In tema di rappresentatività sindacale, dalla lettura coordinata della legge 20 maggio 1970 n. 300, artt. 19 e 20, si desume che il combinato disposto degli artt. 4 e 5 dell'Accordo Interconfederale del 1993 (istitutivo delle RSU) deve essere interpretato nel senso che il diritto di indire assemblee rientra tra le prerogative attribuite non solo alla RSU considerata collegialmente, ma anche a ciascun componente della RSU stessa, purché questi sia stato eletto nelle liste di un sindacato che, nell'azienda di riferimento, sia, di fatto, dotato di rappresentatività ai sensi dell'art. 19 cit., quale risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 231 del 2013.
Massima
In tema di rappresentatività sindacale, dalla lettura coordinata della legge 20 maggio 1970 n. 300, artt. 19 e 20, si desume che il combinato disposto degli artt. 4 e 5 dell'Accordo Interconfederale del 1993 (istitutivo delle RSU) deve essere interpretato nel senso che il diritto di indire assemblee rientra tra le prerogative attribuite non solo alla RSU considerata collegialmente, ma anche a ciascun componente della RSU stessa, purché questi sia stato eletto nelle liste di un sindacato che, nell'azienda di riferimento, sia, di fatto, dotato di rappresentatività ai sensi dell'art. 19 cit., quale risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 231 del 2013.
Il caso
Il componente della RSU di una O.S. non firmataria del CCNL né di altro contratto collettivo applicato in Azienda indiva – ai sensi dell'art. 20, L. 300/1970 – un'assemblea dei lavoratori di una divisione aziendale per il giorno 21.10.2013. L'Azienda aveva negato la concessione dei locali in quanto l'assemblea era stata indetta non dalla RSU nel suo complesso ma dal singolo componente della stessa, afferente peraltro ad una sigla sindacale non firmataria del CCNL. La O.S. lamentava che tale rifiuto aveva realizzato una condotta antisindacale da rimuovere. Il Tribunale di Roma, con decreto del 3 dicembre 2013, aveva respinto il ricorso. Tale decisione veniva quindi opposta dalla O.S.
La questione
Le questioni in rilievo sono le seguenti:
il diritto ad indire l'assemblea spetta o meno al singolo rappresentante della RSU?
in caso affermativo, tale diritto spetta indipendentemente dall'essere la O.S. dotata o meno di rappresentatività ai sensi dell'art. 19, L. 300/1970, quale risultante dalla sentenza della Corte Costituzione n. 231/2013?
Le soluzioni giuridiche
Con riguardo alla prima problematica, la Corte di Cassazione ha in passato affermato che “Va esclusa l'antisindacabilità della condotta del datore di lavoro che non consenta lo svolgimento di assemblee dei lavoratori indette dalla sola componente [omissis] della rappresentanza sindacale unitaria costituita presso l'unità produttiva” (Cass., sez. lav., 26 febbraio 2002, n. 2855, in Foro it., 2002, I, 1356). Ed infatti, come evidenziato nella motivazione di detta sentenza, “non può farsi discendere direttamente dal combinato disposto dell'art. 20 St. Lav. e dall'Accordo Interconfederale sulla costituzione delle r.s.u. del 20/12/93 il diritto della singola r.s.u. alla richiesta di convocazione assembleare”. A tale orientamento, si è contrapposto quello espresso da Cass. civ., sez. lav., 1 febbraio 2005, n. 1892, secondo cui “L'autonomia contrattuale collettiva può prevedere organismi di rappresentatività sindacale in azienda (quali, nella specie, le rsu di cui all'accordo interconfederale del 20 dicembre 1993) diversi rispetto alle rappresentanze sindacali aziendali di cui all'art. 19 l. 20 maggio 1970 n. 300 e alle prime può assegnare prerogative sindacali - quale il diritto di indire l'assemblea sindacale - non necessariamente identiche a quelle delle rsa, con il limite, previsto dall'art. 17 L. n. 300/1970, del divieto di riconoscere ad un sindacato un'ingiustificata posizione differenziata che lo collochi quale interlocutore privilegiato del datore di lavoro”. Detto principio di diritto è stato ripreso più recentemente anche da Cass. civ., sez. lav., 31 luglio 2014, n. 17458 e Cass. civ., sez. lav., 16 ottobre 2014, n. 21931. Sulla scorta dei predetti orientamenti, la giurisprudenza di merito si è divisa nettamente tra le due posizioni (cfr., tra le tante, Corte d'Appello di Roma, sent. n. 4557/2012, la quale ammette l'indizione solo in caso di richiesta della RSU quale organo collegiale, versus Corte d'Appello di Bologna, sent. n. 928/2011, che ha confermato l'antisindacalità del comportamento del datore di lavoro il quale non concede i permessi retribuiti ed i locali aziendali in caso di indizione dell'assemblea da parte del singolo rappresentante in seno dalla RSU). Di recente ed a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 231/2013 – che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 19, primo comma, lettera b), L. 300/1970 nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell'ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell'unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell'azienda – si è sviluppato un orientamento “mediano” tra i due sopra esaminati secondo il quale il diritto di indire assemblee rientra tra le prerogative attribuite anche a ciascun componente della RSU purché questi sia stato eletto nelle liste di un sindacato che, nella azienda di riferimento, sia, di fatto, dotato di rappresentatività ai sensi dell'art. 19 cit., quale risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 2013 (Cass. civ., sez. lavoro, 7 luglio 2014, n. 15437). Secondo tale pronuncia, quindi, il singolo rappresentante in seno alla RSU può indire l'assemblea purché il sindacato di riferimento abbia sottoscritto un contratto collettivo applicato nell'unità produttiva o abbia partecipato alla relativa negoziazione o abbia una rappresentatività tale da non potersene giustificare l'esclusione dalle trattative. La sentenza in commento ha ritenuto di aderire a tale ultimo orientamento, rilevando che “la Corte di Cassazione non ha allargato indiscriminatamente le prerogative sindacali a tutte le OO.SS, ma esclusivamente alle OO.SS. dotate di una effettiva rappresentatività sindacale sulla base dell'elemento considerato determinante dalla Corte Costituzionale, cioè la partecipazione alle trattative per la stipula dei contratti”. La sentenza continua evidenziando che “la partecipazione alle trattative diventa lo strumento di misurazione della forza di un sindacato e, di riflesso, della sua rappresentatività [omissis]. Tanto premesso, con riferimento al caso in esame, deve rilevarsi che la convenuta ha eccepito che la [omissis] non è firmataria di nessun contratto collettivo applicato da [omissis] e non ha mai partecipato alle trattative per la sottoscrizione dello stesso”. Conseguentemente, non risultando la O.S. firmataria di alcun contratto collettivo, in applicazione dell'orientamento “inaugurato” da Cass. civ., sez. lavoro, 7 luglio 2014, n. 15437, il Tribunale ha respinto l'opposizione della O.S., confermando il decreto opposto.
Osservazioni
La sentenza commentata, pur nell'apprezzabile rigore logico con il quale applica al caso di specie il principio di diritto fissato dalla recente sentenza della Suprema Corte n. 15437/2014, supera l'orientamento (che a parere dello scrivente appare più conforme alla volontà delle parti consacrata nell'Accordo Interconfederale del 20 dicembre 1993 ed alla natura collegiale della RSU) secondo cui il diritto di indire l'assemblea spetta esclusivamente alla RSU nel suo complesso. Infatti, la motivazione della Suprema Corte nella sentenza n. 15437/2014 (cui il Tribunale aderisce), così come quella di tutte le sentenze che ritengono applicabile il principio per cui il diritto di indizione dell'assemblea spetta anche al singolo componente della RSU, è poggiata su un postulato che non appare condivisibile: “delle RSU non è predicata la natura di organismi a funzionamento collegiale, sicché non vi è ragione per non ritenere che alle RSU siano state pattiziamente riconosciute le prerogative sindacali delle RSA tutte, cioè sia quelle riferibili alla singola RSA, sia quelle attribuite ai suoi dirigenti” (Cass. civ., n. 15437/2014). In realtà, tale affermazione non sembra persuasiva, in quanto vari sono gli elementi che depongono nel senso della natura collegiale della RSU. Si considerino, ad esempio: l'art. 6 dell'Accordo del 20 dicembre 1993, che prevede la decadenza della RSU nel caso in cui si verifichino dimissioni per oltre il 50% dei suoi componenti; l'art. 7 del medesimo Accordo, secondo il quale le decisioni su materia di competenza delle RSU sono assunte in base a criteri definiti dalle stesse organizzazioni stipulanti l'Accordo del 1993; le modalità di elezione a suffragio universale (che confermano come la RSU sia da considerarsi espressione dell'intera collettività aziendale o dell'intera struttura che l'ha eletta, e non espressione di questa o di altra organizzazione sindacale come erano invece le RSA); la circostanza che ai fini dell'elettorato passivo non è richiesta la iscrizione alle organizzazioni sindacali che presentano le liste. Del resto, occorre distinguere tra diritti sindacali di pertinenza dei dirigenti e diritti di pertinenza dell'organismo considerato nel suo complesso. L'art. 19 dello Statuto dei Lavoratori, infatti, incardina il diritto ad indire l'assemblea non in capo ai singoli dirigenti, ma alla RSA, cioè un organismo collegiale. Inoltre, il subentro della RSU alla RSA, così come quello tra i componenti di detti organismi, avviene in forza di due distinti articoli dell'Accordo Interconfederale, gli artt. 4 e 5. Mentre l'art. 4 si riferisce ai componenti delle r.s.u. i quali “subentrano ai dirigenti delle r.s.a. nella titolarità di diritti, permessi, libertà sindacali e tutele già loro spettanti per effetto delle disposizioni di cui al titolo terzo della legge n. 300/1970”, l'art. 5 riguarda la RSU che “subentrano alle r.s.a. ed ai loro dirigenti nella titolarità dei poteri e nell'esercizio delle funzioni ad essi spettanti per effetto di disposizioni di legge”. Per cui, al fine di salvaguardare la validità di entrambe le predette clausole contrattuali ed ai sensi degli artt. 1363 e 1367 c.c. (per cui le clausole si interpretano le une per mezzo delle altre o ciascuna, nel dubbio, deve essere interpretata come se avesse un qualche effetto suo proprio), diviene inevitabile affermare una sostituzione “in parallelo”, per cui la RSU quale soggetto collegiale subentra alla RSA nei diritti esercitabili da quest'ultima (art. 5) mentre i singoli componenti della RSU subentrano nelle prerogative spettanti ai singoli dirigenti della RSA (art. 4). Diversamente, le due clausole contrattuali avrebbero un oggetto coincidente (entrambe cioè prevedrebbero il subentro dei componenti della RSU in tutti i diritti prima spettanti o alla RSA collegialmente intesa o ai singoli dirigenti) e, quindi, l'una o l'altra sarebbe invalida. Ciò posto, in ogni caso la sentenza in commento è correttamente motivata in ordine alle applicazioni concrete del principio di diritto fissato da Cass. civ., sez. lavoro, 7 luglio 2014, n. 15437. Infatti, il Supremo Collegio, come si evince da un esame del principio di diritto e dalla relativa motivazione, non ha inteso consentire l'accesso indiscriminato di tutte le rappresentanze sindacali (quand'anche esse abbiano eletto uno o più rappresentanti in seno alla RSU) al diritto di indizione dell'assemblea, ma ha voluto operare un bilanciamento delle posizioni alla luce degli ultimi arresti della Corte Costituzionale in tema di rappresentatività sindacale (cfr. Corte costituzionale n. 231/2013). Infatti, la Corte di Cassazione ha ritenuto di superare l'orientamento più rigoroso – secondo cui il diritto di indire l'assemblea era posto in capo alla sola RSU nel suo complesso (cfr. Cass. 26 febbraio 2002 n. 2855 e Cass. 20 aprile 2002 n. 5765) – in quanto detto orientamento era asseritamente fondato su un criterio di rappresentatività ancorato al dettato letterale dell'art. 19, L. n. 300/1970 (per cui la rappresentatività era formalmente collegata alla sottoscrizione di un contratto collettivo applicato nell'unità produttiva). I recenti contrasti delle OO.SS. confederali e, soprattutto, la possibilità che il sindacato maggiormente rappresentativo in alcune aziende venisse escluso dalla possibilità di godere dei diritti previsti dal Titolo Terzo dello Statuto dei Lavoratori hanno fornito alla Corte Costituzionale la “spinta propulsiva” ad abbandonare il suddetto criterio di rappresentatività “formale” per aderire ad uno “sostanziale”, concludendo per “l'illegittimità costituzionale dell'articolo 19, primo comma, lettera b), della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell'ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell'unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell'azienda” (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 231/2013). La Suprema Corte, estendendo tale principio di rappresentatività al diritto di indire l'assemblea nell'ambito della RSU, ha inteso superare il precedente orientamento non per estendere indiscriminatamente prerogative sindacali a tutte le OO.SS., ma esclusivamente alle OO.SS. dotate di una effettiva rappresentatività sindacale sulla base dell'elemento considerato determinante dalla Corte Costituzionale, cioè la partecipazione alle trattative per la stipula dei contratti. Né l'aver eletto un rappresentante in seno alla RSU è sufficiente ad avere tale rappresentatività o ad acquisire il diritto di essere convocati alle trattative. Infatti, come recentemente ribadito anche dal Tribunale di Roma (decreti del 16.9.2014 e 30.10.2014), non sussiste nel nostro ordinamento un obbligo a trattare per il datore di lavoro con un sindacato richiedente, per cui l'esclusione di una o più sigle sindacali è illegittima solo quando appaia non giustificabile alla luce della loro concreta rappresentatività (nel senso che il consenso raccolto in seno all'azienda è talmente forte e radicato da “imporre” sostanzialmente al datore di lavoro la loro partecipazione al tavolo). Per cui, se il singolo componente in seno alla RSU afferisce ad una O.S. non firmataria del contratto collettivo applicato dall'azienda e non avente il requisito della rappresentatività ai sensi dell'art. 19 alla luce della sentenza n. 231/2013 della Corte Costituzionale, non spetterà il diritto ad indire l'assemblea.
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