Tentativo di conciliazione valido anche se non c’è l’esatta indicazione del datore

La Redazione
07 Febbraio 2015

La richiesta del tentativo di conciliazione è effettuata validamente anche senza l'esatta indicazione della parte datoriale, che non è prescritta a pena di nullità. Infatti, l'indicazione erronea del datore è priva di conseguenze pratiche se l'atto ha comunque raggiunto il suo scopo, il datore è stato convocato ritualmente dalla Direzione provinciale del Lavoro e ha partecipato effettivamente al tentativo di conciliazione.

Cass.civ, sez. lavoro, 23 gennaio 2015, n. 1244, sent.

La richiesta del tentativo di conciliazione è effettuata validamente anche senza l'esatta indicazione della parte datoriale, che non è prescritta a pena di nullità. Infatti, l'indicazione erronea del datore è priva di conseguenze pratiche se l'atto ha comunque raggiunto il suo scopo, il datore è stato convocato ritualmente dalla Direzione provinciale del Lavoro e ha partecipato effettivamente al tentativo di conciliazione. Così si è espressa la Corte di cassazione nella sentenza n. 1244, depositata il 23 gennaio 2015.

Il caso. La Corte d'appello di Ancona dichiarava l'illegittimità delle sanzioni disciplinari della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione e del licenziamento irrogate al lavoratore dalla società datrice di lavoro, e ne ordinava la reintegrazione con risarcimento del danno ex art. 18 dello Statuto Lavoratori.
Contro detta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il datore di lavoro, lamentando che la sentenza impugnata non ha dato rilevo al fatto che la richiesta di tentativo di conciliazione non era stata proposta verso il datore di lavoro (API Raffineria di Ancona s.p.a.), soggetto giuridico diverso anche se appartenente allo stesso gruppo societario (API s.p.a).

L'indicazione della parte datoriale. Sul punto, il Collegio afferma che, perché la richiesta del tentativo di conciliazione sia effettuata validamente non occorre l'esatta indicazione della parte datoriale, che non è prescritta a pena di nullità, mentre nel caso l'indicazione erronea del datore è stata di fatto priva di conseguenze pratiche, atteso che l'atto ha comunque raggiunto il suo scopo, il datore è stato convocato ritualmente dalla Direzione provinciale del Lavoro (che ha corretto l'errore del lavoratore) e il datore ha partecipato effettivamente al tentativo di conciliazione, senza nulla eccepire.

Impugnazione licenziamento tempestiva. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, ricorda il Collegio, hanno altresì affermato il principio secondo il quale l'impugnazione del licenziamento ai sensi dell'art. 6 della l. n. 604/1966, formulata mediante dichiarazione spedita al datore di lavoro con missiva raccomandata a mezzo del servizio postale, deve intendersi tempestivamente effettuata allorché la spedizione avvenga entro 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento o dei relativi motivi, anche se la dichiarazione medesima sia ricevuta dal datore di lavoro oltre detto termine, atteso che l'effetto di impedimento della decadenza si collega, di regola, al compimento, da parte del soggetto onerato, dell'attività necessaria ad avviare il procedimento di comunicazione demandato ad un servizio sottratto alla sua ingerenza.

Validità e tempestività. Nel caso di specie, osserva il Collegio, sia la richiesta di tentativo di conciliazione che l'impugnativa di licenziamento sono stati fatti validamente, senza che sia configurabile alcun vizio giuridicamente rilevante, e tempestivamente, e le indicazioni imprecise del lavoratore circa l'esatta denominazione del datore, astrattamente configurabili quali ostacoli di fatto perché l'atto raggiunga il datore, sono state prive di conseguenze in concreto per avere l'atto realizzato gli effetti suoi propri una volta che gli atti suddetti sono pervenuti al datore di lavoro effettivo.
Per tali ragioni, la S.C. ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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