Fatto "insussistente": quale tutela?

Luigi Santini
13 Marzo 2017

In caso di licenziamento disciplinare, un fatto non tempestivamente contestato ex art. 7, L. n. 300/1970, non può che essere considerato come "insussistente", non possedendo l'idoneità ad essere verificato in giudizio, con conseguente applicabilità del regime di tutela reintegratoria attenuata di cui all'art. 18, comma 4, Legge n. 300/1970, come novellato dall'art. 1, comma 42, lett. b), Legge 28 giugno 2012, n. 92.
Massima

In caso di licenziamento disciplinare, un fatto non tempestivamente contestato ex art. 7, L. n. 300/1970, non può che essere considerato come "insussistente", non possedendo l'idoneità ad essere verificato in giudizio, con conseguente applicabilità del regime di tutela reintegratoria attenuata di cui all'art. 18, comma 4, Legge n. 300/1970, come novellato dall'art. 1, comma 42, lett. b), Legge 28 giugno 2012, n. 92.

Il caso

La controversia trae origine da una impugnativa di licenziamento disciplinare per assenza ingiustificata, conseguente al rifiuto di una dipendente di Poste Italiane S.p.A., che in una precedente controversia aveva ottenuto la declaratoria di illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro subordinato e la trasformazione di questo in rapporto a tempo indeterminato (con ordine di riassunzione), ad essere riammessa in servizio presso una sede lavorativa diversa da quella in cui aveva precedentemente lavorato, ove la prestatrice non prendeva servizio.

La Poste Italiane S.p.A. aveva contestato, con ritardo di oltre un anno, l'assenza ingiustificata dal lavoro ed aveva successivamente intimato il licenziamento, che la Corte di appello di Roma, all'esito dei due gradi di merito, aveva dichiarato illegittimo per violazione dell'art. 7, L. n. 300/1970 (violazione del principio di immediatezza della contestazione), con le correlate statuizioni reintegratorie e risarcitorie, parametrate al regime di tutela reale “attenuato” di cui al novellato art. 18, comma 4, Legge n. 300/1970.

La questione

La questione da esaminare è se, nella individuazione della tutela applicabile in caso licenziamento disciplinare illegittimo, l'insussistenza del fatto contestato, cui è correlata la applicabilità della tutela reale “depotenziata” di cui all'art. 18, comma 4, Legge n. 300/1970, possa essere riferita solo ai profili di merito attinenti alla concreta sussistenza del fatto materiale oggetto di addebito disciplinare ovvero possa essere integrata anche dalla violazione delle cadenze procedimentali poste dall'art. 7, L. n. 300/1970, con particolare riguardo al principio di necessaria contiguità cronologica tra l'infrazione e la relativa contestazione dell'addebito.

Le soluzioni giuridiche

Come è noto, ai sensi dell'art. 18, Legge n. 300/1970, come novellato dall'art. 1, comma 42, Legge n. 92/2012, la tutela reintegratoria “attenuata” si applica in caso di (assenza di) giusta causa o giustificato motivo soggettivo, ove il fatto contestato non sussista ovvero il medesimo rientri tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle tipizzazioni di giustificato motivo soggettivo e di giusta causa previste dai contratti collettivi ovvero dai codici disciplinari applicabili (comma 4).

Si applica invece la tutela indennitaria “forte” alle altre ipotesi riconducibili alla nozione di licenziamento annullabile, e cioè in tutti i casi, diversi da quelli ricordati in precedenza, di assenza di giusta causa o giustificato motivo soggettivo (comma 5).

Il rapporto tra la fattispecie disciplinata dal comma 4, art. 18, L. n. 300/1970 (esclusione del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro,"per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili”) e la fattispecie regolata dal comma 5 ("altre ipotesi in cui si accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro”) è stato interpretato dalla sentenza della Suprema Corte 6 novembre 2014, n. 23669, nel senso che la legge distingue il “fatto materiale” dalla sua qualificazione in termini di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo, riconoscendo la tutela reintegratoria solo in caso di insussistenza del “fatto materiale” posto a fondamento del licenziamento, con la conseguenza che ogni ulteriore, diversa valutazione non sarebbe idonea a determinare la condanna del datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto.

E' stato poi nuovamente interpretato nella successiva sentenza 13 ottobre 2015, n. 20540, in cui si è statuito che "L'insussistenza del fatto di cui all'art. 18, L. n. 300/1970, come modificato dalla L. n. 92/2012, comprende anche l'ipotesi in cui il fatto sussista ma sia privo di illiceità, poiché la completa irrilevanza giuridica del fatto contestato equivale alla sua insussistenza materiale ed è, pertanto, suscettibile di dare luogo alla tutela reintegratoria”.

Alla c.d. tesi del “fatto materiale” (così definita perché, appunto, l'esistenza del “fatto materiale” è valutata senza alcun margine discrezionale, con riguardo esclusivo alla sussistenza degli elementi materiali della fattispecie) sono state quindi contrapposte la c.d. tesi del “fatto giuridico” (“che ricomprende anche l'ipotesi in cui il fatto sussista ma sia privo di illiceità, sul presupposto che la completa irrilevanza giuridica del fatto contestato equivale alla sua insussistenza materiale”) ovvero quella (intermedia) del “fatto inadempimento” (“ispirata alle norme civilistiche sulle obbligazioni, per la quale “l'elemento soggettivo è parte integrante dell'illecito contestato ed il difetto (o la carenza di prova) di esso, ridonderebbe in termini di insussistenza del fatto (con conseguente applicazione della reintegrazione)”).

Nel novellato art. 18 difetta, tuttavia, ogni riferimento ad una categoria che riveste un ruolo importante nella verifica della legittimità di un licenziamento disciplinare, che è quella delle necessaria tempestività della contestazione dell'addebito e della correlata sanzione espulsiva. In passato non vi era motivo di prevedere alcunchè, atteso che ogni ipotesi di illegittimità del licenziamento era assoggettata al medesimo trattamento sanzionatorio.

Il problema si pone invece con l'attuale disciplina, a seguito delle modifiche introdotte dalla Legge n. 92/2012, dovendosi stabilire in quale sub-categoria di licenziamento illegittimo, prevista dal novellato art. 18, possa essere ricondotta l'ipotesi del “fatto non tempestivamente contestato” e, pertanto, del licenziamento tardivamente intimato.

In quest'ordine di concetti, non può ignorarsi quanto prevede il sesto comma dell'art. 18 riformato, ai sensi del quale si applica la tutela indennitaria di cui al quinto comma “nell'ipotesi in cui il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione […] della procedura di cui all'articolo 7 della presente Legge”.

Pertanto, poiché l'ipotesi di tardività della contestazione viene tradizionalmente qualificata quale violazione del disposto di cui al secondo comma dell'art. 7, L. n. 300/1970, non sembrerebbe potersi dubitare in ordine alla sua riconducibilità nel regime di tutela indennitaria, disciplinato dal quinto comma dell'art. 18 novellato.

In un simile quadro normativo, la sentenza in commento, a dir la verità in modo piuttosto sorprendente, ricostruisce l'ipotesi della tardiva contestazione dell'addebito in termini assolutamente originali ed innovativi, statuendo che “un fatto non tempestivamente contestato ex art. 7, L. n. 300/1970 non può che essere considerato come "insussistente", non possedendo l'idoneità ad essere verificato in giudizio. Si tratta in realtà di una violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro a carattere radicale che, coinvolgendo i diritti di difesa del lavoratore, impedisce in radice che il Giudice accerti la sussistenza o meno del " fatto", e quindi di valutarne la commissione effettiva, anche a fini delle scelta tra i vari regimi sanzionatori. Non essendo stato contestato idoneamente ex art. 7 il "fatto" è "tamquam non esset" e quindi " insussistente" ai sensi a dell'art. 18 novellato. Sul piano letterale la norma parla di insussistenza del "fatto contestato" (quindi contestato regolarmente) e quindi, a maggior ragione, non può che riguardare anche l'ipotesi in cui il fatto sia stato contestato abnormemente e cioè in aperta violazione dell'art. 7”.

Osservazioni

La sentenza in commento, come si è detto, offre una soluzione piuttosto originale sul regime applicabile al licenziamento illegittimo per difetto di tempestività della contestazione disciplinare.

L'elaborazione tradizionale, infatti, non aveva mai posto in dubbio che detta ipotesi, qualificata quale violazione della procedura di cui all'art. 7, L. n. 300/1970, dovesse essere ricondotta nell'ambito applicativo del comma 6, art. 18 novellato, e quindi in un regime di tutela esclusivamente indennitaria.

In realtà, l' applicazione dell'art. 18, comma 6, Legge n. 300/1970, con riguardo al contenzioso in materia di licenziamento disciplinare, pone seri problemi interpretativi.

In particolare, con riguardo alla fattispecie di tardività della contestazione disciplinare, occorre domandarsi se il requisito della tempestività riguardi, sotto il profilo meramente procedurale, la comunicazione dell'addebito disciplinare o, più in generale, l'esercizio stesso del potere disciplinare. Interrogativo la cui soluzione non rimane priva di conseguenze, ove si osservi che nel caso di inosservanza si dovrà ritenere violato, secondo la prima ipotesi, l'art. 7, comma 2, L. n. 300/1970, con conseguente applicazione dell'art. 18, co. 6 (tutela indennitaria), mentre, in base alla seconda, potrebbe trovare applicazione la tutela reintegratoria “attenuata” di cui al quarto comma.

La decisione in esame sembra aderire a tale ultimo orientamento, avendo posto il principio secondo cui il fatto tardivamente contestato equivarrebbe al fatto insussistente, non possedendo alcuna idoneità ad essere verificato in giudizio, e sarebbe quindi "tamquam non esset". Saremmo, cioè, in presenza di un vizio radicale che, a prescindere dalla sua natura formale/procedurale, impedisce in radice al giudice di accertare la sussistenza o meno del "fatto", “e quindi di valutarne la commissione effettiva, anche a fini delle scelta tra i vari regimi sanzionatori”.

Ciò in quanto, prosegue la Suprema Corte, “la norma parla di insussistenza del "fatto contestato" (quindi contestato regolarmente) e quindi, a maggior ragione, non può che riguardare anche l'ipotesi in cui il fatto sia stato contestato abnormemente e cioè in aperta violazione dell'art. 7”.

Tali statuizioni, pur pregevoli nella loro perentorietà, si prestano a quale osservazione critica.

In primo luogo, l'equiparazione tra la tardiva contestazione e la radicale insussistenza del fatto appare del tutto distonica rispetto ai più recenti approdi della Cassazione, che ha oscillato tra la tesi del “fatto materiale”, individuando la sussistenza del fatto contestato con riguardo esclusivo alla sussistenza degli elementi materiali della fattispecie (v., Cass. sez. lav., 6 novembre 2014, n. 23669) e la tesi del “fatto giuridico”, che vi ricomprende anche l'ipotesi in cui il fatto sussista ma sia privo di illiceità (Cass. sez. lav., 13 ottobre 2015, n. 20540).

In secondo luogo, l'interpretazione offerta dalla Suprema Corte appare in contrasto con quanto previsto dal legislatore sia nell'art. 18, comma 6, Legge n. 300/1970 (di cui si è detto), sia nell'art. 3, comma 2, D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23 (c.d. Jobs Act), laddove si è previsto che "esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennita' risarcitoria …".

In terzo luogo, i principi espressi nella sentenza in commento si prestano inevitabilmente ad interpretazioni difformi ed a seri problemi di natura applicativa, dal momento che, a quanto si legge nella parte motiva, la Suprema Corte ha inteso riferirsi non a qualunque ipotesi di tardiva contestazione, ma solo al caso in cui "il fatto sia stato contestato abnormemente e cioè in aperta violazione dell'art. 7". In altri termini, non ogni ipotesi di tardività assume rilevanza, ma solo quella in cui il ritardo sia caratterizzato da abnormità e da palese contrasto con le garanzie procedurali poste dallo Statuto.

Nella fattispecie, in effetti, la contestazione dell'addebito era avvenuta con un ritardo di oltre un anno, che la stessa Cassazione ha definito “abnorme e totalmente privo di ragioni”, per cui vi è da chiedersi quale sia il criterio interpretativo attraverso cui individuare la soglia-limite oltre la quale l'inosservanza del principio di immediatezza possa assumere caratteristiche di abnormità tali da consentire l'applicazione della tutela reintegratoria attenuata di cui al comma 4, in luogo di quella indennitaria prevista dal comma 6.

Ed appare evidente che, in un sistema sanzionatorio analiticamente disciplinato dal legislatore attraverso la previsione capillare di una serie di sub-fattispecie, e quindi teso a delimitare entro limiti precisi l'ambito interpretativo rimesso al giudice, il principio espresso nella decisione in esame finisce con il porsi in evidente contrasto con la ratio legis del novellato art. 18, rimettendo inammissibilmente al giudice la concreta individuazione delle fattispecie in cui, in presenza di una contestazione disciplinare non tempestiva, debba applicarsi la tutela reintegratoria attenuata piuttosto che quella indennitaria.

Le perplessità sopra esposte inducono,dunque, ad attendere prudentemente gli ulteriori sviluppi dell'elaborazione giurisprudenziale in materia.

Guida all'Approfondimento
  • Arturo Maresca, “Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo” – R.I.D.L. Giuffrè 2012, 1, p. 433
  • Oronzo Mazzotta, “I molti nodi irrisolti nel nuovo art. 18 dello Statuto dei Lavoratori”, WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona" .IT – 159/2012, pag. 18-19

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