Deroga al divieto dei licenziamenti nei trasferimenti d'azienda: ambito di operatività
13 Maggio 2016
Massime
Il rito Fornero è applicabile anche qualora il licenziamento dipenda da un trasferimento d'azienda, purché tale evento non costituisca ex se l'oggetto dell'impugnativa, bensì sia dedotto dal ricorrente quale motivo di illegittimità del licenziamento e, dunque, quale causa petendi della tutela garantita dall' art. 18 L. n. 300/1970 .
Il regime decadenziale di cui all' art. 6 L. n. 604/1966 trova applicazione nell'ipotesi contemplata dall' art. 32, comma 4 lett. d) della L. n. 183/2010 , solo qualora occorra accertare l'effettivo titolare del rapporto di lavoro in ipotesi di scissione tra datore di lavoro formale e effettivo utilizzatore della prestazione lavorativa e non, invece, quando la riassunzione presso la società cessionaria sia la conseguenza della dichiarazione di nullità del licenziamento e dell'atto di cessione d'azienda.
Il termine decadenziale di sessanta giorni per impugnare, ai sensi dell' art. 32, comma 4 lett. c) L. n. 183/2010 , la cessione del rapporto di lavoro avvenuta a seguito di trasferimento d'azienda, decorre dal momento in cui il trasferimento acquista efficacia, a prescindere dal fatto che tale cessione possa essere contestuale o successiva all'accordo stesso di trasferimento.
In ipotesi di annullamento del licenziamento intimato prima del trasferimento d'azienda, il cessionario deve ritenersi legittimato passivo con riferimento all'ordine di reintegrazione del lavoratore sul posto di lavoro, posto che il mutamento di titolarità dell'azienda non interferisce con i rapporti di lavoro già intercorsi con il cedente, che continuano a tutti gli effetti con il cessionario.
La deroga al divieto di licenziamenti in occasione del trasferimento d'azienda ai sensi del comma 4 bis dell' art. 47 L. n. 428/1990 , può operare solo nell'ambito di una procedura lato sensu liquidativa dell'impresa cedente, assoggettata a controllo giudiziario o di altra autorità pubblica. Ne consegue che, in tutti gli altri casi in cui il cedente versi in una grave situazione di crisi aziendale (anche attestata da un'autorità pubblica ed anche quando la legislazione nazionale preveda l'apertura di una procedura concordata con le organizzazioni sindacali) ma senza che l'obiettivo sia la liquidazione dei beni del cedente, i licenziamenti in vista della cessione sono vietati. Il caso
L'ordinanza in commento è stata pronunciata all'esito di una procedura di mobilità collettiva instaurata dalla società Alitalia Compagnia Aerea Italiana spa (d'ora in avanti CAI spa) nel corso del 2014, al fine di individuare il personale in esubero in vista della cessione aziendale in favore della nuova società Alitalia – Società Aerea Italiana spa (d'ora in avanti SAI spa).
In particolare, gli esuberi venivano decisi nell'ambito di una situazione di crisi della cedente, ma costituivano altresì – come espressamente previsto nella comunicazione della procedura di avvio della mobilità ed anche nell'accordo sindacale siglato dalla cedente – il presupposto della cessione aziendale.
Ritenendo illegittimo il licenziamento irrogato nei propri confronti a causa di tale nesso funzionale, il ricorrente agiva in giudizio depositando ricorso exart. 1, L. n. 92/2012 , a mezzo del quale chiedeva di essere reintegrato alle dipendenze della società cessionaria Alitalia – Compagnia Aerea Italiana spa, nonché la condanna di entrambe le società, in solido tra loro, al pagamento delle differenze retributive e contributive maturate dalla data del recesso. In via subordinata il ricorrente chiedeva venisse dichiarata l'applicabilità della tutela indennitaria exart. 18 L. n. 300/1970 .
Le società CAI spa e SAI spa si costituivano in giudizio contestando le pretese avversarie. Le questioni
Le questioni in esame sono le seguenti:
Le soluzioni giuridiche
1° questione preliminare
Per una corretta disamina della prima questione preliminare occorre innanzitutto prendere le mosse dal dato normativo di riferimento, e cioè dall' art. 1 , comma 47 , della L. n. 92 /2012 , il quale espressamente ricollega l'ambito di applicazione del cd. rito Fornero a tutte quelle “controversie aventi ad oggetto l'impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall' articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro”.
Sul punto, appare consolidato in giurisprudenza il principio, affermato anche dall'ordinanza in esame, secondo cui il rito speciale ex L. n. 92/2012 sarebbe azionabile ogni qualvolta l'oggetto della domanda coincida con la richiesta di applicazione delle tutele di cui all' art. 18 L. n. 300/1970 .
In tale contesto, possono essere proposte, con il medesimo rito, anche quelle domande, preliminari o fondate sugli stessi fatti costitutivi, concernenti la qualificazione del rapporto di lavoro. Trattasi – come osservato dal Tribunale di Roma – di una clausola estensiva dell'applicabilità del rito speciale anche a tutte quelle fattispecie in cui la tutela contemplata dall' art. 18 L. n. 300/1970 risulterebbe possibile solo a seguito di una riqualificazione del rapporto di lavoro.
Tale interpretazione della norma non è però condivisa da chi ritiene che non sia invece consentito proporre in via principale con il ricorso exart. 1, comma 48, L. n. 92/2012 la domanda di accertamento del carattere subordinato del rapporto in generale, né quella di accertamento della titolarità del rapporto in capo ad un datore di lavoro diverso da quello formalmente risultante, posto che il comma 47 parla di "questioni" e non di domande ( Trib. Milano 25.10.2012 inedita; Trib. Milano 6.11.2012 inedita; Trib. Roma 31.10.2012 inedita; Trib. Treviso 22.5.2013 inedita; Trib. Roma 30.5.2013 inedita).
Vi è però chi distingue fra domanda svolta in via principale e accertamento incidentale, negando l'ammissibilità della prima e ammettendo la seconda sul presupposto della necessarietà del rito (da ultimo, confermativa: Cass. 11.11.2015 n. 23073 ).
Di talché si è ritenuto che si possa accertare in via incidentale, ai fini dell'applicabilità dell'art. 18, la sussistenza di un centro di imputazione unitario e la riferibilità del recesso datoriale a tutte le società che facevano capo al medesimo (Trib. Roma ord. 9.12.2013).
Al contrario, le domande meramente risarcitorie, di nullità del termine o retributive connesse alla qualificazione del rapporto, qualora formulate attraverso tale rito speciale devono ritenersi inammissibili ed il giudice dovrà disporre il mutamento del rito (Trib. Roma ord. 26.3.2015 inedita; Trib. Roma ord. 18.9.2014; per l'improponibilità del cumulo in giudizio fra domanda exart. 18 legge n. 300/1970 e art. 8 legge n. 604/1966 : Cass. 10.8.2015 n. 16662 ).
Seguendo in parte tale ragionamento, la pronuncia in esame ha enunciato il principio secondo cui il ricorso exart. 1, comma 47, L. n. 92/2012 risulta azionabile anche qualora il licenziamento dipenda da un trasferimento d'azienda, purché tale evento sia dedotto dal lavoratore quale motivo di illegittimità del licenziamento e, dunque, quale causa petendi della tutela garantita dall' art. 18 St. Lav .
Viceversa, ove l'atto di trasferimento costituisse ex se l'oggetto dell'impugnativa, allora sarebbe onere di parte attrice impugnare, con un'azione autonoma, la violazione dell' art. 2112 c.c.
Sul punto si è recentemente chiarito che nel caso in cui l'illegittimità del trasferimento d'azienda non configuri un danno da licenziamento illegittimo in capo al lavoratore (essendo proseguita l'attività con la società cessionaria senza alcun allontanamento dal posto di lavoro) il prestatore può chiedere il risarcimento del danno per la illegittima cessione del rapporto di lavoro solamente secondo le norme codicistiche sull'illecito contrattuale e non già secondo la disciplina speciale posta dall'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori ( Cass. 10.4.2015 n. 7281 ).
2° questione preliminare
L'ordinanza in commento si sofferma poi sulla questione concernente l'applicabilità del regime decadenziale di cui all' art. 32, comma 4, L. n. 183/2010 con riferimento alle domande svolte nei confronti del cessionario d'azienda.
Al proposito, il Tribunale di Roma esclude innanzitutto che trovi applicazione in caso di cessione d'azienda l'art. 32, comma 4, lett. d), che regola la diversa ipotesi in cui vi sia una scissione tra datore di lavoro formale ed effettivo utilizzatore della prestazione lavorativa.
Infatti, in caso di cessione d'azienda, la riassunzione del lavoratore presso la società cessionaria rappresenterebbe un effetto automatico dell'annullamento del licenziamento, che comporta il ripristino della situazione quo ante l'atto risolutivo, con la conseguenza che il rapporto lavorativo del lavoratore licenziato deve seguire la sorte degli altri rapporti di lavoro facenti capo alla cedente.
Più correttamente, dovrebbe trovare applicazione la norma di cui alla lett. c) del predetto comma, la quale prevede a carico del lavoratore l'onere di impugnare la cessione del contratto di lavoro exart. 2112 c.c. con termine decorrente dalla data del trasferimento.
A tale ultimo riguardo, il Tribunale di Roma ha rilevato che il termine decadenziale di sessanta giorni per impugnare la cessione del rapporto di lavoro avvenuta a seguito di trasferimento d'azienda decorre dal momento in cui il trasferimento acquista efficacia, a prescindere dal fatto che tale cessione possa essere contestuale o successiva all'accordo stesso di trasferimento.
3° questione preliminare
Con riferimento alla terza questione preliminare eccepita dalle resistenti, l'ordinanza in esame rileva innanzitutto che la legittimità passiva del cessionario d'azienda in una controversia avente ad oggetto l'impugnativa di un licenziamento intimato prima del trasferimento non costituisce una eccezione di difetto di legittimazione passiva in senso proprio, ma un'eccezione di merito e, come tale, non incidente sul rito applicabile ma solo sulla fondatezza della domanda.
Procedendo comunque ad una disamina di tale eccezione, il Giudice capitolino ha rilevato che in ipotesi di impugnativa di un licenziamento intimato in un momento anteriore al trasferimento d'azienda, la legittimazione passiva del cessionario deriva dal fatto che lo stesso subentra in tutte le posizioni attive e passive facenti capo al cedente e quindi anche nei rapporti di lavoro già intercorsi tra questi e i lavoratori, risultando ininfluente il mutamento di titolarità dell'azienda.
In altri termini, l'effetto estintivo del licenziamento illegittimo intimato in epoca anteriore al trasferimento medesimo, in quanto meramente precario e destinato ad essere travolto dalla sentenza di annullamento, comporta che il rapporto di lavoro ripristinato tra le parti originarie si trasferisce, ai sensi dell' art. 2112 c.c. , in capo al cessionario. Il cessionario, pertanto, è legittimato passivamente rispetto alla domanda di impugnativa del licenziamento proposta dal lavoratore ( Cass. 16.12.2014 n. 26401 ; Cass. 8.2.2011 n. 3047 ; Cass. 12.4.2010 n. 8641 ).
Nel merito
La decisione del Tribunale presente aspetti di peculiare interesse giuridico.
In particolare – come si evince dall'ordinanza – è stato dichiarato illegittimo, per violazione dell' art. 2112 c.c. , il licenziamento intimato dal soggetto cedente prima della cessione d'azienda.
Per superare l'apparente contraddittorietà di tale statuizione – posto che l' art. 2112 c.c. vieta il licenziamento solo se occasionato e conseguente al trasferimento d'azienda – il Giudice ha evidenziato la sussistenza di un nesso funzionale, risultante dall'accordo sindacale siglato dalla cedente nonché dalla comunicazione di avvio della procedura di mobilità, tra la risoluzione del rapporto e la cessione d'azienda.
Secondo l'impostazione del Giudicante, proprio tale nesso funzionale determinerebbe la nullità del licenziamento irrogato.
La scelta del Giudice appare in consapevole contrasto con il principio, in passato più volte affermato, per cui è legittimo il licenziamento quando, per la fattibilità della cessione d'azienda vi sia necessità di un ridimensionamento del personale occupato, posto come condizione dall'acquirente ( Cass. 9.9.1991 n. 9462 , citata anche dal Tribunale).
Nemmeno è stato ritenuto applicabile nel caso di specie l' art. 47, comma 4 bis, legge 428/1990 , ancorché risultasse dimostrata la situazione di grave crisi aziendale della cedente.
Ciò in quanto – secondo il Giudicante – il legislatore con la norma di cui all' art. 47, comma 4 bis, L. n. 428/1990 , pur avendo consentito alle parti negoziali la possibilità di derogare all' art. 2112 c.c. , ha sottoposto tale delega ad un limite implicito costituito dalle norme della direttiva 2001-23 , così come interpretata dalla Corte di Giustizia con sentenza 11 giugno 2009 causa C-561/07 .
Ne consegue che la deroga al divieto di licenziamento intimato in occasione del trasferimento d'azienda ai sensi del comma 4 bis dell' art. 47 L. n. 428/1990 , potrebbe operare solo nell'ambito di una procedura lato sensu liquidatoria dell'impresa cedente, assoggettata a controllo giudiziario o di altra autorità pubblica.
Per l'effetto, in tutti gli altri casi di grave situazione di crisi aziendale (anche attestata da un'autorità pubblica ed anche quando la legislazione nazionale preveda l'apertura di una procedura concordata con le organizzazioni sindacali) del soggetto cedente, ma in assenza di liquidazione dei beni, i licenziamenti in vista della cessione sono da intendersi vietati. Contrariamente, in un caso del tutto analogo (in cui il ricorrente impugnava il licenziamento intimatogli da CAI spa a fronte della cessione d'azienda a SAI spa) sempre il Tribunale di Roma, con ord. 27.5.2015 (in Il Giuslavorista.it 2015, 11 settembre) ha statuito la legittimità, ai sensi dell' art. 47 comma 4 bisL. n. 428/1990 , di un verbale di accordo sindacale che, avendo per oggetto il mantenimento anche parziale dell'occupazione da parte di un'azienda in stato di crisi, limiti gli effetti previsti dall' art. 2112 c.c. al solo personale specificamente indicato nell'accordo stesso. Pertanto, nella medesima fattispecie, lo stesso Tribunale ha ritenuto che una grave situazione di crisi, anche in assenza di liquidazione dei beni, legittimi i licenziamenti irrogati in vista della cessione.
Tornando all'ordinanza in commento, il Giudice capitolino, statuita per le ragioni di cui sopra l'illegittimità del licenziamento, si concentra poi sulla tutela applicabile nella fattispecie in esame accogliendo la domanda svolta dal ricorrente in via principale, il quale invocava la tutela reintegratoria exart. 18, comma 1, L. n. 300/1970 .
Infatti, sulla scorta di quanto previsto dall' art. 2112 c.c. , nell'ordinanza in esame si sancisce il principio secondo cui il licenziamento disposto dal cedente senza giustificazione diversa dal trasferimento debba considerarsi nullo in quanto adottato in carenza di potere ed in violazione di una disposizione di legge da considerarsi imperativa in quanto tesa a tutelare i lavoratori dalle conseguenze negative del trasferimento d'azienda. Ne consegue l'applicabilità della tutela reale piena exart. 18, c omma 1 , L. n. 300/1970 .
Nemmeno osterebbe a tale conclusione il fatto che l' art. 5, comma 3, L. n. 223/1991 , in ipotesi applicabile nel caso di specie trattandosi di licenziamento intimato agli esiti di una procedura di mobilità, preveda espressamente la tutela reale piena solo nel caso di licenziamento intimato senza osservanza della forma scritta.
Il Tribunale di Roma ha infatti ritenuto che tale norma non escluda comunque altre forme di tutela sulla base dei principi generali dell'ordinamento.
L'affermazione appare opinabile considerata la diversità di trattamento sanzionatorio delle varie patologie inerenti la procedura di licenziamento collettivo:
Appare quindi chiara la ratio del legislatore del 2012 che ha deciso di diversificare la sanzione a seconda della tipologia (rectius: gravità) della patologia.
Quanto al destinatario dell'ordine di reintegrazione, l'ordinanza lo individua nel cessionario d'azienda, posto che il mutamento di titolarità dell'azienda non produce alcuna interferenza con i rapporti di lavoro già intercorsi con il cedente che continuano a tutti gli effetti con il cessionario.
Il pagamento dell'indennità risarcitoria segue invece il regime di solidarietà delineato dall' art. 2112, secondo comma, c.c. Osservazioni
Tanti sono gli spunti che l'ordinanza offre e che meriterebbero trattazione ben più approfondita di quanto in questa sede si possa fare.
Il Tribunale cita la sentenza della Corte di Giustizia Europea 11.6.200 9 C-561/07 , trascurando che dal sistema di garanzie apprestato dalla L. n. 223 del 1991 non riesce possibile enucleare un precetto che vieti di cedere l'azienda, né la validità della cessione è condizionata alla prognosi favorevole alla continuazione dell'attività produttiva e, di conseguenza, all'onere del cedente di verificare le capacità e potenzialità imprenditoriali del cessionario. Non si rinviene nell'ordinamento una norma che sancisca – come per il contratto in frode alla legge – l'invalidità del contratto in frode ai terzi ai quali l'ordinamento appresta, invece, in determinate ipotesi, altri rimedi, anche risarcitori, a tutela dei loro diritti ( Cas s. 22.4.2014 n. 9090 , Cass. 20. 3.2013 n. 6969 , Cass. 26.1.2012 n. 1085 ).
A prescindere da tale principio, la cui applicabilità nella specie non è possibile valutare stante la mancanza degli atti, va comunque rilevato che la rigidità della Corte, che consente la disapplicazione delle direttive in tema di trasferimento d'azienda solo nel caso di crisi aziendali sfocianti in procedure di tipo liquidatorio, forse non tiene debitamente conto dell'involuzione dei rapporti economici e delle complessive e oggettive difficoltà del sistema produttivo dell'ultimo periodo; difficoltà per le quali la strumentazione di forme adeguate di controllo sociale (quali proposte dall'art. 47) poteva essere forse oggetto di maggiore considerazione, nella prospettiva di un ponderato bilanciamento degli interessi in gioco.
Inoltre non appaiono così certi, almeno in linea di principio, gli effetti che dalla sentenza di condanna possono derivare nel nostro sistema. Se invero resta fermo il principio dell'efficacia solo verticale delle direttive (ex multis Cass. 14.9.2009 n. 19771 ), l'art. 47 continuerà a trovare applicazione, così come è scritto, nell'ambito dei rapporti privati, senza che il Giudice dello Stato possa farsi tentare da una interpretazione “comunitariamente orientata”, che trova un ostacolo insormontabile nella chiarissima espressione della norma interna, pur se accertata come confliggente con quella comunitaria. Di conseguenza, l'unico rimedio per un lavoratore che invochi l'applicazione della direttiva anche nei casi di crisi aziendale, sarà quello del risarcimento del danno per violazione della stessa. |