Lo schema del decreto legislativo recante disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, pubblicato nel sito del Governo e presentato alle Camere per il prescritto parere parlamentare (Atto n. 134 per la Camera dei deputati; Atto n. 134 per il Senato), attualmente all'esame delle Commissioni Lavoro e Bilancio di ciascuna delle Camere, consente già di fare delle riflessioni in ordine ai profili processuali della riforma in itinere della disciplina dei licenziamenti.
Abstract
Lo schema del decreto legislativo recante disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, pubblicato nel sito del Governo e presentato alle Camere per il prescritto parere parlamentare (Atto n. 134 per la Camera dei deputati; Atto n. 134 per il Senato), attualmente all'esame delle Commissioni Lavoro e Bilancio di ciascuna delle Camere, consente già di fare delle riflessioni in ordine ai profili processuali della riforma in itinere della disciplina dei licenziamenti.
La delega legislativa
Il primo decreto legislativo autorizzato dalla legge delega 10 dicembre 2014 n. 183, recante in particolare la delega in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro, si riferisce segnatamente alla delega di cui all'art. 1, comma settimo, che è finalizzata "allo scopo di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo" e che ha previsto "per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all'anzianità di servizio, escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l'anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l'impugnazione del licenziamento" (art. 1, comma 7, lett. c). La delega è particolarmente incisiva perché rimodella nuovamente la disciplina dei licenziamenti dopo poco più di due anni dalla legge n. 92 del 2012 (c.d. riforma Fornero) limitando la reintegrazione nel posto di lavoro per la nuova fattispecie del contratto di lavoro a tutele crescenti alle sole ipotesi di licenziamento discriminatorio, di nullità del licenziamento e di alcune fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato; inoltre esclude dalla reintegrazione i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo; prevede poi un indennizzo economico non più lasciato alla valutazione discrezionale del giudice, ma collegato esclusivamente alla anzianità di servizio. Il legislatore delegato ritiene però di attuare questa delega non già modificando l'art. 18 della legge n. 300 del 1970 (Statuto dei lavoratori), né la legge n. 92 del 2012, che ne ha riscritto i primi sei commi, ma introducendo una nuova e distinta disciplina che si aggiunge a quella preesistente, senza abrogarla, e che si applica ai contratti stipulati successivamente all'entrata in vigore del decreto legislativo. Risulta quindi una marcata modulazione temporale della disciplina dei licenziamenti individuali e collettivi che è destinata a durare nel tempo perché la disciplina attualmente vigente - che già di per sé non è uniforme perché le innovazioni apportate dalla legge n. 92/2012 si applicano, quanto ai profili sostanziali, ai "nuovi" licenziamenti (quelli intimati dopo l'entrata in vigore di quest'ultima) e, quanto ai profili processuali, alle "nuove controversie" (quelle instaurate successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 92/2012 ed aventi ad oggetto l'impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall'art. 18 l. n. 300 del 1970) - continuerà ad applicarsi a tutti i rapporti già in atto, mentre la nuova disciplina si applicherà ai rapporti instaurati successivamente all'entrata in vigore del decreto legislativo nella forma del contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti. La ratio di fondo del decreto legislativo in corso di approvazione è quella di lasciare inalterato l'esistente e di intervenire solo per i nuovi rapporti di lavoro (salvo che per un profilo particolare legato al superamento della soglia dimensionale di applicabilità dell'art. 18 cit.: cfr. art. 1, comma 2, dello schema di d.lgs.). C'è però da considerare che la novella del 2012 non si è limitata a riscrivere, in buona parte, l'art. 18 cit.; gli ha anche affiancato una disciplina processuale inedita con l'introduzione di un rito speciale (c.d. rito Fornero: commi da 48 a 68 dell'art. 1 della legge n. 92 del 2012) per le controversie in tema di licenziamenti il cui carattere peculiare sta nel frazionamento del giudizio di primo grado in due fasi: una fase a cognizione semplificata e l'altra di impugnazione (a cognizione piena nello stesso grado). La prima fase - che ricorda il rito sommario di cognizione (art. 702 bis c.p.c.) e quello per le controversie in materia di discriminazione (art. 28 d.lgs. n. 150 del 2011) - è caratterizzata soprattutto dalla mancanza di formalità: non c'è – rispetto al rito ordinario (quello delle controversie di lavoro) - il rigido meccanismo delle decadenze e delle preclusioni di cui agli artt. 414 e 416 c.p.c. La seconda fase è introdotta con un atto di opposizione secondo un modulo processuale che ricorda quello disegnato dall'art. 28 l. n. 300 del 1970 (per la repressione della condotta antisindacale) che parimenti prevede una duplice fase: la prima, che termina con un decreto, motivato ed immediatamente esecutivo; la seconda che è introdotta con opposizione al decreto innanzi al giudice di primo grado che decide con sentenza. Il nuovo rito speciale riguarda le controversie che abbiano come causa petendi l'illegittimità del licenziamento individuale, anche se discriminatorio o collettivo, e come petitum una delle tutele previste dall'art. 18 novellato: la domanda di reintegrazione nel posto di lavoro ovvero l'attribuzione dell'indennità sostitutiva della stessa, parimenti prevista dall'art. 18 cit., ovvero ancora l'attribuzione dell'indennità risarcitoria o compensativa.
Il rito Fornero per le “nuove cause” di licenziamento
Orbene, il legislatore delegato, nell'innovare ulteriormente la disciplina sostanziale dei licenziamenti individuali e collettivi, nei profili sostanziali, si è posto il problema della sorte di questa recente disciplina processuale a carattere speciale. L'art. 12 dello schema di d.lgs. dà una risposta netta perché prevede: «Ai licenziamenti di cui al presente decreto non si applicano le disposizioni dei commi da 48 a 68 dell'articolo 1 della legge n. 92 del 2012». La Relazione illustrativa di accompagnamento di tale testo normativo si limita a rilevare che tale disposizione esclude l'applicabilità, ai licenziamenti disciplinati dal decreto legislativo, del rito speciale introdotto dalla riforma del 2012 per le controversie aventi a oggetto l'impugnativa dei licenziamenti di cui alle ipotesi previste dall'art. 18 cit., nonché le questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro. In vero la Relazione non aggiunge alcunché al dato testuale dell'art. 12 cit. limitandosi a ribadire che è prevista la non applicabilità del nuovo rito speciale, il c.d. rito Fornero di cui da più parti, soprattutto dell'Avvocatura, è stata chiesta l'abrogazione. Una prima considerazione da fare è che non solo il rito Fornero rimane applicabile alle controversie già instaurate successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 92/2012 ed aventi ad oggetto l'impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall'art. 18 l. n. 300 del 1970; ma continuerà ad applicarsi anche alle future controversie relative a rapporti di lavoro attualmente in essere, che non sono toccati dalle novità di carattere sostanziale quanto alla disciplina dei licenziamenti individuali e collettivi. Quindi alla differenziazione nel tempo della disciplina sostanziale applicabile si affianca anche una differenziazione diacronica quanto alla disciplina processuale applicabile. In vero, la soluzione più radicale di abrogazione del rito Fornero avrebbe probabilmente il pregio di uniformare per il futuro la disciplina processuale applicabile ai licenziamenti, ma non appare essere nella facoltà del legislatore delegato in mancanza di delega in proposito. Ma anche la soluzione intermedia adottata dal legislatore delegato (i.e. inapplicabilità del rito Fornero ai licenziamenti cui si applichi, per i profili sostanziali, il decreto legislativo) pone un problema di compatibilità con la delega di cui all'art. 1 comma 7, lett. c), l. n. 184/2014. Nel dossier del Servizio Studi del Senato si segnala accortamente l'opportunità di «valutare se l'esclusione di cui all'articolo 11 [poi divenuto art. 12] rientri nell'àmbito dei principii e dei criteri direttivi di delega». In effetti non pare potersi rinvenire un espresso criterio direttivo che facoltizzi l'intervento normativo anche in materia processuale. Si prevede invero nell' art. 1, comma 7, l. n. 183/2014 la delega per innovare la disciplina sostanziale delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro secondo determinati criteri direttivi, ma in realtà nulla si dice quanto ai profili processuali. La lettera c) di tale art. 1, comma 7, contempla, come criterio direttivo, la definizione di termini certi per l'impugnazione del licenziamento; ma tali termini non appartengono al processo e comunque sono già stabiliti in via generale - come (brevi) termini di decadenza e di efficacia dell'impugnazione del licenziamento - dalla disciplina vigente recentemente novellata (art. 6 l. n. 604 del 1966, come sostituito dall' art. 32 l. n. 183 del 2010, e poi modificato dall'art. 1, comma 38, l. n. 92 del 2012). Anche la prescrizione di cui alla lettera b) del comma 6 del cit. art. 1 dello schema di d.lgs., quand'anche assai generale perché prevede come criterio direttivo la «semplificazione, anche mediante norme di carattere interpretativo, o abrogazione delle norme interessate da rilevanti contrasti interpretativi, giurisprudenziali o amministrativi», non sembra offrire supporto al potere normativo delegato del Governo. Vero è che il c.d. rito Fornero è stato da subito oggetto di diverse e talvolta contrastanti opzioni interpretative in dottrina e nella giurisprudenza di merito quanto alla costruzione di tale nuovo modulo processuale. Ma la prevista disposizione delegata (l'art. 12 cit.) in realtà dispone solo per il futuro e per di più in termini di mera non applicabilità di questa speciale disciplina processuale. Quindi solo indirettamente potrebbe gettare luce sui problemi interpretativi sorti nell'applicazione del rito Fornero, in ordine ai quali peraltro la giurisprudenza di legittimità sta cominciando ad intervenire senza che finora si registrino contrasti interpretativi (cfr. i due recenti interventi delle Sezioni Unite della Corte di cassazione sul rito Fornero in tema di regolamento di competenza e di regolamento preventivo di giurisdizione: Cass., sez. un., 31 luglio 2014, n. 17443; 18 settembre 2014, n. 19674).
Una considerazione di sistema
Il rito Fornero (ossia i commi da 48 a 68 dell'art. 1 della legge n. 92 del 2012) si affianca alla disciplina sostanziale della riforma dell'art. 18 cit. (ossia i commi da 42 a 46 del medesimo art. 1) in termini di stretta continuità normativa sì da poter identificare un unico intervento riformatore che coniuga in un tutt'uno i profili sostanziali e quelli processuali. Sicché la delega a "riordinare i contratti di lavoro", che significa delega a dettare una disciplina diversa dall'ultima (in ordine di tempo) novella dell'art. 18 abbraccia sia i profili sostanziali che quelli processuali. In sostanza sembra che possa dirsi che la delega che facoltizza il legislatore delegato ad introdurre una disciplina sostanziale per i nuovi contratti di lavoro a tutele crescenti in termini diversi rispetto alla riforma del 2012 comprenda implicitamente anche la delega ad intervenire sulla rispettiva disciplina processuale proprio perché nel l'ultimo intervento riformatore i due profili erano intrinsecamente collegati. Non di meno alle perplessità in ordine alla mancanza di un espresso criterio di delega per i profili processuali (in riferimento al rispetto dell'art. 77, primo comma, Cost.) si aggiungono dubbi in ordine alla ragionevolezza della disciplina processuale differenziata e quindi alla compatibilità con il principio di eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.). Mentre per le nuove ipotesi di tutela indennitaria dei licenziamenti riguardanti contratti di lavoro a tutela crescenti può dirsi che la diversità della fattispecie contrattuale costituisce ragione giustificatrice della differenziata disciplina sotto l'aspetto processuale, per altro verso deve rilevarsi che la disciplina sostanziale dei nuovi contratti di lavoro (quelli a tutela crescenti) lascia comunque alcune ipotesi in cui trova ancora applicazione la tutela reintegratoria dell'art. 18 l. n. 300/1970; e sono ipotesi per le quali anche la legge n. 92 del 2012 prevedeva - e prevede tuttora - la tutela reintegratoria. Per tali fattispecie di licenziamento illegittimo, che innescano la tutela reintegratoria, vi è una continuità di disciplina sostanziale tra "prima" e "dopo" il decreto legislativo in corso di approvazione, mentre all'opposto vi sarebbe una diversità di disciplina processuale senza che emerga una apprezzabile ragione giustificatrice. Ad. es. il licenziamento discriminatorio che oggi dà luogo alla tutela reintegratoria continuerà a rendere applicabile questa tutela di carattere sostanziale; invece sul piano processuale la disciplina sarebbe differenziata: rito Fornero versus rito ordinario. A queste perplessità in termini di dubbia giustificatezza della disciplina processuale differenziata sotto questo profilo si accompagnerebbe poi un'ancor più marcata discontinuità in caso di licenziamento collettivo illegittimo che riguardi sia lavoratori attualmente in servizio che lavoratori assunti con contratto di lavoro a tutele crescenti. Per contestare in sede giudiziaria la legittimità dello stesso licenziamento per alcuni lavoratori applicabile sarebbe il rito Fornero e per altri no.
Conclusioni
Una considerazione finale può svolgersi. Se non di meno il nuovo contesto normativo sarà quello che emerge dall'art. 12 dello schema di decreto legislativo - che vede comunque come alternativa plausibile, se non proprio preferibile, la mera astensione dall'introduzione di norme di carattere processuale - allora per ridimensionare il solco che si creerebbe per effetto di questa discontinuità in termini processuali (i.e. applicabilità del rito Fornero versus inapplicabilità dello stesso) ci sarà una ragione in più per preferire la tesi della facoltatività, e non già obbligatorietà, di tale rito. La ratio del rito Fornero è la tutela urgente del lavoratore che impugna il licenziamento come illegittimo ed invoca l'applicazione dell'art. 18 l. n. 300/1970. La rapidità dell'accesso alla tutela fa aggio sulla istruttoria che è limitata "agli atti di istruzione indispensabili"; e questa iniziale limitazione è bilanciata da una seconda fase del giudizio di primo grado, costruita in forma di «opposizione» all'esito della prima fase e che è invece caratterizzata da una cognizione ordinaria, quindi piena, attraverso un'istruttoria estesa a (tutti) gli "atti di istruzione ammissibili e rilevanti". Una analoga cognizione sommaria in senso lato si rinviene anche in procedimenti speciali similari: nel procedimento sommario di cognizione (art. 702 bis, primo comma, c.p.c.), nel procedimento cautelare uniforme (artt. 609 bis ss. c.p.c.), nel procedimento di repressione della condotta antisindacale (art. 28 l. n. 300 del 1970), nel procedimento di repressione della condotta discriminatoria (art. 28 d.lgs. n. 150 del 2011). In tutti questi moduli processuali la tutela speciale assicurata al ricorrente con un rito differenziato, rapido e deformalizzato, non esclude che quest'ultimo possa preferire e richiedere la tutela ordinaria del giudizio a cognizione piena. Ciò è di tutta evidenza per la tutela cautelare; ma lo è anche per la tutela a cognizione sommaria (l'art. 702 bis c.p.c. prevede che la domanda "può" essere proposta con ricorso nelle forme di tale disposizione). La giurisprudenza poi riconosce che l'associazione sindacale possa proporre un'azione ordinaria diretta all'accertamento della condotta antisindacale in alternativa al ricorso exart. 28 l. n. 300/1970. L' art. 28 d.lgs. n. 150 del 2011, nel richiamare il procedimento a cognizione sommaria non deroga all' art. 702 bis c.p.c.; quindi anche la previsione del procedimento speciale di repressione della condotta discriminatoria lascia comunque la facoltà del ricorso secondo il rito ordinario. Vi è poi un'esigenza di interpretazione costituzionalmente orientata al rispetto sia del diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.), che sarebbe in sofferenza per l'impossibilità di accedere subito ad una tutela a cognizione piena ogni qualvolta il vizio del licenziamento non si presti ad emergere solo con "atti di istruzione indispensabili", ma richieda tutti gli "atti di istruzione ammissibili e rilevanti"; sia al principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), per la difettosa coerenza di un rito differenziato, indirizzato a speciale tutela del lavoratore licenziato, che però imponga a quest'ultimo un rito che lo vede penalizzato quando fin dall'inizio le allegate ragioni dell'illegittimità del licenziamento possono emergere solo con la cognizione piena consentita dagli "atti di istruzione ammissibili e rilevanti" e non già con la cognizione semplificata con meri "atti di istruzione indispensabili". Appare quindi di dubbia compatibilità con tali parametri il fatto che questa speciale tutela a cognizione semplificata possa schermare - a differenza che degli altri similari procedimenti che parimenti prevedono una cognizione sommaria in senso lato - la tutela ordinaria a cognizione piena, necessariamente rinviata ad una seconda fase, quella dell'opposizione, quand'anche in prosecuzione con la prima fase (così come si è ritenuto in giurisprudenza). Né c'è un interesse del datore di lavoro a che il lavoratore percorra necessariamente la via rapida del rito speciale una volta che è stato introdotto un generale termine di decadenza per impugnare il licenziamento e poi adire il giudice, termine del cui rispetto è onerato il lavoratore che intenda contestare la legittimità del licenziamento. A queste ragioni di interpretazione sistematica, che emergono dal contesto complessivo degli indicati procedimenti speciali a cognizione sommaria, e di interpretazione costituzionalmente orientata si aggiungerebbe ora la considerazione esegetica indiretta desumibile dall'art. 12 dello schema di decreto legislativo nel senso che sarebbe meno marcata - e quindi meno divergente sotto il profilo del rispetto del principio di eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.) - la discontinuità, non solo diacronica ma anche a regime, che ne deriverebbe in termini di disciplina processuale applicabile ai licenziamenti illegittimi.
Guida all'approfondimento
V. Carinci, Un contratto alla ricerca di una sua identità: il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, 2015 Adapt Labour Studies n. 37.
G. Amoroso, in Amoroso-Di cerbo -Maresca, Diritto del lavoro, vol. II, Lo statuto dei lavoratori e la disciplina dei licenziamenti, Giuffré, Milano, 2014, 788.
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Il rito Fornero per le “nuove cause” di licenziamento