Il provvedimento del Garante Privacy non ha efficacia di cosa giudicata
12 Luglio 2017
Cass. civ., sez. III, 25 maggio 2017, n. 13151
Nell'ambito di una vicenda di rilevanza pubblica locale, una conversazione telefonica privata - automaticamente registrata per ragioni di servizio - era stata abusivamente captata e fatta pervenire a diverse testate giornalistiche. Una, in particolare, pubblicava il testo letterale (parziale) del colloquio e dava risalto alla vicenda con altri articoli, oltre a rendere gratuitamente disponibile l'intera registrazione sul sito internet del giornale. Società editrice e direttore responsabile venivano convenuti in giudizio per il risarcimento dei danni derivati dalla diffamazione a mezzo stampa, cui si aggiungevano la lesione del diritto alla riservatezza, nonché dei diritti della personalità (immagine, onore, reputazione) e della vita familiare, professionale e di relazione.
I giudici di seconde cure concludevano per la legittimità della pubblicazione. Adita la Cassazione, l'attore (ora ricorrente) deduceva l'inosservanza del provvedimento a suo favore del Garante della Privacy che, non opposto, dovrebbe essere equiparato ad un giudicato sull'illiceità del trattamento dei dati, vincolando il giudice ordinario.
Di diverso parere la Suprema Corte, che si pronuncia nei seguenti termini: “in ragione della natura amministrativa dell'organo e del relativo procedimento, che non pone il Garante nella stessa posizione di terzietà assicurata dal giudice nel processo (…) il provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali, non opposto ai sensi degli artt. 151 e 152 del D.Lgs. n. 196/2003, non può mai acquistare efficacia (equiparabile a quella) di cosa giudicata nel separato giudizio che l'interessato abbia successivamente instaurato dinanzi all'autorità giudiziaria ordinaria per ottenere il risarcimento dei danni che assume provocati dalla lesione del diritto alla riservatezza e del diritto alla protezione dei dati personali”. |