Accesso al fascicolo personale del dipendente: ricorso al Garante o al giudice?
La Redazione
11 Aprile 2016
La Cassazione, con sentenza n. 6775 del 7 aprile 2016, stabilisce che, in materia di trattamento dei dati personali, l'alternatività tra ricorso amministrativo e ricorso giudiziale può applicarsi solo a quelle domande che, contestualmente pendenti davanti a più giudici, potrebbero in via generale essere assoggettate al regime processuale della litispendenza o della continenza.
Cass. sez. lav., 7 aprile 2016, n. 6775
La ricorrente, trasferita a nuovo servizio per motivi di salute, otteneva giudizi critici nelle proprie schede di valutazione laddove prima del trasferimento erano sempre stati positivi. Contestava, quindi, tali valutazioni sfavorevoli, chiedendo ripetutamente di poter accedere al proprio fascicolo personale al fine di conoscere le motivazioni poste alla base delle schede di valutazione.
Non avendo il datore di lavoro fornito alcuna risposta, la ricorrente si era rivolta al Garante per la privacy che, dopo un primo invito ad ottemperare spontaneamente alla richiesta, ordinava alla società di mettere a disposizione il fascicolo richiesto.
Rilevato il mancato adempimento dell'azienda ai provvedimenti del Garante, la lavoratrice proponeva ricorso in sede giurisdizionale denunciando tale inottemperanza, reiterando la richiesta di messa a disposizione di tutti i dati personali, ovunque conservati, nonché quella di chiarimenti sui criteri di formazione dei fascicoli personali dei dipendenti. Chiedeva, inoltre, la condanna della datrice di lavoro al risarcimento dei danni ai sensi degli artt. 9, 18, 29, co. 9 e 37 della L. n. 675/1996.
I giudici di merito respingevano le istanze della lavoratrice, che ricorreva in Cassazione.
Accogliendo il quinto motivo del ricorso della dipendente (con il quale si contestava la dichiarazione di improponibilità, per duplicazione, della prima tra le domande proposte in sede giurisdizionale), la Suprema Corte cassa con rinvio la sentenza impugnata e pronuncia i seguenti principi di diritto:
“In materia di trattamento dei dati personali, il principio della alternativitàdel ricorso all'autorità giudiziaria rispetto al ricorso al Garante, previsto nell'ipotesi in cui entrambe le suddette iniziative abbiano il medesimo oggetto, per essere compatibile con l'art. 24 Cost. deve essere inteso in senso specifico e conforme ai principi generali del diritto processuale e quindi nel senso che può applicarsi solo quando la domanda proposta in sede giurisdizionale e quella proposta in sede amministrativa (con ricorso al Garante) siano tali che in ipotesi di contestuale pendenza davanti a più giudici, potrebbero, in via generale, essere assoggettate al regime processuale della litispendenza o della continenza. Ne consegue che tutte le volte che, in sede giurisdizionale, si fa valere l'inottemperanza da parte del gestore dei dati personali rispetto ai provvedimenti assunti dal Gerente e/o viene proposta una domanda di risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale - che è riservata all'esame del giudice ordinario e che comunque ha causa petendi e petitum specifici e del tutto diversi rispetto alle ragioni fatte valere con il ricorso al Garante - non può certamente ipotizzarsi l'applicazione del suddetto principio di alternatività delle tutele (vedi: Cass. 17 settembre 2014, n. 19534).”
“Il diritto soggettivo del lavoratore di accedere al proprio fascicolo personale è tutelabile in quanto tale perché si tratta di una posizione giuridica soggettiva che trae la sua fonte dal rapporto di lavoro (arg. exCass. S.U. 4 febbraio 2014, n. 2397). L'obbligo del datore di lavoro di consentirne il pieno esercizio, prima ancora che nella legge n. 675 del 1996 (nella specie applicabile ratione temporis), deriva dal rispetto dei canoni di buona fede e correttezza che incombe sulle parti del rapporto di lavoro ai sensi degli artt. 1175 e 1375 cod. civ., come, del resto è confermato dal fatto che, da tempo, la contrattazione collettiva dei diversi settori prevede che i datori di lavoro debbano conservare, in un apposito fascicolo personale, tutti gli atti e i documenti, prodotti dall'ente o dallo stesso dipendente, che attengono al percorso professionale, all'attività svolta ed ai fatti più significativi che lo riguardano e che il dipendente ha diritto di prendere visione liberamente degli atti e documenti inseriti nel proprio fascicolo personale. Ciò non esclude - ma anzi rafforza - il diritto del lavoratore di rivolgersi al Garante per la protezione dei dati personali tutte le volte in cui intenda ottenere, in tempi ragionevoli, alcuno dei provvedimenti - di natura provvisoria o definitiva - previsti dall'art. 13 della legge n. 675 del 1996 cit. al fine di ottenere, ad esempio, l'integrazione dei dati personali detenuti dal datore di lavoro con documenti ulteriori, che attestino valutazioni di merito o che comunque a suo avviso rilevino in ogni caso, restando salva la discrezionalità del datore circa le modalità di utilizzo di dette integrazioni.”
“Il diritto riconosciuto ai lavoratori dipendenti di ottenere che le valutazioni datoriali su rendimento e capacità professionale, espresse con le note di qualifica, siano formulate nel rispetto dei parametri oggettivi previsti dal contratto collettivo e degli obblighi contrattuali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., oltre che della inerente necessaria trasparenza può essere fatto valere in sede giudiziaria - pure a prescindere da un immediato effetto negativo subito, venendo in considerazione la tutela della dignità del lavoratore - onde ottenere il controllo da parte del giudice della conformità del procedimento seguito per la formulazione delle suindicate valutazioni ai suddetti parametri, gravando sul datore di lavoro l'onere di motivare le note di qualifica medesime, per permettere lo svolgimento di tale controllo giudiziale, il quale non è limitato alla mera verifica della coerenza estrinseca del giudizio riassuntivo della valutazione, ma ha ad oggetto la verifica della correttezza del procedimento di formazione del medesimo. Sicché esso richiede di prendere in esame i dati sia positivi che negativi rilevanti al fine della valutazione, non potendo invece tenersi conto di quelli estranei alla prestazione lavorativa (Cass. 20 giugno 2003, n. 9898; Cass. 9 gennaio 2001, n. 206; Cass. 8 agosto 2000, n. 10450), comportando la violazione del suddetto obbligo datoriale la conseguenza che la valutazione stessa debba ritenersi non avvenuta (Cass. 22 agosto 2001, n. 11207).”
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