Il rilancio del welfare aziendale nella Legge di Stabilità 2016
13 Aprile 2016
Premessa
La Legge di Stabilità 2016 ha provveduto a modificare in più punti l' art. 51 del T.U.I.R . conferendo nuovo slancio al welfare aziendale, sino ad ora non pienamente valorizzato da una impostazione dell'Agenzia delle Entrate molto rigida, ma non formalizzata. Il legislatore ha agito intervenendo soprattutto sul tema della “volontarietà” delle erogazioni da parte del datore di lavoro e su quello della “sostituibilità” tra componenti retributive monetarie e beni/servizi/utilità di welfare. Considerazioni introduttive
Nel rapporto di lavoro subordinato l' art. 2094 c.c. riconosce la centralità del sinallagma contrattuale, ovvero dello scambio tra retribuzione e prestazione lavorativa. Ricondurre il concetto di retribuzione ai minimi definiti dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento banalizzerebbe eccessivamente un sistema molto più complesso, che estende i propri confini oltre il perimetro contrattuale e che coinvolge le stesse fondamenta dello Stato sociale.
Si rileva infatti come le aziende tendano, sempre con maggior frequenza, ad offrire ai propri dipendenti pacchetti retributivi costituiti sia da erogazioni in denaro, sia da una serie di servizi finalizzati a fidelizzare la propria forza lavoro, ad attrarre talenti ed a incrementarne la produttività. La composizione di tali servizi aggiuntivi, individuati sulla base delle esigenze specifiche della popolazione lavorativa di riferimento, è inevitabilmente influenzata dall'intervento in campo sociale dello Stato, agendo in via complementare focalizzandosi sui bisogni non soddisfatti dall'apparato pubblico.
Nel tempo l'intervento statale in tale campo è stato mutevole, legato soprattutto alle limitate risorse da investire. Attualmente stiamo sperimentando una fase recessiva del fenomeno, con un “welfare di primo livello” sempre più focalizzato nel soddisfare i rischi fondamentali dell'esistenza, lasciando ai soggetti privati la responsabilità di porre in essere quelle azioni integrative finalizzate alla soddisfazione dei bisogni peculiari di una particolare comunità. È proprio nell'ambito del “welfare di secondo livello” che l'impresa recupera il proprio ruolo centrale di riferimento nella definizione e nell'implementazione di un articolato sistema di servizi sociali, mediante iniziative volontarie, ovvero attraverso accordi con i sindacati rappresentativi della forza lavorativa.
Un organico sviluppo del “welfare di secondo livello” deve essere necessariamente “accompagnato” dallo Stato mediante la previsione di una serie di incentivi, da individuarsi prevalentemente in un regime fiscale di favore, condizionato al rispetto di specifiche prerogative ritenute fondamentali per il corretto andamento del mercato. Con la Legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Stabilità 2016) il legislatore è intervenuto con specifiche misure agendo sul tema della “volontarietà” delle erogazioni da parte del datore di lavoro e su quello della “sostituibilità” tra componenti retributive monetarie e beni/servizi/utilità di welfare, riconoscendo ai sindacati e alle associazioni degli imprenditori un ruolo di assoluto rilievo. Gli strumenti del welfare aziendale e riflessi fiscali
I riflessi motivazionali sulla produttività dei lavoratori spingono sempre più i datori di lavoro ad integrare la retribuzione dei lavoratori con una serie di benefit aggiuntivi, beni, servizi ed utilità il cui valore percepito è spesso superiore alla corrispondente erogazione monetaria.
Occorre però verificare preliminarmente, con estrema attenzione, i costi connessi a tali politiche, anche con riferimento alla componente fiscale e contributiva. Il criterio generale di imposizione è contenuto nel co. 1 dell' art. 51 del T.U.I.R ., che sancisce il principio dell'onnicomprensività del reddito di lavoro dipendente, ai sensi del quale tutte le somme e i valori (beni e servizi) percepiti in relazione al rapporto di lavoro debbono essere assoggettate ad imposizione; nel comma 3 dell' art. 51 del T.U.I.R ., vengono inoltre definite le modalità di individuazione del valore economico dei beni e servizi fruiti dal dipendente ai fini dell'imposizione.
Specifiche deroghe al principio di onnicomprensività sono contenute nel comma 2 del medesimo articolo, che richiama una serie di fattispecie che interessano direttamente il tema oggetto di trattazione. Trattasi, in estrema sintesi, dei contributi versati per l'assistenza sanitaria, per la previdenza complementare, delle somministrazioni di vitto, delle prestazioni di servizi di trasporto collettivo ecc. Di particolare interesse risultano le previsioni - di ampia portata - contenute nella:
Lo sviluppo dei piani di welfare aziendale – prevalentemente riconducibili all'assistenza sanitaria (art. 51 , co. 2, lett. a), alla previdenza complementare (art. 51 , co. 2, lett. h) T.U.I.R . , e art. 10, co. 1, lett. e-bis) T.U.I.R , agli oneri di utilità sociale ( art. 51, co. 2, lett. f) T.U.I.R . , e alle spese di istruzione (art. 51, co. 2, lett. f-bis) – è stato però limitato da una impostazione molto rigida dell'Agenzia delle entrate, espressa in risposte ad interpello non pubblicate, che non ammetteva la sostituibilità tra componenti assoggettate ad una differente tassazione. Si prenda, ad esempio l'erogazione di un premio variabile, ordinariamente assoggettato ad imposizione: la sostituzione dell'erogazione monetaria con un bene o servizio rientrante nell'ambito di applicazione del co. 2 dell' art. 51 del T.U.I.R . comporterebbe la totale esenzione sia fiscale, che contributiva. Sembrerebbe che per l'Amministrazione finanziaria il welfare debba essere finanziato volontariamente e autonomamente dal datore di lavoro, escludendo la legittimità dei c.d. “flexible benefits” che, lasciando ai lavoratori la libertà di definire il proprio pacchetto retributivo, li porrebbe nelle condizioni di poter agire in un'ottica di ottimizzazione fiscale. Tale criticità, oltre a rendere incerto il regime fiscale di riferimento (si ricorda che tali interpelli non sono stati pubblicati), comportava il sostenimento di oneri eccessivi da parte del datore di lavoro, al punto da dover rinunciare, soprattutto nelle realtà più piccole, a contribuire allo sviluppo del welfare di secondo livello. Il legislatore ha posto rimedio con la Legge di stabilità 2016 e con il D ecreto ministeriale del 25.3.2016 , modificando la lettera f) del co. 2 dell'art. 51, la lett. f-bis), introducendo la lett. f-ter) ed il co. 3 bis, ampliando così la sfera di detassazione adeguandola alle nuove esigenze e rilanciando il welfare aziendale.
La prima modifica richiamata ha riguardato il disposto della lett. f), che introduceva un particolare regime di favore nei confronti delle spese individuate dal co. 1 dell' art. 100 del T.U.I.R . , ovvero delle “… spese relative ad opere o servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti volontariamente sostenute per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto”. Il requisito della volontarietà dell'erogazione da parte del datore di lavoro rappresentava un requisito essenziale per poter fruire della deroga al principio di onnicomprensività per i servizi di utilità sociale, indipendentemente dal loro valore; in presenza di un accordo con i lavoratori, per il tramite della contrattazione sindacale, non era possibile fruire del beneficio e le relative erogazioni venivano assoggettate integralmente a tassazione e contribuzione. Ora la nuova formulazione della lett. f) ha ampliato l'ambito di applicazione dell'agevolazione, dando rilevanza anche agli accordi con i lavoratori per il tramite della contrattazione sindacale di tutte le tipologie, disponendo che non concorrono alla formazione della base imponibile I.R.P.E.F. del lavoratore “l'utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti e ai familiari indicati nell'art. 12 per le finalità di cui al comma 1 dell'art. 100”.
Il secondo intervento si è focalizzato sulla lett. f-bis), estendendone l'agevolazione a tutte le spese di educazione ed istruzione – ricomprendendo anche le scuole materne, prima escluse da un discutibile orientamento della Corte costituzionale – e ai servizi connessi, eliminando al contempo il vetusto riferimento alle “colonie climatiche”. Non concorrono ora a formare la base imponibile I.R.P.E.F. “le somme, i servizi e le prestazioni erogati dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per la fruizione, da parte dei familiari indicati nell' art. 12 (dpr 22.12. 1986, n. 917), dei servizi di educazione e istruzione anche in età prescolare, compresi i servizi integrativi e di mensa ad essi connessi, nonché per la frequenza di ludoteche e di centri estivi e invernali e per borse di studio a favore dei medesimi familiari”.
Di assoluta novità è l'introduzione del comma f-ter), ai sensi del quale non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente “le somme e le prestazioni erogate dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per la fruizione dei servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti indicati nell'art. 12”. Trattasi di una agevolazione in linea con le nuove esigenze dei dipendenti, spesso chiamati al ruolo di “care-giver” difficilmente conciliabile con l'attività lavorativa.
Infine, mediante il nuovo comma 3-bis dell' art. 51 del T.U.I.R ., è stato legittimato l'utilizzo dei c.d. voucher, documenti di legittimazione - in formato cartaceo o elettronico - riportanti un valore nominale, che consentono l'erogazione di beni, prestazioni, opere e servizi da parte del datore di lavoro mantenendo il medesimo regime fiscale e contributivo. Viene in questa maniera codificato l'orientamento interpretativo dell'Amministrazione finanziaria che ne ha riconosciuto la legittimità in diverse occasioni. Per evitare abusi nell'utilizzo, il D.M. 25 marzo 2016 , in corso di pubblicazione in G.U., ha disposto che gli stessi debbano essere nominativi, dunque non fruibili da persone differenti dal titolare, e non monetizzabili, cedibili, integrabili nel valore, evitando dunque che possano essere utilizzati come titolo di scambio monetizzabile. Ogni voucher può dar diritto ad un solo bene, prestazione, opera o servizio, ad eccezione dei beni e servizi di valore inferiore a 258,23 euro di cui all' art. 51, co. 3, ultimo periodo del T . U . I . R ., per i quali è possibile la cumulabilità in un unico documento di legittimazione, e dei buoni pasto, che continuano ad essere disciplinati dalla normativa previgente ( D .P.R. n. 207/2010 ). Il nuovo regime dei premi di risultato e di distribuzione degli utili
Ulteriore spinta allo sviluppo dei piani di welfare aziendale è stata fornita dalla stessa Legge di stabilità 2016 e dal decreto di attuazione (D.M. 25.3.2016) che hanno introdotto a regime la possibilità per il lavoratore di trasformare, totalmente o parzialmente, il premio di risultato ovvero la distribuzione di utili in premio sociale. È ora consentito operare, nel rispetto di specifici limiti che si illustreranno brevemente nel prosieguo, una sostituzione – in precedenza informalmente osteggiata dall'Agenzia delle entrate – con le somme e valori di cui all' art. 51 del T.U.I.R . co. 2 e co. 3, ultimo periodo.
In particolare, i lavoratori del settore privato che nell'anno precedente abbiano percepito redditi di lavoro dipendente non superiori a 50.000 euro possono beneficiare di una imposta sostitutiva del 10 per cento per i premi di risultato di ammontare variabile erogati a seguito del raggiungimento di specifici obiettivi – misurabili e verificabili – di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione definiti dal contratto collettivo di secondo livello, aziendale o territoriale, firmato dai soggetti di cui all' art. 51 del D.Lgs. n. 81/2015 e depositato telematicamente presso la DTL. L'agevolazione trova applicazione fino ad un importo massimo di 2.000 euro lordi nell'anno d'imposta o di 2.500 euro in caso di coinvolgimento paritetico dei lavoratori nell'organizzazione del lavoro. Laddove sia presente un piano di welfare (o venga implementato per l'occasione) il lavoratore può operare una sostituzione nei limiti dei 2.000 o 2.500 euro con le somme e valori di cui all' art. 51 del T.U.I.R . co. 2 e co. 3, ultimo periodo , riducendo, di conseguenza, il carico fiscale sino ad azzerarlo (dunque compiendo una scelta che può avere quale obiettivo definitivo anche la semplice ottimizzazione del carico fiscale). Come anticipato, tale facoltà di sostituzione è ammessa, nei limiti sopra richiamati, anche in caso di distribuzione di utili, fermo restando che l'erogazione deve essere effettuata in esecuzione dei contratti aziendali o territoriali. In conclusione
Con le modifiche all' art. 51 del T.U.I.R . il legislatore è intervenuto in maniera decisa per rilanciare i piani di welfare aziendale, il cui ruolo centrale di strumento di integrazione delle politiche sociali dello Stato è ormai riconosciuto e legittimato, come legittimata è ormai l'adozione dei c.d. “flexible benefit” – sebbene nei limiti previsti dalla legge – che consentono al lavoratore di poter meglio comporre il pacchetto retributivo sulla base delle istanze, personali e familiari, di carattere non solo monetario, ma anche socio assistenziale.
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AA.VV., Welfare aziendale, Treu (a cura di), Milano, 2013;
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