La Cassazione allarga il perimetro del demansionamento

14 Luglio 2014

Ribadendo orientamenti già esplicitati, la recente sentenza n. 16012 della Cassazione precisa che nell'ipotesi di assegnazione al lavoratore di mansioni diverse da quelle precedentemente svolte, l'equivalenza deve essere valutata dal giudice anche nel caso in cui le mansioni di provenienza non siano state affidate ad altro dipendente.

Modifica peggiorativa delle mansioni svolte

Il caso esaminato dalla Cassazione Lavoro nella sentenza n. 16012/2014 trae origine dalla conferma della Corte d'Appello di Bologna della presenza dei presupposti di demansionamento e dalla determinazione equitativa di una somma denaro – individuata in 3/5 della retribuzione mensile – da versare a titolo di risarcimento ad una lavoratrice in ragione della dequalificazione professionale.
La parte datoriale (una casa di cura), tra gli altri motivi dedotti in Cassazione, denuncia la violazione degli artt. 2103 e 2687 c.c., in quanto la mancata reintegra del medico responsabile non sarebbe stata possibile per via dell'assenza di un raggruppamento interno equipollente nella struttura ospedaliera.

Il rapporto tra le parti resta di natura privatistica

La circostanza che la casa di cura operasse sulla base di un'apposita convenzione regionale non può incidere – osservano gli Ermellini nel dispositivo depositato l'11 luglio - “sulla natura giuridica privatistica”: da qui l'applicazione della disciplina prescritta dall'art. 13 dello Statuto dei Lavoratori.
Si precisa inoltre che nell'ipotesi di assegnazione al lavoratore di mansioni diverse da quelle precedentemente svolte, l'equivalenza deve essere valutata dal giudice anche nel caso in cui le mansioni di provenienza non siano state affidate ad altro dipendente, ma si siano esaurite (si veda Cass. n. 1575/2010).

Modifica in pejus solo con il consenso

Sempre con riferimento all'accertato demansionamento, devono ritenersi corrette le indicazioni a supporto del principio di diritto per cui la modifica in pejus è illegittima laddove disposta in assenza del consenso del dipendente (anche se finalizzata ad evitare il licenziamento o la messa in CIG dello stesso). Altrimenti risulta primariamente pacifica la tutela della dignità e della libertà della persona.
Il ricorso viene quindi respinto, con spese di giudizio a carico della ricorrente.

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