Il problema delle ferie maturate e non godute
14 Luglio 2016
Abstract
La legislazione italiana prevede che ogni lavoratore abbia diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane (di calendario, cioè in genere a 20 giornate lavorative). A questo periodo di riposo annuale, in base alle norme derivanti dalla contrattazione collettiva, si aggiungono due tipi di permessi retribuiti, che vengono sostanzialmente gestiti come ferie, e cioè quelli per riduzione dell'orario di lavoro e quelli sostitutivi delle festività soppresse. In taluni casi questi permessi ammontano a 104 ore annue, pari ad ulteriori 13 giornate lavorative, vedi il CCNL Metalmeccanici, Sez. Quarta, Titolo Terzo, art. 5; il CCNL Chimici Farmaceutici, art. 13, arriva a 108 ore annue, 68 ore per riduzione d'orario e 40 in sostituzione di 5 ex-festività.
Inoltre, molti contratti collettivi di lavoro prevedono che il lavoro straordinario eventualmente prestato anziché essere remunerato possa essere convertito in permessi retribuiti, da godere con modalità simili a quelle previste per le ferie e gli altri tipi di permessi retribuiti sopra indicati. Premessa
Accade talora che il lavoratore, usufruendo prioritariamente nel corso dell'anno dei permessi retribuiti e, solo secondariamente, delle ferie, si trovi ad accumulare, anno dopo anno, un certo numero di giorni di ferie maturate e non godute che possono diventare un problema per le aziende, costituendo infatti un debito nei confronti del lavoratore (almeno quello del settore privato) che andrà iscritto in bilancio, portato a nuovo anno dopo anno, incrementandosi ed alla fine andrà liquidato.
Già, liquidato. Ma quando?
Fino alla data di entrata in vigore del Decreto legislativo 8 aprile 2003 n. 66 , le aziende avevano la possibilità di attendere fino alla fine della cessazione del rapporto di lavoro oppure, con vari escamotages, corrispondere al lavoratore un'indennità sostitutiva in costanza di rapporto, evitando così che il debito aumentasse per effetto degli interessi e della rivalutazione conseguente l'incremento della retribuzione individuale di riferimento per effetto dei periodici rinnovi contrattuali o delle politiche retributive aziendali (aumenti di merito).
Dopo tale data, tale scelta non è stata più possibile, almeno lecitamente.
Infatti, la nuova normativa ha previsto all'art. 10, comma 2, che “Il predetto periodo minimo di quattro settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro”. La monetizzazione delle ferie è invece possibile per i giorni che residuano una volta fruite le quattro settimane indicate dalla norma e per i periodi di ferie maturati prima del 29 aprile 2003, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 66/2003 . Profili fondamentali
Purtroppo, non basta una norma di legge a risolvere il problema delle ferie arretrate e così i datori di lavoro continuano a doverlo affrontare, in costanza di rapporto di lavoro, sotto tre profili fondamentali.
Sotto quello civilistico, come precisato, la valorizzazione delle ferie arretrate costituisce un debito che l'azienda ha nei confronti del lavoratore e come tale andrà indicato nel bilancio aziendale. Certo, in genere non è un debito di rilevante ammontare, ma sotto il profilo dell'immagine può dare fastidio, sia per quello che possono pensare gli stakeholders (soprattutto nel caso si proponga loro di approvare un accantonamento straordinario), sia per quello che possono rilevare gli analisti finanziari.
ESEMPIO Per dare un'idea a quanto possa ammontare il debito aziendale, si ipotizzi un'azienda di dimensioni medio grandi, diciamo di 500 dipendenti, in cui il 20% di loro accumuli ogni anno 10 giorni di ferie. Si ipotizzi che la retribuzione lorda annua media sia di 30.000 euro (con il relativo costo aziendale di 38.500 euro) e che i giorni retribuiti medi annui siano 52x5="260". Ogni giorno di ferie varrà, in termini di costo, circa 150 euro con un debito per dipendente di circa 1500 euro annui (150x10) che diventano 150.000 1.500x 100) per tutti quelli che hanno ferie maturate e non godute. In dieci anni, senza alcun tipo di rivalutazione, il debito salirà ad un milione e mezzo di euro.
Vi è poi da considerare il profilo contributivo: in base alle norme vigenti, in caso di ferie non godute entro i 18 mesi (o il diverso periodo previsto alla contrattazione collettiva) dalla loro maturazione, il datore di lavoro sarà comunque tenuto a versare i contributi previdenziali sul loro controvalore retributivo dopo la scadenza di detto periodo. L'assoggettamento a contribuzione del compenso per ferie non godute rientra nelle fattispecie contemplate dalla Deliberazione del Consiglio di Amministrazione INPS n. 5 del 26.3.1993 (approvata con D.M. 7.10.1993, in G.U. n. 245 del 18.10.1993). Il versamento può però essere differito in caso di sospensione del rapporto di lavoro per malattia, infortunio o cassa integrazione a zero ore ( Messaggio INPS n. 18850 del 3 luglio 2006 e risposta ad interpello del Ministero del Lavoro 17 giugno 2011, n. 19).
Ma quel che più rileva, ad avviso di chi scrive, è il profilo gestionale: se alcuni lavoratori non riescono ad usufruire delle ferie maturate, le spiegazioni possono essere le seguenti:
Il progressivo accumularsi di ferie, unito alla sostanziale impossibilità di farle godere, da un lato, e di azzerarle con una loro monetizzazione, dall'altro, ha spesso indotto le imprese a porre in essere degli escamotages al limite della legalità.
Ciò detto, appare evidente che, in base ad un'interpretazione letterale dell' art. 10 del D.Lgs. 66/2003 , qualsiasi tentativo di azzerare le ferie residue monetizzandole è illecito, anche se il legislatore ha ritenuto di non prevedere, per questa specifica ipotesi, sanzioni. Va peraltro segnalata la sentenza del Tribunale Pescara n. 1175 del 28 maggio 2009 che ipotizza la legittimità della monetizzazione in costanza di rapporto, come forma di risarcimento danni: “ Ove il periodo minimo di ferie di quattro settimane annuali non è goduto nell'anno solare ovvero nei diciotto mesi successivi per causa imputabile al datore di lavoro, spetta al lavoratore l'indennità sostitutiva ai sensi dell' art. 10 D.lgs. 8 aprile 2003 n. 66 che si configura come monetizzazione patologica e che si aggiunge a quella tipizzata dal legislatore con riferimento alla risoluzione del rapporto .”
Sono invece previste sanzioni nel caso in cui gli organi ispettivi del Ministero del Lavoro od il giudice del lavoro accertino che al lavoratore non sia stato consentito di usufruire di tutte le ferie spettanti: in tal caso, infatti, troverà applicazione quanto previsto dall' art. 18 bis del D.Lgs 66/2003 e cioè la sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 600 euro (o, se la violazione si riferisce a più di 5 lavoratori ovvero si è verificata in almeno due anni, da 400 a 1.500 euro; se è per più di 10 lavoratori ovvero si è verificata in almeno quattro anni, la sanzione sarà da 800 a 4.500 euro e non sarà ammesso il pagamento della sanzione in misura ridotta): “è legittima la sanzione amministrativa irrogata, ai sensi dell' art. 18 bis, comma 3, d.lg. n. 66 del 2003 , al datore di lavoro che non ha consentito al dipendente la fruizione delle ferie annuali entro il periodo stabilito dalla normativa legale e contrattuale vigente ”. T.A.R. Cagliari, Sardegna , sez. I, 28 febbraio 2013, n. 170 , in Foro it. 2013, 4, III, 209. Trattamento contributivo e fiscale
Ai tre aspetti accennati legati al problema delle ferie arretrate, che sorgono tutti in costanza di rapporto, se ne aggiunge, al momento della cessazione del rapporto, un altro, cioè quale tipo di trattamento contributivo e fiscale applicare all'indennità sostitutiva.
Circa il trattamento contributivo, vi sono tre distinti orientamenti giurisprudenziali: per il primo, l'indennità sostitutive delle ferie maturate e non godute ha carattere retributivo e, pertanto, è assoggettabile a contribuzione previdenziale: “L'indennità sostitutiva di ferie non godute è assoggettabile a contribuzione previdenziale a norma dell' art. 12 l. n. 153 del 1969 , sia perché, essendo in rapporto di corrispettività con le prestazioni lavorative effettuate nel periodo di tempo che avrebbe dovuto essere dedicato al riposo, ha carattere retributivo e gode della garanzia prestata dall' art. 2126 c.c. a favore delle prestazioni effettuate con violazione di norme poste a tutela del lavoratore sia perché un eventuale suo concorrente profilo risarcitorio - oggi pur escluso dal sopravvenuto art. 10 d.lg s . n. 66 del 2003 , come modificato dal d.lg. n. 213 del 2004 , in attuazione della direttiva n. 93/104/Ce - non escluderebbe la riconducibilità all'ampia nozione di retribuzione imponibile delineata dal citato art. 12, costituendo essa comunque un'attribuzione patrimoniale riconosciuta a favore del lavoratore in dipendenza del rapporto di lavoro e non essendo ricompresa nella elencazione tassativa delle erogazioni escluse dalla contribuzione ”. Cassazione civile, sez. VI, 26 marzo 2015, n. 6189 . Conformi: Cassazione civile, sez. lav., 26 gennaio 2012, n. 1101 , in Riv. critica dir. lav. 2012, 2, 542 e Cassazione civile, sez. lav., 10 maggio 2010, n. 11262 , in Foro it. 2011, 7-8, I, 2044.
Il secondo orientamento sostiene invece la tesi che l'indennità sostitutiva per ferie non godute ha natura risarcitoria e pertanto non è assoggettabile a ritenute contributive: “L'indennità sostitutiva delle ferie e dei riposi settimanali non goduti ha natura non retributiva ma risarcitoria e, pertanto, è soggetta alla prescrizione ordinaria decennale, decorrente anche in pendenza del rapporto di lavoro”. Cassazione civile, sez. lav., 11/05/2011, n. 10341 , in Giust. Civ. 2013, 1, I, 195. Conformi: Cass. 13 marzo 1997 n. 2231 e Cass. 16 luglio 1992 n. 8627 .
Il terzo si pone a metà fra gli altri due, affermando che l'indennità sostitutiva delle ferie non godute ha natura mista, sia risarcitoria che retributiva: “L'indennità sostitutiva delle ferie non godute ha natura mista, sia risarcitoria che retributiva, sicché mentre ai fini della verifica della prescrizione va ritenuto prevalente il carattere risarcitorio, volto a compensare il danno derivante dalla perdita del diritto al riposo, cui va assicurata la più ampia tutela applicando il termine ordinario decennale, la natura retributiva, quale corrispettivo dell'attività lavorativa resa in un periodo che avrebbe dovuto essere retribuito ma non lavorato, assume invece rilievo quando ne va valutata l'incidenza sul trattamento di fine rapporto, ai fini del calcolo degli accessori o dell'assoggettamento a contribuzione.” Cassazione civile, sez. lav., 29 gennaio 2016, n. 1757 , in Mass. Giust. Civ., 2016. Conforme Cassazione civile, sez. lav., 11 settembre 2013, n. 20836 , in Guida al diritto 2013, 40, 53.
Come conseguenza logica dei due orientamenti relativi al trattamento contributivo, quello cioè che attribuisce all'indennità sostitutiva delle ferie non godute valenza retributiva e l'altro, che la ritiene invece di natura risarcitoria, ne discende che, nel primo caso, l'indennità sarà soggetta a normale tassazione IRPEF: “In tema di redditi da lavoro dipendente, i compensi per ferie non godute hanno natura retributiva agli effetti fiscali e, pertanto, sono assoggettati alla tassazione IRPEF” Cassazione civile, sez. VI, 16 aprile 2014, n. 8915 , in Mass. Giust. Civ. 2014 .
Per contro, nel secondo, l'indennità sarà ritenuta esente: “Nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato, al fine di garantire il recupero delle energie fisiche e psichiche del lavoratore, è stato affermato il diritto dello stesso di godere delle ferie annuali entro il periodo fissato dalla legge o indicato dai CCNL e non successivamente. Una volta decorso tale periodo, poiché il diritto alle ferie è irrinunciabile, ai sensi dell' art. 36 cost. e, nel caso in cui non siano in concreto godute, anche senza responsabilità del datore di lavoro, questi è tenuto a risarcire il danno ed il lavoratore ha diritto all'indennità sostitutiva ”, concetto ribadito anche dal giudice tributario, per il quale “Il lavoratore, che per scelta volontaria o per ordine del datore di lavoro non gode delle ferie, ha diritto ad un'indennità, la quale avendo natura prettamente risarcitoria non è soggetta a tassazione”. Cassazione civile, sez. lav., 29 gennaio 2016, n. 1757 , cit.. (conforme: Cassazione civile, sez. lav., 29 aprile 2004, n. 9999, in Foro it. 2009, 9, I, 2352) e Comm. Trib. Reg. Roma, (Lazio), sez. IV, 6 febbraio 2013, n. 89.
La pronunzia della Commissione tributaria, infatti, trae il proprio fondamento dall' a rticolo 6, comma 2, del DPR 917/ 19 86 che, a proposito delle indennità, riconduce all'assoggettamento fiscale solamente quelle conseguite per compensare effettive perdite di reddito mentre esclude, altresì, quelle finalizzate alla riparazione di un danno, senza effettivo incremento reddituale. In conclusione
Come si può notare, la questione delle ferie maturate e non godute si presta ad una serie di considerazioni che renderebbero davvero auspicabile un intervento legislativo sia sul piano, diciamo così, “ideologico” - rendendo meno vincolante il divieto di remunerarle in costanza di rapporto, magari demandando alla contrattazione collettiva la possibilità di deroghe - sia sul piano contributivo e fiscale, dove i contrasti giurisprudenziali evidenziati non giovano a quella certezza del diritto di cui tutti gli operatori aziendali hanno assoluto bisogno. |