Legittimo il licenziamento del lavoratore condannato, anche se con patteggiamento

La Redazione
07 Febbraio 2015

La sentenza di patteggiamento ha valenza indiziaria dei fatti addebitati anche a livello di responsabilità disciplinare, ferma restando la possibilità per il lavoratore interessato di articolare liberamente i mezzi di prova, in sede civile, per contestare i gravi indizi della sua colpevolezza.

Cass.civ., sez. lavoro, 21 gennaio 2015, n. 1024, sent.

La sentenza di patteggiamento ha valenza indiziaria dei fatti addebitati anche a livello di responsabilità disciplinare, ferma restando la possibilità per il lavoratore interessato di articolare liberamente i mezzi di prova, in sede civile, per contestare i gravi indizi della sua colpevolezza. Così afferma la Corte di Cassazione con la sentenza 1024/15, depositata il 21 gennaio.

Il caso. La ricorrente impugna innanzi alla Cassazione la sentenza con cui la Corte d'appello di Roma rigettava l'impugnazione del licenziamento intimatogli dal Ministero dell'economia e delle finanze. Il datore di lavoro infatti, essendo venuto a conoscenza di una sentenza di patteggiamento emessa qualche anno prima nei confronti della lavoratrice, recedeva dal rapporto di lavoro, avvalendosi di una specifica clausola prevista dal contratto collettivo.

Il valore indiziario del patteggiamento. Il ricorso contesta l'irrilevanza della sentenza di patteggiamento nel giudizio civile, deducendo l'insussistenza dei fatti posti a base del licenziamento. Il motivo così prospettato è infondato. La Corte coglie l'occasione per ricordare che, con riferimento alla sentenza di applicazione della pena su richiesta, a questa è pacificamente riconoscibile efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità penale, essendo parificabile alla sentenza irrevocabile di condanna. Pur non essendo i due provvedimenti pienamente equivalenti, per alcuni fini vengono considerati in modo identico. Nel caso concreto dunque, considerando che il contratto collettivo rilevante concede al datore di lavoro la risoluzione del rapporto laddove il dipendente riporti una «sentenza di condanna», i giudici di merito hanno correttamente interpretato la volontà delle parti collettive e, ispirandosi al comune sentire, hanno parificato la sentenza di patteggiamento a quella di condanna. L'argomentazione della S.C. fa anche riferimento alla circostanza per cui, con la sentenza di patteggiamento, in effetti l'imputato non nega la propria responsabilità ma, anzi, esonera l'accusa dalla relativa prova. A ciò si aggiunga infine l'incontestata possibilità per il lavoratore di far valere, nelle competenti sedi civili, gli elementi probatori che possono opporsi alla rilevanza indiziaria della sentenza di patteggiamento, ai fini dell'accertamento della responsabilità disciplinare. Per questi motivi il ricorso viene rigettato

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