In assenza di un preciso obbligo di applicare uno specifico contratto collettivo, quanto di un conseguente auto-vincolo dell'aggiudicataria di una gara di appalto a garantire determinati livelli retributivi al personale utilizzato, il datore di lavoro può liberamente scegliere il CCNL da applicare ai propri dipendenti
Massima
In assenza di un preciso obbligo di applicare uno specifico contratto collettivo, quanto di un conseguente auto-vincolo dell'aggiudicataria di una gara di appalto a garantire determinati livelli retributivi al personale utilizzato, il datore di lavoro può liberamente scegliere il CCNL da applicare ai propri dipendenti.
Il caso
Un'azienda ospedaliera ha bandito una gara per l'affidamento della gestione dei servizi amministrativi di front office; la società che si è aggiudicata l'appalto ha proposto un monte ore annuo per lavoratore e parametri retributivi commisurati ai livelli (più concorrenziali) previsti da un determinato CCNL, stipulato da sindacati che non sono ritenuti comparativamente più rappresentativi, a differenza della proposta avanzata dalla società che si è classificata seconda nella procedura di gara, che applica, ai propri dipendenti, CCNL recepiti da apposite tabelle del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
In motivazione A fronte dello specifico onere di allegazione e di prova circa la minore rappresentatività dei sindacati che hanno stipulato il CCNL applicato dalla società che ha vinto l'appalto “la società si è limitata (…) alla semplice affermazione che sarebbe un dato di comune esperienza (trattandosi di sigle sconosciute ai più) il fatto che i sindacati firmatari del CCNL (…) non siano quelli comparativamente rappresentativi. Il bando di gara non conteneva una espressa clausola che impegnava gli offerenti a garantire al personale livelli retributivi in essere presso il servizio de quo al momento della stipula del contratto; il Capitolato speciale <<stabilisce expressis verbis che “nell'applicazione del presente articolo dovrà essere applicato quanto previsto dal CCNL di categoria della Ditta aggiudicataria”. In assenza tanto di un preciso obbligo di applicare uno specifico contratto collettivo, quanto di un conseguente auto-vincolo dell'aggiudicataria a garantire determinati livelli retributivi al personale utilizzato, occorre concludere (…) che le disposizioni contrattuali del CCNL … ben potevano essere utilizzate dalla società aggiudicataria dell'appalto. (…) I costi medi del lavoro indicati nelle tabelle predisposte dal Ministero del Lavoro non costituiscono parametri inderogabili, ma indici del giudizio di adeguatezza dell'offerta, con la conseguenza che è ammissibile l'offerta che da essi si discosti, purché lo scostamento non sia eccessivo e vengano salvaguardate le retribuzioni dei lavoratori, così come stabilito in sede di contrattazione collettiva (in questo caso, quella di cui al CCNL …).>>.
La questione
La questione in esame è la seguente: il datore di lavoro è vincolato ad applicare un determinato contratto collettivo (ad esempio quello del settore merceologico di appartenenza) e, nel caso siano stati stipulati, per detto settore, più contratti collettivi, il datore di lavoro deve applicare il contratto collettivo stipulato dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative?
Le soluzioni giuridiche
Secondo giurisprudenza autorevole (Cassazione S.U. n. 2665/1997) e consolidata, l'efficacia vincolante dei contratti collettivi di diritto comune (tali essendo gli attuali contratti collettivi di settore, in mancanza di recepimento dell'art. 39 Cost.) è delimitata agli iscritti alle associazioni sindacali stipulanti ed a coloro che vi abbiano aderito, non operando il criterio dettato dall' art. 2070 c.c. per i contratti corporativi. Infatti, il primo comma dell'art. 2070 c.c. (secondo cui l'appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell'applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l'attività effettivamente esercitata dall'imprenditore) non opera nei riguardi della contrattazione collettiva di diritto comune, che ha efficacia vincolante limitatamente agli iscritti alle associazioni sindacali stipulanti e a coloro che, esplicitamente o implicitamente, abbiano prestato adesione al contratto. La riconosciuta natura privatistica dell'autonomia collettiva esclude, infatti, il contratto collettivo dal novero delle fonti di diritto oggettivo. Quindi, l'individuazione della contrattazione collettiva che regola il rapporto di lavoro va fatta unicamente attraverso l'indagine della volontà delle parti, volontà che risulta, oltre che da espressa pattuizione, anche implicitamente dalla protratta e non contestata applicazione di un determinato contratto collettivo. Ne consegue che, nell'ipotesi di contratto di lavoro regolato dal contratto collettivo di diritto comune proprio di un settore non corrispondente a quello dell'attività svolta dell'imprenditore, il lavoratore non può aspirare all'applicazione di un contratto collettivo diverso, se il datore di lavoro non vi è obbligato per appartenenza sindacale, ma solo eventualmente richiamare tale disciplina come termine di riferimento per la determinazione della retribuzione exart. 36 Cost., deducendo la non conformità al precetto costituzionale del trattamento economico previsto nel contratto applicato. Il datore di lavoro che non si sia spontaneamente vincolato è libero di rifiutare qualsiasi contratto collettivo o di scegliere quello ritenuto più conveniente, con i soli limiti della retribuzione proporzionale e sufficiente, che il giudice potrebbe individuare in quella fissata da altro contratto considerato equitativamente più adeguato al tipo di attività aziendale. Il meccanismo è fondato sul riconoscimento della immediata precettività dell'art. 36 Cost. in base al quale la retribuzione ritenuta dal giudice proporzionale e sufficiente viene imposta, per il tramite dell'art. 2099 c.c., anche ai datori di lavoro non vincolati da contatti collettivi. Così come sussiste la piena validità ed efficacia della clausola di un accordo aziendale - avente natura collettiva in relazione agli interessi generali coinvolti - diretto a stabilire il contratto collettivo di categoria applicabile al personale dell'azienda.
Osservazioni
Stando alla ricostruzione innanzi esposta, può ritenersi che l'adesione (o l'applicazione) del datore ad un contratto collettivo, seppur di contenuto peggiorativo rispetto ad altri contratti collettivi vigenti nel medesimo settore merceologico, garantisca il rispetto dei requisiti di proporzionalità e sufficienza della retribuzione così come richiesti dall'art. 36 Cost. Infatti, la circostanza che alcuni sindacati abbiano elaborato una disciplina organica per uno specifico settore e, nel contempo, individuato dei livelli retributivi minimi, rappresenta garanzia sufficiente del rispetto dei parametri di fonte costituzionale. Il datore di lavoro può, quindi, scegliere di applicare il contratto collettivo che presenti una disciplina del rapporto di lavoro più conveniente. Questo indirizzo interpretativo appare coerente sviluppo della modifica referendaria subita (nel 1995) dall' art. 19 dello Statuto dei lavoratori, quando si abbandonò il criterio della maggiore rappresentatività confederale per selezionare i sindacati beneficiari di tutti i diritti previsti dallo Statuto stesso (attraverso le r.s.a.) e si introdusse il diverso criterio della rappresentatività effettiva specifica, dimostrata sul piano dei rapporti di forza con la controparte imprenditoriale proprio attraverso la stipulazione (a qualsiasi livello) di un contratto collettivo. Il criterio selettivo della capacità di imporsi al datore di lavoro o alla sua associazione come controparte contrattuale indica una rappresentatività effettiva ed è un criterio ragionevole fondato sulla forza del sindacato. Tematica parzialmente diversa è quella della modifica, nel tempo e in occasione dei rinnovi, della disciplina contenuta nei contratti collettivi, con previsione di clausole peggiorative rispetto all'accordo precedente, quel che si definisce come il passaggio da una contrattazione di tipo essenzialmente “acquisitivo” (diretta al progressivo accrescimento delle condizioni già ottenute nei contratti collettivi anteriori) a una contrattazione di tipo “ablativo” (caratterizzata da un ridimensionamento dei trattamenti precedentemente accordati dal contratto collettivo, al fine, prevalentemente, di far fronte ad una situazione di crisi). La giurisprudenza ha già avuto modo di ribadire che la successione di contratti collettivi nel tempo può legittimamente determinare un mutamento rispetto alla disciplina del contratto anteriore, perché le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali, dando luogo a diritti quesiti sottratti al potere dispositivo dei sindacati, ma (salva l'ipotesi di loro recezione ad opera del contratto individuale) operano dall'esterno sui singoli rapporti di lavoro, come fonte eteronoma di regolamento, concorrente con la fonte individuale. Pertanto, nell'ipotesi di successione di contratti collettivi, le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole (art. 2077 c.c.), che riguarda il rapporto fra contratto collettivo ed individuale (cfr. Cass. n. 13960/2004). Inoltre, va rammentata la regola – ribadita più volte dalla giurisprudenza - secondo cui i contratti o gli accordi collettivi aziendali sono applicabili a tutti i lavoratori dell'azienda, ancorché non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti (con l'unica eccezione di quei lavoratori che, aderendo ad una organizzazione sindacale diversa, ne condividono l'esplicito dissenso dall'accordo medesimo e potrebbero addirittura essere vincolati ad un accordo sindacale separato e diverso; v. Cass. n. 16089/2014); l'adesione degli interessati - iscritti o non iscritti alle associazioni stipulanti - ad un contratto o accordo collettivo può essere non solo esplicita, ma anche implicita, come accade quando ciò possa desumersi da fatti concludenti, generalmente ravvisabili nella pratica applicazione delle relative clausole. Va, infine, ricordato che, nel settore pubblico, il criterio della ammissione alle trattative non è basato sulla forza effettiva dei sindacati bensì è previsto per legge, in quanto il diritto alla costituzione di r.s.a. spetta ai sindacati che abbiano nel comparto o nell'area una rappresentatività non inferiore al 5% considerando a tal fine la media tra il dato associativo, espresso dalla percentuale delle deleghe per il versamento dei contributi sindacali, e il dato elettorale, espresso dalla percentuale dei voti ottenuti nelle elezioni delle r.s.u.
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