Contributi datoriali a fondo pensione: esclusione dalla base utile al TFR anche per i periodi anteriori al 1993

14 Aprile 2015

Con riferimento al periodo precedente la riforma introdotta dal D.lgs. n. 124/1993, i versamenti effettuati dal datore di lavoro ai fondi di previdenza complementare hanno – a prescindere dalla natura del soggetto destinatario della contribuzione e, pertanto, sia nel caso in cui il fondo abbia personalità giuridica autonoma, sia in quello in cui esso consista in una gestione separata nell'ambito dello stesso soggetto datore di lavoro – natura previdenziale e non retributiva e non sussistono pertanto i presupposti per l'inserimento dei suddetti versamenti nella base di calcolo delle indennità collegate alla cessazione del rapporto di lavoro.
Massima

Con riferimento al periodo precedente la riforma introdotta dal D.lgs. n. 124/1993, i versamenti effettuati dal datore di lavoro ai fondi di previdenza complementare hanno – a prescindere dalla natura del soggetto destinatario della contribuzione e, pertanto, sia nel caso in cui il fondo abbia personalità giuridica autonoma, sia in quello in cui esso consista in una gestione separata nell'ambito dello stesso soggetto datore di lavoro – natura previdenziale e non retributiva e non sussistono pertanto i presupposti per l'inserimento dei suddetti versamenti nella base di calcolo delle indennità collegate alla cessazione del rapporto di lavoro.

Il caso

Lavoratori iscritti a un fondo di previdenza aziendale, qualificabile come fondo preesistente e alimentato (anche) con i contributi del datore di lavoro, erano ricorsi in giudizio affinché questi fosse condannato alla rideterminazione dell'indennità di anzianità e del trattamento di fine rapporto, includendo nella relativa base di calcolo – cioè nella retribuzione di riferimento ex art. 2120 c.c., ante e post riforma del 1982 – i versamenti datoriali al fondo stesso, effettuati sino alla legificazione della previdenza complementare, con il D.lgs. 28 aprile 1993 n. 124: ciò sul presupposto che solo da tale momento i versamenti datoriali a fondo pensione hanno assunto natura di contributi previdenziali, mentre per il periodo precedente erano qualificabili quali erogazioni retributive.

Nei due gradi di merito la controversia si era conclusa in senso favorevole ai ricorrenti, mentre in sede di ricorso per Cassazione - rimessa la questione alle Sezioni Unite, causa contrasto di orientamenti fra le singole Sezioni - si è pervenuti a giudizio di segno opposto.

La questione

L'entrata in vigore del D.lgs. n. 124/1993 (28 aprile 1993) è stata intesa quale spartiacque per il riconoscimento della natura previdenziale ai versamenti datoriali a fondo pensione: ciò anche in considerazione dello stretto collegamento venutosi a determinare, per effetto di tale normativa, fra previdenza obbligatoria e complementare. Al contrario, è rimasta controversa la qualificazione – previdenziale, ovvero, retributiva – dei versamenti datoriali a fondo pensione anteriori a tale data, aspetto che ha assunto rilevanza ai fini della quantificazione del TFR e dell'indennità di anzianità da liquidare o liquidate ai sensi dell'art. 2120 c.c. e che ha dato luogo a una diffusa vertenzialità giudiziale con soluzioni spesso discordanti (il problema si poneva già prima dell'adozione di una legislazione organica sui fondi pensione: cfr. Persiani M., Previdenze contrattuali e contribuzione previdenziale, nota a Cass. 8 gennaio 1987, n. 61, in MGL 1987, p. 70 ss.).

Le soluzioni giuridiche

Si sono a lungo contese il campo a livello di giurisprudenza di legittimità due contrastanti impostazioni (fra i principali interventi in materia, per un verso, Cass. 12 gennaio 2011 n. 545 e, per l'altro, Cass. 5 giugno 2012 n. 9016 e Cass. 31 maggio 2012 n. 8695), ricomposte dalla sentenza in esame, che, come detto, aderisce alla tesi volta ad escludere - agli effetti dell'art. 2120 c.c. - la natura retributiva dei contributi datoriali a fondo pensione, anche se riferibili a periodi anteriori al 1993.

La sentenza in esame, a supporto di tale soluzione, richiama argomentazioni già in precedenti occasioni spese dai giudici di legittimità (Cass. n. 8695/2012 e successive dal medesimo contenuto), fra le quali sembrano rivestire particolare rilievo, rispettivamente, quelle facenti riferimento ai connotati che un emolumento deve esibire per essere ricondotto alla nozione di “retribuzione utile” ai sensi dell'art. 2120 c.c. (anche prima della riforma del 1982) e quelle volte a proiettare anche al passato la natura previdenziale dei contributi a fondo pensione versati dal 28 aprile 1993, affermata univocamente da quella data.

Sotto il primo profilo, osservano le Sezioni Unite, la nozione di retribuzione risultante dall'art. 2120 c.c., comma 2, è “caratterizzata da un requisito indefettibile, costituito dall'esistenza di un effettivo passaggio di ricchezza dal datore di lavoro al lavoratore, e dalla esigenza che le somme erogate trovino un nesso di corrispettività con la prestazione lavorativa …”, ciò in quanto “ … l'indennità di anzianità e il TFR devono costituire il riflesso del trattamento economico corrisposto durante lo svolgimento del rapporto di lavoro, avendo la funzione di essere d'ausilio al lavoratore nel periodo in cui, cessato il suddetto rapporto, viene meno il diritto alla retribuzione che prima veniva percepita, sicché sarebbe incongrua la inclusione, nella base di calcolo degli stessi, di somme di cui durante lo svolgimento non si è mai goduto”.

L'altro nucleo argomentativo “forte”, ripreso dalle Sezioni Unite, consiste nel proiettare a ritroso (ante 1993) la qualificazione previdenziale dei contributi di finanziamento dei fondi pensione: ciò agli esiti di un excursus degli interventi in materia (a partire dall'art. 9 bis L. n. 166/1991), l'ultimo dei quali, rappresentato dalla L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 193 e 194, che in attuazione di Corte Cost. n. 421/1995, ha confermato l'esonero retroattivo dalla contribuzione AGO dei versamenti ai fondi di previdenza complementare, prevedendo, quale contropartita, un contributo di solidarietà anch'esso retroattivo.

Agli esiti di tale excursus le SS.UU. arrivano a concludere, rifacendosi alla pregressa, richiamata giurisprudenza, che “… in ottemperanza della Corte Costituzionale n. 421 cit., il legislatore ha inserito retroattivamente … la previdenza integrativa nel sistema dell'articolo 38 Cost., … secondo cui il contributo dei datori di lavoro … costituisce una contribuzione di natura strutturalmente previdenziale” e che, quindi, “i predetti versamenti hanno sempre avuto, fin dall'inizio della istituzione di detti fondi, natura previdenziale e non retributiva, onde è infondata la pretesa al loro inserimento nelle indennità collegate alla cessazione del rapporto di lavoro”.

Osservazioni

È interessante notare che, al di là della fattispecie oggetto del giudizio, le argomentazioni basate sul portato applicativo dell'art. 2120, comma 2, c.c. denotano generale rilievo per la delimitazione della relativa “retribuzione utile” nella misura in cui escludono, dalla stessa, tutte le erogazioni datoriali non concretanti un effettivo passaggio di ricchezza a favore del dipendente durante lo svolgimento del rapporto di lavoro.

La irrilevanza di tali voci economiche, ai considerati effetti, si giustifica, ad avviso delle SS.UU., in virtù del fatto che il TFR – e prima di esso l'indennità di anzianità – per soddisfare la finalità previdenziale che gli è propria, deve ricomprendere, in un nesso di specularità, le medesime voci di trattamento cui il dipendente poteva fare affidamento durante lo svolgimento del rapporto, restando invece irrilevanti le altre e, anzi, essendo in tale ottica incongrua una loro inclusione nella base retributiva di riferimento.

L'altro percorso, seguito dalle Sezioni Unite muove, più in radice, da una diretta qualificazione previdenziale di tutti i versamenti a fondo pensione anche quelli passati, soluzione che porta a superare, per così dire, a monte il problema, posto che ciò che è contributo-previdenziale per definizione non può essere retribuzione.

Altre argomentazioni spese dalle SS.UU. rappresentano la riproposizione di profili “tralatizi”, spesso richiamati anche in passato, quali quelli afferenti il carattere solo riflesso ed eventuale del vantaggio che il lavoratore ricava dal versamento della contribuzione al fondo pensione, attesa la terzietà di questo rispetto al rapporto fra il datore e il lavoratore e considerato che “il lavoratore non riceve tale contribuzione alla cessazione del rapporto, essendo solo il destinatario di una aspettativa al trattamento pensionistico integrativo, aspettativa che si concreterà esclusivamente ove maturino determinati requisiti e condizioni previsti dallo statuto del fondo …” tanto che “in caso di cessazione del rapporto senza diritto a pensione integrativa il dipendente non ha alcun diritto alla percezione dei contributi versati dal datore di lavoro”.

Anche tale affermazione pare validamente fondata su argomenti che, fra l'altro, valorizzano e salvaguardano, in conformità con la normativa della materia, le specificità dei fondi preesistenti a ripartizione o a capitalizzazione collettiva e a prestazioni definite. E tuttavia si deve rilevare come un'altra recente sentenza delle SS.UU. – la n. 477/2015, commentata in questa stessa Rivista – abbia adottato, sul punto, una impostazione che contraddice quanto ora detto.

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