quale il datore di lavoro deve dare ottemperanza. Tuttavia, qualora il lavoratore eserciti l'opzione per l'indennità sostitutiva non si innesta alcuna facoltà alternativa nell'ottemperanza dell'ordine del giudice, così mutato nell'oggetto, perché dal momento in cui l'opzione del lavoratore è comunicata al datore di lavoro, e quindi è efficace, l'ottemperanza all'ordine di reintegra è possibile solo con la corresponsione dell'indennità sostitutiva. Questo giacché, spiega la Corte, il datore di lavoro non può più dare esecuzione all'ordine del giudice pretendendo che il lavoratore riprenda il servizio, così come il lavoratore, in ipotesi reintegrato, non può più pretendere il pagamento dell'indennità sostitutiva.
I giudici di legittimità rilevano, quindi, che l'istituto in esame attiene alla disciplina dell'esecuzione provvisoria della sentenza che rechi l'ordine di reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato.
Inoltre, proseguono le Sezioni Unite, l'orientamento tradizionale, ai sensi del quale la permanenza fino al pagamento dell'indennità sostitutiva del rapporto di lavoro con l'ordine di reintegrazione emesso dal giudice e dell'obbligazione avente ad oggetto l'indennità risarcitoria, ha una sua incoerenza interna.
L'incoerenza risulta nella configurazione di un rapporto di lavoro, ricostituito con l'ordine di reintegrazione ed asseritamente ancora esistente pur dopo l'esercizio dell'opzione da parte del lavoratore, in cui il sinallagma sarebbe completamente paralizzato: il datore di lavoro non può più pretendere la prestazione lavorativa e il lavoratore non può pretendere la controprestazione della retribuzione. Insomma, aggiunge la Suprema Corte, sarebbe privo di causa un rapporto di lavoro che rimarrebbe esistente a tempo indefinito, quando né il lavoratore è tenuto ad effettuare la prestazione lavorativa né il datore di lavoro può pretenderla. In breve, il rapporto di lavoro e con esso l'obbligo di reintegrazione cessano con la comunicazione dell'opzione del lavoratore in favore dell'indennità sostitutiva.
In conclusione, le Sezioni Unite affermano il seguente principio di diritto: “Ove il lavoratore illegittimamente licenziato in regime di c.d. tutela reale - quale è quello, nella specie applicabile ratione temporis, previsto dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, nel testo precedente le modifiche introdotte con la L. 28 giugno 2012, n. 92 - opti per l'indennità sostitutiva della reintegrazione, avvalendosi della facoltà prevista dall'art. 18 cit., comma 5, il rapporto di lavoro si estingue con la comunicazione al datore di lavoro di tale opzione senza che permanga, per il periodo successivo in cui la prestazione lavorativa non è dovuta dal lavoratore né può essere pretesa dal datore di lavoro, alcun obbligo retributivo”. A ciò consegue che “l'obbligo avente ad oggetto il pagamento di tale indennità è soggetto alla disciplina della mora debendi in caso di inadempimento, o ritardato adempimento, delle obbligazioni pecuniarie del datore di lavoro, quale prevista dall'art. 429 c.p.c., comma 3, salva la prova, di cui è onerato il lavoratore”.

Osservazioni

Alle considerazioni sin qui svolte si deve aggiungere che la nuova disciplina dell'indennità sostitutiva, introdotta dalla L. n. 92 del 2012, è essenzialmente “confermativa” di quella previgente. Infatti, il legislatore del 2012, pur riformando la c.d. tutela reale frammentando l'originario unico regime della reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato in quattro diversi tipi di tutela, ha però confermato, quanto alla tutela reintegratoria, l'istituto dell'indennità sostitutiva della reintegrazione, non senza dettare una previsione espressa sia quanto ai termini che quanto al momento della risoluzione del rapporto.
Quanto ai termini, il novellato art. 18, comma 3, prevede che la richiesta dell'indennità deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, o dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione; regolamentazione questa che è conforme all'interpretazione prevalsa in giurisprudenza della previsione (meo chiara) dell'art. 18, precedente comma 5. Ciò mostra come l'intento del legislatore sia stato quello di chiarire e confermare l'esistente e non già di innovare.
Anche l'ulteriore previsione dell'art. 18, comma 3, secondo cui la richiesta dell'indennità sostitutiva determina la risoluzione del rapporto di lavoro è meramente chiarificatrice e confermativa della disciplina precedente.
In questo contesto, può leggersi come confermativa della previgente disciplina anche la circostanza che il legislatore non abbia introdotto alcuna specifica misura rafforzativa dell'ordinaria sanzione dell'obbligazione pecuniaria in cui si è convertita, per scelta del lavoratore, l'obbligazione di reintegrazione nel posto di lavoro quale oggetto della pronuncia del giudice che abbia accertato l'illegittimità del licenziamento in regime di tutela reale. Se il datore di lavoro ritarda la corresponsione dell'indennità integrativa, c'è la mora debendi con conseguente applicazione dell'art. 429 c.p.c., comma 3, salva la risarcibilità del danno ulteriore rispetto a quello coperto dagli interessi moratori ove il lavoratore ne offra la prova; danno riferito al periodo successivo alla risoluzione del rapporto, causato dal ritardo nell'adempimento, e non già danno riferito al periodo precedente e causato dall'illegittimo licenziamento.
In conclusione, si rileva che il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite e confermato dal dictum in esame, sebbene sia stato formulato in giudizi aventi ad oggetto licenziamenti intimati prima della novità legislativa del 2012, possa essere applicato anche al novellato art. 18, così da impedire l'insorgenza di nuove questioni su una disciplina evidentemente chiarificatrice.

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