Il datore licenzia per questioni di riorganizzazione, il giudice valuta la reale sussistenza del motivo

La Redazione
11 Dicembre 2014

Il motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva, nel cui ambito rientra anche l'ipotesi di riassetto organizzativo attuato per l'economica gestione dell'impresa, è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa; mentre al giudice spetta il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall'imprenditore. Quando però il datore di lavoro non provi la ricorrenza del motivo addotto a giustificazione del provvedimento di recesso, il licenziamento è illegittimo.

Cass.civ., sez.VI, 9 dicembre 2014, n. 25874, sent.

Il motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva, nel cui ambito rientra anche l'ipotesi di riassetto organizzativo attuato per l'economica gestione dell'impresa, è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa; mentre al giudice spetta il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall'imprenditore. Quando però il datore di lavoro non provi la ricorrenza del motivo addotto a giustificazione del provvedimento di recesso, il licenziamento è illegittimo. E' stato così deciso nell'ordinanza n. 25874, della Corte di Cassazione, depositata il 9 dicembre 2014.

Il caso. La Corte d'appello, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava illegittimo il licenziamento intimato ad un lavoratore, condannando la società datrice di lavoro a riassumere il dipendente o, in alternativa, a corrispondergli un risarcimento del danno pari a 3 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto oltre la rivalutazione monetaria ed interessi legali. In particolare, la Corte di merito non aveva ritenuto provato il giustificato motivo oggettivo, costituito, secondo la società, da insostenibili diseconomie interne e da un decremento degli affari con conseguenti perdite di esercizio .
La società ricorreva per cassazione, lamentando la violazione e falsa applicazione dell'art. 3 l. n. 604/1966 (Norme sui licenziamenti individuali), per aver la Corte di merito valutato l'opportunità di scelte imprenditoriali e l'organizzazione aziendale attuata successivamente al licenziamento, oltrepassando così il limite del sindacato riconosciuto dalla legge al giudice. Erroneamente i Giudici territoriali avevano ritenuto che non fosse stata attuata alcuna riorganizzazione tale da giustificare il recesso, benché la società avesse dimostrato la correttezza del proprio operato documentando la progressiva riduzione del fatturato negli anni successivi al licenziamento.

La valutazione del motivo oggettivo di licenziamento spetta al datore, il controllo della reale sussistenza, invece, spetta al giudice. La Cassazione, nel decidere la questione in esame, ricorda che, per consolidato orientamento giurisprudenziale in sede di legittimità, «il motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva, nel cui ambito rientra anche l'ipotesi di riassetto organizzativo attuato per la più economica gestione dell'impresa, è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa, atteso che tale scelta è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 Cost., mentre al giudice spetta il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall'imprenditore; ne consegue che non è sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente licenziato, sempre che risulti l'effettività e la non pretestuosità del riassetto organizzativo operato» (Cass., n. 24235/2010).
Nel caso di specie, la Corte di merito aveva ritenuto, con motivazione esauriente e coerente, che la società non avesse provato la ricorrenza del motivo addotto a giustificazione del licenziamento, rimanendo quindi, nell'ambito del sindacato riconosciuto al giudice.
Sulla base di tali argomenti, la Suprema Corte rigetta il ricorso.

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