Contratto di lavoro intermittente vietato: trasformazione del rapporto o nullità del contratto?
12 Settembre 2017
Massima
Il contratto di lavoro intermittente stipulato in assenza dei requisiti soggettivi richiesti dalla legge dà luogo comunque alla sanzione della conversione del relativo rapporto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, poiché l'assenza della valutazione dei rischi forma oggetto di un preciso divieto alla conclusione di contratti di lavoro intermittente. Il caso
Un lavoratore aveva sottoscritto con una società un contratto di lavoro intermittente a tempo determinato per lo svolgimento di mansioni di facchino. Il contratto veniva prorogato, ma, dopo qualche tempo, la società smetteva di chiamare il prestatore di lavoro, che dapprima offriva la propria prestazione e successivamente rassegnava le dimissioni per giusta causa. La questione
Il Tribunale di Milano è chiamato a pronunciarsi circa la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro intermittente ovvero di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, nonché sulla sanzione riconducibile all'assenza dei requisiti soggettivi richiesti dalla legge – in particolare il documento di valutazione dei rischi (DVR) – ai fini della stipula del contratto di lavoro intermittente. Le soluzioni giuridiche
Le sentenze in commento intervengono, tra le prime, sull'istituto del lavoro intermittente come riscritto dal Jobs Act, soffermandosi sulla presenza dei requisiti soggettivi richiesti dalla legge ai fini della validità del contratto di lavoro intermittente e, tra questi, il documento di valutazione dei rischi.
Sebbene non sembra rinvenirsi una giurisprudenza analoga in tema di lavoro intermittente, può confrontarsi una pronuncia in tema di contratto di lavoro a tempo determinato. Per tale istituto, infatti, viene ugualmente fatto divieto di stipula per i datori di lavoro che non abbiamo effettuato la valutazione dei rischi (art. 3, lett. d, D.Lgs. n. 368/2001, ora art. 20, lett. d, D.Lgs. n. 81/2015). La Corte di Cassazione (Cass., sez. lav., 02 aprile 2012, n. 5241) ha affermato che «la specificità del precetto, alla stregua del quale la valutazione dei rischi assurge a presupposto di legittimità del contratto, trova la sua ratio legis nella più intensa protezione dei rapporti di lavoro sorti mediante l'utilizzo di contratti atipici, flessibili e a termine, ove incidono aspetti peculiari quali la minor familiarità del lavoratore e della lavoratrice sia con l'ambiente di lavoro sia con gli strumenti di lavoro a cagione della minore esperienza e della minore formazione» e «a fronte di tale pregnante obbligo di sicurezza verso i lavoratori con minor esperienza e familiarità verso l'ambiente di lavoro, l'ordinamento, in limine, esprime il proprio disvalore verso l'inosservanza degli adempimenti in tema di sicurezza dei luoghi di lavoro vietando al datore di lavoro, che la valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori non abbia effettuato, di stipulare il contratto di lavoro a termine». Di fronte alla violazione di tale obbligo, la Corte, riconoscendo la natura imperativa della norma, ribadisce, sulla scorta di precedente giurisprudenza (e pluribus, Cass., sez. lav., 27 aprile 2010, n. 10033), il «principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo, pur sempre, l'apposizione del termine un'ipotesi derogatoria» rispetto alla forma comune di rapporto di lavoro. Sicché, continua la Corte, «ne risulta che la nullità della clausola del termine di durata al contratto di lavoro apposto in divieto di norma imperativa comporta la nullità dell'opzione contrattuale scelta dalle parti contraenti verso l'ipotesi derogatoria (del lavoro a termine) e la validità del contratto di lavoro, stipulato inter partes, secondo la regola generale del rapporto a tempo indeterminato».
Sul tema della mancanza del DVR, la Cassazione è recentemente tornata (Cass., sez. lav., 04 luglio 2017, n. 16386), in un caso concernente un appalto di mano d'opera, e ha sancito, confermando la valutazione operata dalla Corte di merito, che «la mancata adozione non può determinare la conversione del rapporto di lavoro nei confronti dell'appaltante perché tale sanzione non è contemplata dall'art. 29 D.Lgs. n. 276/2003»; constatando che «il legislatore allorquando ha voluto sanzionare in altri casi una tale carenza, espressamente lo ha sancito come, per esempio, con l'abrogato comma 1 lett. d dell'art. 3 del D.Lgs. n. 368/2001».
Vanno poi rilevate alcune pronunce di merito in tema di lavoro intermittente, con particolare riferimento alla mancanza dei requisiti oggettivi: il Tribunale di Milano (Trib. Milano, sez. lav., 09 dicembre 2009) ha riconosciuto, in mancanza di forma scritta ad probationem attestante le esigenze individuate dai contratti collettivi ai fini della stipula del contratto di lavoro intermittente, la nullità dello stesso contratto e la conseguente costituzione di un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Il Tribunale di Monza (Trib. Monza, sez. lav., 15 ottobre 2012) ha, invece, affermato che: in caso di stipula di contratto di lavoro intermittente al di fuori delle ipotesi legislativamente previste ovvero di adibizione del lavoratore ad attività diverse da quelle previste dal contratto collettivo di riferimento, la sanzione applicabile è il risarcimento dei danni equitativamente determinati e non già la conversione in rapporto a tempo indeterminato. Osservazioni
Il contratto di lavoro intermittente si caratterizza per il fatto che la prestazione lavorativa viene utilizzata solamente quando richiesta dal datore di lavoro e, se contrattualmente previsto, il lavoratore può garantire, a fronte di un'indennità, la propria disponibilità nell'attesa della chiamata.
L'introduzione nell'ordinamento risale agli artt. 33-40 del D.Lgs. n. 276/2003 che ne delinearono la struttura, rimasta sostanzialmente immutata nel corso del tempo. Successivamente, tale istituto fu abrogato dall'art. 1, commi 47-50, L. n. 247/2007 che ne limitarono l'applicazione ai soli settori del turismo e dello spettacolo; venne poi ripristinata l'originaria disciplina con la L. n. 133/2008, che subì lievi modifiche da parte della L. n. 92/2012; infine la normativa è stata assorbita dagli artt. 13-18 D.Lgs. n. 81/2015.
Le sentenze in commento si soffermano sui requisiti soggettivi e oggettivi richiesti dalla legge per la stipula del contratto di lavoro intermittente, ricostruendo il testo contrattuale prodotto dalle parti. Viene riscontrata innanzitutto la mancanza del requisito anagrafico del lavoratore ai sensi dell'art. 13, comma 2, D.Lgs. n. 81/2015 condizione necessaria per la stipula di tale contratto in ogni caso. Sul punto va rilevata la recente decisione della Corte di giustizia UE (CGUE 19 luglio 2017, causa C-143/16, Abercrombie & Fitch Italia c. Bordonaro) che ha ritenuto tale normativa conforme al disposto della Direttiva 2000/78 in quanto «tale disposizione persegue una finalità legittima di politica del lavoro e del mercato del lavoro», quale quella «di favorire l'accesso dei giovani all'esercizio di una professione», nonché quella di agevolare l'assunzione «di giovani lavoratori aumentando la flessibilità nella gestione del personale».
Viene inoltre rilevata – seppure in presenza del riferimento al R.D. n. 267/1923 che comprende nelle figure professionali del lavoro a chiamata quella di facchino – l'assenza di rinvii alle disposizioni in tema di lavoro intermittente del CCNL applicato, cui è demandata (ex art. 13, comma 1, D.Lgs. n. 81/2015) l'individuazione delle esigenze che ne consentono la stipula. Si nota altresì la mancanza della previsione circa le modalità con le quali il datore di lavoro è legittimato a chiedere l'esecuzione della prestazione (ex art. 15, comma 1, lett. d, D.Lgs. n. 81/2015).
L'aspetto su cui si concentra la valutazione del Tribunale è quello connesso alla valutazione dei rischi, requisito cui l'art. 14, lett. c, D.Lgs. n. 81/2015 ricollega il divieto di stipula del contratto di lavoro intermittente. Il datore di lavoro è tenuto a dare la prova documentale della stessa e, in sua assenza, ne deriva l'illegittima stipulazione del contratto. Il Tribunale di Milano, sebbene il legislatore preveda l'ipotesi della trasformazione del rapporto di lavoro intermittente in rapporto di lavoro a tempo indeterminato solamente in caso di superamento della durata massima del contratto (art. 13, comma 3, D.Lgs. n. 81/2015), riconduce tale sanzione anche all'assenza di DVR in quanto ciò «forma oggetto di un preciso divieto alla conclusione di contratti di lavoro intermittente». Non essendo dubbio che un rapporto di lavoro sia intercorso tra le parti ed essendo fatto divieto dall'ordinamento, proprio in virtù del requisito soggettivo della valutazione dei rischi richiesto al datore di lavoro, alla stipula di un contratto di lavoro intermittente, il giudice del lavoro considera il rapporto intercorso come un ordinario rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Può osservarsi che la ricostruzione anzidetta può essere ricondotta al disposto dell'art. 1 D.Lgs. n. 81/2015 che sancisce il principio generale secondo cui il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro. Sennonché, la violazione di un divieto legale sancisce la nullità del contratto in quanto contrario a norme imperative e la sussunzione del relativo rapporto in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato si ricollega a quanto sancito dalla giurisprudenza costituzionale (Corte Cost., 11 maggio 1992, n. 210) che ha escluso l'applicazione al contratto di lavoro dell'art. 1419, comma 1, c.c., quando la nullità della clausola derivi dalla contrarietà di essa a norme imperative poste a tutela del lavoratore e ciò al fine di scongiurare appunto che la nullità integrale del contratto nuoccia, anziché giovare, al contraente che il legislatore intende proteggere. |