L’azione di ripetizione di indebito in materia pensionistica
14 Giugno 2017
Premessa
La disciplina dell'indebito pensionistico previdenziale è stata oggetto di diversi e differenti interventi normativi attraverso i quali, nel corso del tempo, il legislatore ha provveduto a disciplinare la fattispecie in relazione alla sensibilità ed alle conseguenze economiche e sociali che il fenomeno riguardante il pagamento di trattamenti di quiescenza totalmente o in parte non dovute aveva mediamente provocato. La regola generale è contenuta nell'art. 52 della Legge 9 marzo 1989, n. 88 per come autenticamente interpretata dall'art. 13 della Legge 30 dicembre 1991, n. 412. Detta regola, tuttavia, nel corso del tempo è stata momentaneamente ampliata attraverso l'introduzione di due “sanatorie” con le quali, in relazione alle esigenze economico-sociali del momento, il legislatore, prendendo atto di disfunzioni gestionali degli Enti previdenziali, ha cercato di evitare il verificarsi di conseguenze deleterie per i pensionati che, incolpevolmente, avevano erroneamente ricevuto somme di denaro non dovute. Abbiamo già sopra detto che la principale disposizione che si occupa dell'indebito pensionistico è l'art. 52 della Legge 9 marzo 1989, n. 88. L'indicata norma, al primo comma, prevede che le pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, delle gestioni obbligatorie sostitutive o, comunque, integrative della medesima, della gestione speciale minatori, delle gestioni speciali per i commercianti, gli artigiani, i coltivatori diretti, mezzadri e coloni nonché la pensione sociale, di cui all'art. 26 della Legge 30 aprile 1969, n. 153, possono essere in ogni momento rettificate dagli enti o fondi erogatori, in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione della prestazione. Nelle ipotesi in cui la modifica del provvedimento di liquidazione della prestazione ha determinato l'avvenuta riscossione (arg. ex art. 52 comma 2 L. 88/1989) di “rate di pensione risultanti non dovute, non si fa luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che l'indebita percezione sia dovuta a dolo dell'interessato. Il mancato recupero delle somme predette può essere addebitato al funzionario responsabile soltanto in caso di dolo o colpa grave.”
La portata della disposizione appena indicata è stata ridotta attraverso la sua interpretazione autentica operata con l'art. 13 della Legge 30 dicembre 1991 n. 412. Quest'ultima disposizione al primo comma prevede che la sanatoria contenuta nella norma interpretata “opera in relazione alle somme corrisposte in base a formale, definitivo provvedimento del quale sia data espressa comunicazione all'interessato e che risulti viziato da errore di qualsiasi natura imputabile all'ente erogatore, salvo che l'indebita percezione sia dovuta a dolo dell'interessato. L'omessa od incompleta segnalazione da parte del pensionato di fatti incidenti sul diritto o sulla misura della pensione goduta, che non siano già conosciuti dall'ente competente, consente la ripetibilità delle somme indebitamente percepite.” Il secondo comma del citato art. 13 L. 412/1991, poi, impone all'INPS di procedere “annualmente alla verifica delle situazioni reddituali dei pensionati incidenti sulla misura o sul diritto alle prestazioni pensionistiche e provvede, entro l'anno successivo, al recupero di quanto eventualmente pagato in eccedenza.” L'indicato termine può essere prorogato con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze “non oltre il secondo anno successivo a quello della verifica”.
La regolamentazione generale appena descritta ha avuto una prima temporanea parziale estensione ed una modifica, anch'essa temporanea, che ha riguardato gli indebiti relativi ai periodi ricompresi fino al 31 dicembre 1996. L'art. 1 della Legge 23 dicembre 1996 n. 662, infatti, ai commi da 260 a 265 ha previsto una generale sanatoria riguardante, non solo le prestazioni pensionistiche, ma anche i trattamenti di famiglia nonché le rendite, anche se liquidate in capitale, a carico degli Enti pubblici di previdenza obbligatoria nonché pensioni di guerra, ovvero assegni accessori delle medesime. A favore dei soggetti che avessero percepito indebitamente le indicate provvidenze per periodi anteriori al 1° gennaio 1996, non si doveva far luogo al recupero delle somme corrispondenti a condizione che i soggetti medesimi avessero percepito un reddito personale imponibile IRPEF per l'anno 1995 di importo pari o inferiore a lire 16 milioni. La disposizione appena descritta è stata estesa anche nei confronti dei soggetti che avessero percepito indebitamente prestazioni pensionistiche o assistenziali per periodi anteriori al 1° gennaio 1996 in forza di giudicati non definitivi relativi all'applicazione della normativa di cui al D.L. 9 dicembre 1987, n. 495, e al D.L. 8 febbraio 1988, n. 25, conv. in L. 21 marzo 1988, n. 93 (arg. ex art. 38, comma 6, L. 23 dicembre 1998, n. 448). Per le ipotesi in cui il reddito percepito dall'interessato nel 1995 fosse stato superiore all'indicata soglia di 16 milioni, il recupero si sarebbe potuto effettuare nei limiti di tre quarti dell'importo riscosso. Inoltre, è stato ancora previsto che, in forza dell'indicata sanatoria, il recupero non poteva essere esteso agli eredi del pensionato, salvo che fosse stato accertato il dolo del pensionato deceduto. Il comma 265 del citato art. 1 L. 662/1996, infine, ha previsto che i trattamenti indebiti corrisposti dall'INPS o dall'INAIL nonché le pensioni di guerra sarebbero dovuti essere recuperati per intero nel caso in cui fosse stato accertato che il pagamento era avvenuto per comportamenti dolosi del soggetto interessato.
Una analoga “sanatoria” era stata disposta dall'art. 38 della Legge 28 dicembre 2001 n. 448. L'indicata disposizione, infatti, ai commi dal 7 a 10, aveva previsto che “Nei confronti dei soggetti che hanno percepito indebitamente prestazioni pensionistiche o quote di prestazioni pensionistiche o trattamenti di famiglia, a carico dell'INPS, per periodi anteriori al 1° gennaio 2001, non si fa luogo al recupero dell'indebito qualora i soggetti medesimi siano percettori di un reddito personale imponibile ai fini dell'IRPEF per l'anno 2000 di importo pari o inferiore a 8.263,31 euro.” In ipotesi di superamento dell'indicata soglia di reddito, “non si fa luogo al recupero dell'indebito nei limiti di un quarto dell'importo riscosso”. Anche questa nuova sanatoria non poteva essere applicata nei casi in cui l'indebito fosse stato determinato da un comportamento doloso dell'interessato. La regolamentazione attuale
Descritto il quadro normativo nella sua evoluzione storica, si esaminerà, adesso, la regolamentazione, a regime, della fattispecie di cui ci stiano occupando. Come ben si comprende dalla lettura del testo normativo, le sanatorie “speciali” inserite dall'art. 1 commi da 260 a 265 della Legge 662/1996 e dall'art. 38 commi da 7 a 10 della Legge 448/2001 riguardano, rispettivamente, gli indebiti verificatisi in data antecedente il primo gennaio 1996 nonché quelli formatisi tra l'01.01.1996 ed il 10.01.2001. A tale proposito si ritiene utile evidenziare che l'obbligo di restituzione dell'indebito previdenziale sorge "ex lege", con effetto istantaneo, all'atto del pagamento, sicché è al momento della relativa esecuzione che deve farsi riferimento per l'individuazione della Legge applicabile (Cass. civile, sez. lav., 12 dicembre 2016, n. 25371). Ne consegue che gli eventuali indebiti riferiti a detti periodi costituiscono, ormai, ipotesi veramente residuali (se non addirittura inesistenti) anche perché, per essi, oggi troverebbe applicazione la regola generale sulla prescrizione di cui all'art. 2946 c.c.
Per tutti i pagamenti indebiti avvenuti dopo l'indicata data del 10.01.2001, invece, trova applicazione solo ed esclusivamente la regolamentazione contenuta nell'art. 52 della Legge 88/1989 per come modificato dall'art. 13 della Legge 412/1991.
Sull'argomento occorre in primo luogo individuare l'ambito oggettivo di applicazione della norma.
Per come abbiamo già visto, il citato art. 52 L. 88/1989 trova applicazione solo nelle ipotesi di indebiti previdenziali che si riferiscono a prestazioni pensionistiche a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, delle gestioni obbligatorie sostitutive o, comunque, integrative della medesima, della gestione speciale minatori, delle gestioni speciali per i commercianti, gli artigiani, i coltivatori diretti, mezzadri e coloni nonché la pensione sociale. Appare chiaro che la normativa di favore riguarda solo le pensioni e non può essere applicata alle altre prestazioni. In questo contesto si è ritenuto che l'indicata disposizione ha natura di norma eccezionale ed è perciò insuscettibile di interpretazione analogica. Essa è applicabile esclusivamente nella materia delle pensioni e non già a qualsiasi prestazione previdenziale (Cass. civile, sez. lav., 07 marzo 2003, n. 3488). In tale prospettiva la medesima disposizione non può essere applicata neppure in ipotesi di indebito riguardante forme integrative di previdenza aziendale istituite e disciplinate dalla contrattazione collettiva o da norme regolamentari (Cass. civile, sez. lav., 31 gennaio 2017, n. 2506).
Sempre sul piano oggettivo, è ancora da riferire che, per come previsto dalla norma di interpretazione autentica del citato art. 52 L. 88/1989, contenuta nell'art. 13 della Legge 23 dicembre 1991, n. 412, la sanatoria in argomento “opera in relazione alle somme corrisposte in base a formale, definitivo provvedimento del quale sia data espressa comunicazione all'interessato e che risulti viziato da errore di qualsiasi natura imputabile all'ente erogatore”. La stessa disposizione specifica, poi, che “l'omessa od incompleta segnalazione da parte del pensionato di fatti incidenti sul diritto o sulla misura della pensione goduta, che non siano già conosciuti dall'ente competente, consente la ripetibilità delle somme indebitamente percepite”. In merito alla disposizione da ultimo indicata occorre, peraltro, riferire che essa è stata dichiarata costituzionalmente illegittima “nella parte in cui é applicabile anche ai rapporti sorti precedentemente alla data della sua entrata in vigore o comunque pendenti alla stessa data"(Corte Cost., 10 febbraio 1993, n. 39).
Come ben si vede, la mera erronea corresponsione di una prestazione pensionistica non determina, ex se, la irripetibilità delle somme corrisposte. In effetti, condizioni indispensabili perché possa trovare applicazione la disciplina di cui ci stiamo occupando è che l'indebito sia stato determinato da un errore imputabile all'Ente erogatore e che detto errore abbia riguardato il provvedimento definitivo di liquidazione della prestazione pensionistica di cui, peraltro, sia stata data formale ed espressa comunicazione all'interessato. In merito all'imputabilità dell'errore all'Ente previdenziale si è ritenuto che esso non sussiste qualora la liquidazione della pensione sia avvenuta sulla base dei dati contributivi trasmessi dal datore di lavoro, non essendo configurabile un onere dell'Ente previdenziale di sottoporre a verifica tali dati prima di procedere all'erogazione della prestazione (Cass. civile, sez. lav., 30 agosto 2016, n. 17417). Analoghe considerazioni sono state ritenute valide in ipotesi di annullamento della posizione assicurativa in ragione dell'accertamento definitivo (con efficacia di cosa giudicata) dell'insussistenza del rapporto di lavoro subordinato al quale tale posizione assicurativa si riferiva (Cass. civile, sez. lav., 23/05/1998, n. 5167).
In mancanza dei presupposti, anche formali, appena indicati troverà applicazione l'art. 2033 c.c. e l'Ente previdenziale ben potrà richiedere la restituzione delle somme erroneamente corrisposte.
A ciò è da aggiungere che il legame tra il provvedimento di liquidazione ed il pagamento della pensione deve, poi, essere ancora attuale. Il pagamento, cioè, deve essere direttamente imputato al titolare della prestazione e fondato su un provvedimento che ancora può produrre i suoi effetti. In quest'ottica, si è ritenuto che nell'ipotesi in cui l'Ente abbia continuato ad erogare i ratei della pensione di invalidità, pur dopo il decesso del beneficiario, accreditandoli sul conto corrente cointestato al coniuge superstite, trattandosi di erogazione di somme estranee ad un rapporto previdenziale facente capo al percettore non trova applicazione la normativa speciale sull'indebito, bensì l'ordinaria disciplina dell'indebito civile (Cass. civile, sez. lav., 19 settembre 2013, n. 21453).
Sul piano soggettivo, l'errore dell'Ente che ha determinato l'indebita percezione non deve essere dovuto a dolo dell'interessato o ad omessa od incompleta segnalazione da parte del pensionato di fatti incidenti sul diritto o sulla misura della pensione goduta, che non siano già conosciuti dall'ente competente. La ratio della disposizione appare evidente: non è possibile ritenere irripetibile una somma corrisposta per un comportamento doloso o negligente imputabile allo stesso soggetto a cui favore la prestazione pensionistica è stata eseguita.
Una particolare disciplina riguarda, poi, i pagamenti delle pensioni il cui ammontare è legato al reddito percepito dal titolare del diritto. A tale proposito il comma 2 del citato art. 13 L. 412/1991 ha imposto all'INPS l'onere di procedere annualmente alla verifica delle situazioni reddituali dei pensionati incidenti sulla misura o sul diritto alle prestazioni pensionistiche. Nelle ipotesi in cui la verifica reddituale evidenzia un pagamento erroneo, lo stesso Istituto previdenziale può provvedere al recupero di quanto eventualmente pagato in eccedenza entro l'anno successivo a quello della verifica. L'indicato termine può essere prorogato con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, per specifiche fattispecie individuate su proposta del Presidente dell'INPS motivata da obiettive ragioni di carattere organizzativo e funzionale anche relative alla tempistica di acquisizione delle necessarie informazioni da parte dell' Amministrazione finanziaria. Tale proroga, tuttavia, non può essere concessa per un periodo “oltre il secondo anno successivo a quello della verifica” (arg. ex art. 13 comma 2 bis L. 412/1991).
Un'ultima notazione merita di essere effettuata in materia di onere della prova. Sull'argomento si è affermato che in tema di indebito, anche previdenziale, ove l'accipiens chieda l'accertamento negativo della sussistenza del suo obbligo di restituire quanto percepito, egli deduce necessariamente in giudizio il diritto alla prestazione già ricevuta, ossia un titolo che consenta di qualificare come adempimento quanto corrispostogli dal convenuto, sicché egli ha l'onere di provare i fatti costitutivi di tale diritto (Cass. civile, sez. un., 04 agosto 2010, n. 18046; Cass. civile, sez. lav., 31 gennaio 2017, n. 2506 citata).
In conclusione
La ripetizione dell'indebito previdenziale pensionistico è regolamentata da una disciplina speciale in forza della quale l'Ente previdenziale non può chiedere la restituzione delle somme corrisposte erroneamente in forza di un provvedimento di liquidazione definitivo e già formalmente comunicato al soggetto interessato. L'errore non deve essere, ovviamente, dovuto ad un comportamento doloso o negligente del pensionato. |