Lavoro agile e sicurezza

Aldo De Matteis
14 Settembre 2017

La L. 22 maggio 2017, n. 81 disciplina al capo II (artt. 18-23) il lavoro agile, detto anche, dalla sua lingua di origine, smart working: l'Autore del contributo ne analizza le differenze con il telelavoro, soffermandosi poi sul rapporto tra lavoro agile e le diverse disposizioni sulla sicurezza (D.Lgs. n. 81/2008 e L. n. 81/2017), per poi affrontare la disciplina di assicurazione, infortuni e malattie professionali nello smart working.
Quadro normativo e definizione: differenze con il telelavoro

La L. 22 maggio 2017, n. 81 disciplina al capo II (artt. 18-23) il lavoro agile, detto anche, dalla sua lingua di origine, smart working.

Esso è definito dall'art. 18 quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell'attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita in parte all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.

Tale definizione richiama il telelavoro, anteriormente sperimentato e normato, ma non si identifica con esso.

Entrambi non costituiscono una nuova tipologia contrattuale (e per tale motivo non sono stati trattati in De Matteis, Tipologie contrattuali del Jobs Act e sicurezza), ma modalità di esecuzione della prestazione di un rapporto di lavoro subordinato.

Essi sono accomunati dalla finalità: incrementare la competitività, mediante riduzione dei costi, e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro; dal fatto di consentire la prestazione fuori della sede aziendale, e di svolgersi quasi esclusivamente in modalità telematica.

È quella che si dice una soluzione win-win: da una parte il datore di lavoro riduce il numero delle postazioni lavorative sulle quali dimensionare la sede aziendale, può trattenere i lavoratori in caso di spostamento di sede, ed altri vantaggi legali alla maggiore flessibilità; dall'altra il lavoratore è liberato dal pendolarismo, spesso molto faticoso, casa-lavoro, e può distribuire meglio i tempi di vita e di lavoro. L'aspetto negativo è la riduzione del senso comunitario e di appartenenza.

Si differenziano perché il telelavoro si svolge da una postazione fissa, dalla quale le informazioni comunicano con la sede centrale, mentre il lavoro agile è più flessibile, si può svolgere in luoghi diversi, ed anche parte all'interno e parte all'esterno della sede aziendale.

Il telelavoro è definito, per i dipendenti privati, dall'art. 1, comma 1, dell'Accordo interconfederale 9 luglio 2004, e per i dipendenti pubblici, dall'art. 2 D.P.R. 8 marzo 1999, n. 70 (Regolamento recante disciplina del telelavoro nelle Pubbliche Amministrazioni), in termini analoghi: la prestazione di lavoro eseguita dal dipendente in qualsiasi luogo ritenuto idoneo, collocato al di fuori della sede di lavoro, dove la prestazione sia tecnicamente possibile, con il prevalente supporto di tecnologie dell'informazione e della comunicazione, che consentano il collegamento con l'amministrazione cui la prestazione stessa inerisce.

Nel settore privato si è partiti da accordi aziendali delle principali società operanti nel Paese (ad es. accordo Telecom-sindacati del 20 luglio 2007), per passare ai contratti collettivi nazionali, all'accordo quadro europeo 16 luglio 2002; accordo interconfederale europeo 2 luglio 2004; fino alla L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 22, che prevede varie misure di incentivazione.

Nel settore pubblico si parte dalla L. 16 giugno 1998, n. 191, art. 4, comma 3, che consente alle Amministrazioni Pubbliche di avvalersi di forme di lavoro a distanza. A tal fine, esse possono installare apparecchiature informatiche e collegamenti telefonici e telematici necessari e possono autorizzare i propri dipendenti ad effettuare la prestazione lavorativa in luogo diverso dalla sede di lavoro, previa determinazione delle modalità per la verifica dell'adempimento della prestazione lavorativa (con il relativo Decreto di esecuzione 8 marzo 1999, n. 70); per arrivare alla recente L. 7 agosto 2015, n. 124, art. 14, che impegna le Amministrazioni Pubbliche ad arrivare, entro tre anni, ad almeno il 10 per cento dei dipendenti in telelavoro e in nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa (v. Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 1° giugno 2017).

Anche gli enti pubblici, compresi gli istituti previdenziali, si sono attivati in conformità, per il proprio personale (Circ. INPS 27 febbraio 2015, n. 52).

Non costituendo una tipologia contrattuale, il lavoro agile non richiede un contratto, ma un accordo, molto articolato, e con penetranti poteri di determinazione dei contenuti del rapporto, circa le modalità della prestazione. Pertanto il passaggio ad una modalità di lavoro agile richiede sempre il consenso del lavoratore.

Tale accordo è stipulato per iscritto ai fini della regolarità amministrativa e della prova (art. 19).

È utile riportarne le disposizioni principali di carattere sostanziale, per i loro riflessi sul tema della sicurezza.

Esso disciplina l'esecuzione della prestazione lavorativa svolta all'esterno dei locali aziendali, con particolare riguardo all'esercizio del potere di controllo del datore di lavoro sulla prestazione resa dal lavoratore all'esterno dei locali aziendali; individua altresì le condotte, connesse all'esecuzione della prestazione lavorativa all'esterno dei locali aziendali, che danno luogo all'applicazione di sanzioni disciplinari (art. 21).

L'accordo individua altresì i tempi di riposo del lavoratore (art. 19, 1° comma), nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro.

Esso può prevedere il diritto all'apprendimento permanente, in modalità formali, non formali o informali, e alla periodica certificazione delle relative competenze (art. 20).

L'accordo può essere a termine o a tempo indeterminato; in tale ultimo caso, il recesso può avvenire con un preavviso non inferiore a trenta giorni; questo termine diventa di novanta giorni, per il recesso da parte del datore di lavoro, nel caso di lavoratori disabili.

In presenza di un giustificato motivo, ciascuno dei contraenti può recedere prima della scadenza del termine nel caso di accordo a tempo determinato, o senza preavviso nel caso di accordo a tempo indeterminato.

Il lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile ha diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all'interno dell'azienda (art. 20).

D.Lgs. n. 81/2008 e L. n. 81/2017: quale rapporto tra le diverse disposizioni sulla sicurezza

Per quanto riguarda la tutela della salute e della sicurezza, le norme rilevanti sono il D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 3, comma 10, e gli artt. 18, 22 e 23 L. 22 maggio 2017, n. 81.

L'art. 3, dopo avere proclamato al comma 1 che il Decreto Legislativo si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio, al comma 10 detta una serie di precetti molto articolati e pregnanti per i lavoratori subordinati che effettuano una prestazione continuativa di lavoro a distanza, mediante collegamento informatico e telematico.

In tal caso il datore di lavoro è oggetto dei seguenti obblighi e disposizioni:

  • informare i lavoratori a distanza circa le politiche aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in particolare in ordine alle esigenze relative ai videoterminali ed applicare correttamente le direttive aziendali di sicurezza;
  • se egli fornisce attrezzature proprie, o per il tramite di terzi, tali attrezzature devono essere conformi alle disposizioni di cui al titolo III (relativo all' uso delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale);
  • garantire l'adozione di misure dirette a prevenire l'isolamento del lavoratore a distanza rispetto agli altri lavoratori interni all'azienda, permettendogli di incontrarsi con i colleghi e di accedere alle informazioni dell'azienda, nel rispetto di regolamenti o accordi aziendali.
  • il datore di lavoro, le rappresentanze dei lavoratori e le autorità competenti hanno accesso al luogo in cui viene svolto il lavoro nei limiti della normativa nazionale e dei contratti collettivi, al fine di verificare la corretta attuazione della normativa in materia di tutela della salute e sicurezza da parte del lavoratore a distanza. Tale accesso è subordinato al preavviso e, qualora la prestazione sia svolta presso il domicilio del lavoratore, al suo consenso;
  • il lavoratore a distanza può chiedere ispezioni;
  • si applicano le disposizioni di cui al titolo VII, che riguarda le attrezzature munite di videoterminali.

Per tali attività i datori di lavoro, dirigenti e preposti hanno i seguenti obblighi (art. 174):

  • il datore di lavoro, all'atto della valutazione del rischio prevista dall'art. 28, analizza i posti di lavoro con particolare riguardo:
    • ai rischi per la vista e per gli occhi;
    • ai problemi legati alla postura ed all'affaticamento fisico o mentale;
    • alle condizioni ergonomiche e di igiene ambientale.
  • egli adotta le misure appropriate per ovviare ai rischi riscontrati; organizza e predispone i posti di lavoro in conformità ai requisiti minimi di cui all'allegato XXXIV del medesimo Decreto Legislativo;
  • il lavoratore ha diritto ad una interruzione della sua attività mediante pause ovvero cambiamento di attività (art. 175). Le modalità di tali interruzioni sono stabilite dalla contrattazione collettiva anche aziendale; in assenza di tali disposizioni, il lavoratore comunque ha diritto ad una pausa di quindici minuti ogni due ore di applicazione continuativa al videoterminale. È comunque esclusa la cumulabilità delle interruzioni all'inizio ed al termine dell'orario di lavoro. Nel computo dei tempi di interruzione non sono compresi i tempi di attesa della risposta da parte del sistema elettronico, che sono considerati, a tutti gli effetti, tempo di lavoro, ove il lavoratore non possa abbandonare il posto di lavoro. La pausa è considerata a tutti gli effetti parte integrante dell'orario di lavoro e, come tale, non è riassorbibile all'interno di accordi che prevedono la riduzione dell'orario complessivo di lavoro.
  • i lavoratori sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria prevista dall'art. 41 (art. 176), con particolare riferimento:
    • ai rischi per la vista e per gli occhi;
    • ai rischi per l'apparato muscolo-scheletrico.

Sulla base delle risultanze degli accertamenti di cui al comma 1 i lavoratori vengono classificati ai sensi dell'art. 41, comma 6, e cioè con un giudizio, relativo alla mansione specifica, di:

  • idoneità;
  • idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni;
  • inidoneità temporanea;
  • inidoneità permanente.

La periodicità delle visite di controllo è quinquennale; è però biennale per i lavoratori classificati come idonei con prescrizioni o limitazioni e per i lavoratori che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di età.

Il datore di lavoro fornisce a sue spese ai lavoratori i dispositivi speciali di correzione visiva, in funzione dell'attività svolta, quando l'esito delle visite di controllo ne evidenzi la necessità e non sia possibile utilizzare i dispositivi normali di correzione. A norma dell'art. 177 il datore di lavoro:

  • fornisce ai lavoratori informazioni, in particolare per quanto riguarda:
    • le misure applicabili al posto di lavoro, in base all'analisi dello stesso di cui all'art. 174;
    • le modalità di svolgimento dell'attività;
    • la protezione degli occhi e della vista;
  • assicura ai lavoratori una formazione adeguata in particolare in ordine a quanto indicato al comma 1, lettera a).

Infine l'art. 178 prevede sanzioni penali, anche detentive, a carico del datore di lavoro e del dirigente, e l'art. 179 a carico del preposto.

La L. 22 maggio 2017, n. 81 scolpisce gli obblighi del datore di lavoro e dei lavoratori in materia di sicurezza in quattro proposizioni:

  • il datore di lavoro garantisce la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile (art. 22);
  • a tal fine consegna al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un'informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro;
  • egli è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell'attività lavorativa;
  • il lavoratore è tenuto a cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all'esecuzione della prestazione all'esterno dei locali aziendali.

Il problema è: qual è il rapporto tra le disposizioni del TUSL-Testo unico sicurezza sul lavoro D.Lgs 23 febbraio 2008, n. 81 e quelle della L. 22 maggio 2017, n. 81?

Tre opzioni interpretative:

  • Il D.Lgs. 23 febbraio 2008, n. 81 si applica, come cennato, a tutti i settori di attività ed a tutte le tipologie di rischio; il TUSL disciplina il lavoro a distanza; il lavoro agile è una forma di lavoro a distanza; ergo il TUSL si applica integralmente anche al lavoro agile;
  • il legislatore del 2017 ha dettato agli artt. 18 e 22 una apposita disciplina per la salute e sicurezza nel lavoro agile, e quindi con essa ha inteso derogare a quella dell'art. 3, comma 10, D.Lgs. n. 81/2008, che non richiama;
  • il TUSL si applica anche al lavoro agile in quanto compatibile con la specialità del rapporto, costituita dalla mancanza di una sede stabile di lavoro.

Questa ultima soluzione è proposta da autorevole dottrina, secondo cui sarebbero applicabili le disposizioni previste all'art. 3, comma 10, del Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro:

  • nell'ipotesi in cui il datore di lavoro fornisca attrezzature proprie, o per il tramite di terzi, tali attrezzature debbono essere conformi alle disposizioni di cui al Titolo III in materia di uso delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale;
  • i lavoratori a distanza devono essere informati dal datore di lavoro circa le politiche aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in particolare sulle esigenze relative ai videoterminali e devono applicare correttamente le Direttive aziendali di sicurezza;
  • il datore di lavoro deve garantire l'adozione di misure dirette a prevenire l'isolamento del lavoratore a distanza rispetto agli altri lavoratori interni all'azienda, permettendogli di incontrarsi con i colleghi e di accedere alle informazioni dell'azienda, nel rispetto di regolamenti o accordi aziendali.

Non sarebbero applicabili quelle incompatibili con la mancanza, nel lavoro agile, di una postazione fissa, quali:

  • l'integrale applicazione delle disposizioni di cui al Titolo VII in materia di videoterminali;
  • le norme sugli accessi ed ispezioni disposte dal datore di lavoro, dalle rappresentanze dei lavoratori e dalle autorità competenti, o richieste dal lavoratore a distanza.

Verifichiamo la praticabilità delle varie proposte sui casi concreti.

Partiamo dalla determinazione delle pause.

Secondo l'art. 175 del D.Lgs. n. 81/2008, compreso nel titolo VII dichiarato applicabile dall'art. 3, comma 10, esse sono stabilite dalla contrattazione collettiva, anche aziendale; in mancanza, l'art. 175 dispone con norma suppletiva che debbano essere di 15 minuti ogni due ore di applicazione continuativa al videoterminale; con norma imperativa stabilisce che in nessun caso possono essere cumulate all'inizio o alla fine dell'attività; possono essere costituite da inattività o cambiamento di attività rispetto al videoterminale.

L'art. 19 L. n. 81/2008 stabilisce che i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro sono stabilite nell'accordo individuale.

A nostro avviso, le esigenze di tutela a fondamento delle pause sono identiche nel telelavoro e nel lavoro agile, perché dipendono dalle caratteristiche degli strumenti informatici, e prescindono dal luogo in cui la prestazione viene effettuata. Pertanto in questo caso la generale applicabilità del TUSL non subisce deroghe per la specialità del lavoro agile. Anche le possibilità di controllo sono identiche: esso avviene mediante la registrazione delle operazioni allo strumento informatico, sia o meno connesso con la sede centrale.

Conclusione: l'accordo individuale non può derogare alla norma collettiva, a quella di legge suppletiva ed, ovviamente, a quella imperativa.

Altro esempio: le ispezioni sul luogo di lavoro.

Intanto, l'art. 3, comma 10, pone i soggetti richiedenti sullo stesso piano: datore di lavoro, sindacati ed autorità competenti.

Sicuramente non si può negare a queste ultime il potere di effettuare controlli sul lavoro agile nel preminente interesse pubblico. Ma allo stesso modo non si può negare l'interesse del datore di lavoro, tenuto a garantire la salute e la sicurezza del lavoratore, ad effettuare ispezioni sulla postazione lavorativa, cui il lavoratore non si può opporre, stante il suo dovere di cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione; nonché del sindacato, per i suoi fini istituzionali; ed infine dello stesso lavoratore a sollecitare controlli sugli strumenti assegnatili.

Certo la variabilità dei luoghi di lavoro impone degli adattamenti: oltre al preavviso ed il consenso del lavoratore (ove il luogo di lavoro coincida con il suo domicilio) occorrerà anche un previo interpello ed intesa sul luogo dove effettuare l'ispezione. Non è infatti ipotizzabile un obbligo del lavoratore di indicare previamente nell'accordo tutti i possibili luoghi della prestazione lavorativa, perché contrario allo spirito di flessibilità e libertà che ispira il lavoro agile.

Terza ipotesi: attrezzature fornite dal datore di lavoro tramite terzi.

L'art. 18, comma 2, dispone che il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell'attività lavorativa.

A nostro avviso, questa norma deve essere integrata con la più puntuale formulazione dell'art. 3, comma 10, TUSL, che estende la responsabilità del datore di lavoro anche agli strumenti forniti tramite terzi.

In conclusione, pur concordando con il criterio della compatibilità proposto dalla dottrina cennata, a nostro avviso la compatibilità è molto estesa, e quasi totalitaria.

Come cennato, la ragione della applicabilità di determinate norme del TUSL al telelavoro risiede nel rischio delle macchine informatiche e delle relative postazioni; la differenza specifica tra telelavoro e lavoro agile, consistente nella unicità o pluralità di postazioni lavorative, non incide su suddetto rischio, sulla ragione della sua tutela e conseguentemente sull'applicabilità delle medesime norme del TUSL al lavoro agile.

Il precetto formulato dall'art. 22 in termini estremamente ampi, secondo cui il datore di lavoro garantisce la salute e la sicurezza del lavoratore agile, deve essere riempito di contenuti e di limiti, a tutela dello stesso datore di lavoro, e questi contenuti e limiti non possono essere altri che quelli del TUSL.

Assicurazione infortuni e malattie professionali

Come l'art. 22 è dedicato alla sicurezza sul lavoro, così l'art. 23 disciplina l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, disponendo che i lavoratori agili vi sono soggetti, per i rischi lavorativi connessi alla prestazione lavorativa resa all'esterno dei locali aziendali.

Una precisazione legislativa è sempre benvenuta, ma la conclusione era scontata sulla base dei fondamentali.

I lavoratori agili, essendo lavoratori subordinati, rientrano pienamente nella previsione dell'art. 4, comma 1, D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, quali persone soggette all' obbligo assicurativo.

Quanto all'attività tutelata, poiché essi lavorano con strumenti informatici, anche su questo punto non vi possono essere dubbi, dopo l'opzione interpretativa della Corte Suprema sull'assenza di rischio zero nelle macchine elettriche (a partire da Cass. sez. lav., 25 luglio 1978, n. ; ex plurimis: Cass. sez. lav., 5 ottobre 1992, n. 10885; Cass. sez. lav., 6 agosto 2003, n. 11877; Cass. sez. lav., 12 marzo 2004, n. 5148), orientamento di presunzione iuris et de iure di pericolosità delle macchine elettriche anche a basse potenzeconfermato poi da Corte cost. 14/16 ottobre 1986, n. 221.

Per quanto riguarda la copertura dell'evento, è necessario separare i rischi attinenti all'ambito lavorativo da quelli inerenti all'ambiente domestico, e comunque individuare un nesso funzionale tra l'evento e l'attività lavorativa (Cass. sez. lav., 19 dicembre 2005, n. 27911, secondo cui non costituisce infortunio sul lavoro l'evento dannoso che si sia verificato presso l'abitazione del lavoratore sol perché nel giorno dell'infortunio l'abitazione era il suo luogo di lavoro, a meno che non sia legato con un nesso funzionale con la prestazione lavorativa; nella specie, la S.C. ha ritenuto esente da vizi la sentenza di merito che, pur avendo ritenuto accertato che l'attore fosse caduto sulle scale interne alla sua abitazione un giorno in cui svolgeva a casa il proprio lavoro di rappresentante di commercio, aveva negato la configurabilità dell'infortunio sul lavoro, non ritenendo provata l'esistenza di un nesso causale diretto tra l'infortunio e lo svolgimento dell'attività lavorativa a domicilio). La distinzione nella pratica non è facile, anche perché bisogna tener conto della tematica sulla copertura delle attività prodromiche e sugli atti di locomozione interna.

Quanto all'infortunio in itinere, l'art. 23, comma 3, menziona il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello prescelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa all'esterno dei locali aziendali.

In effetti l'eventuale incidente da un luogo ad un altro della prestazione è da considerarsi infortunio avvenuto per finalità lavorative durante il percorso che collega un luogo di lavoro ad un altro, con la conseguenza che simile tipo di infortunio incide pienamente sul tasso specifico aziendale.

La norma richiede che la scelta del luogo della prestazione sia dettata da esigenze connesse alla prestazione stessa o dalla necessità del lavoratore di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative e risponda a criteri di ragionevolezza.

Il criterio della ragionevolezza nella distanza tra luogo di abitazione e luogo della prestazione appartiene già alla giurisprudenza di legittimità, ed è stato declinato in varie direzioni.

Cass. sez. lav., 17 marzo 1986, n. 1819 ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto ragionevole la distanza di 160 km tra residenza familiare e luogo di lavoro, per la esigenza di conciliare i doveri di lavoratore con quelli verso la famiglia e della possibilità di poter reperire altrove un alloggio a prezzo più accessibile alle capacità economico-sociali del lavoratore.

Cass. sez. lav., 16 giugno 1987, n. 5342 ha cassato per insufficienza di motivazione la pronuncia del giudice del merito il quale aveva escluso l'indennizzabilità dell'infortunio in itinere per il solo fatto che la distanza tra l'abitazione del lavoratore ed il posto di lavoro era superiore a 130 Km.

Cass. sez. lav., 19 dicembre 1997, n. 12903 ha ritenuto ragionevole, in una fattispecie di luogo di lavoro che si sposta periodicamente da cantiere a cantiere in posti diversi e molto distanti tra loro, che il lavoratore, in occasione di cinque giorni di festività, vada a trovare la famiglia dimorante in luogo molto distante, sicché l'infortunio occorso in tale viaggio non può ritenersi affetto da rischio elettivo, ma deve essere tutelato quale infortunio in itinere.

Le sentenze citate costituiscono precedenti autorevoli e significativi, ma non vincolanti nei loro riferimenti fattuali, perché, nel valutare la ragionevolezza della distanza, va tenuto presente il maggior favore che il legislatore attuale riserva al lavoro agile e le ragioni di tale maggior favore.

Si applica l'art. 2 del T.U. 1124/65 e la relativa giurisprudenza.

Pertanto è coperto il percorso effettuato:

  • a piedi, interamente (Cass. sez. lav., 5 maggio 1998, n. 4535; Cass. sez. lav., 17 maggio 2002, n. 7222) o nel tratto necessario per raggiungere il mezzo pubblico (Cass. sez. lav., 8 agosto 2003, n. 12020);
  • con mezzo pubblico (Cass. sez. lav., 19 gennaio 1998, n. 455).
  • o in bicicletta (L. 28 dicembre 2015, n. 221; Cass. sez. lav., 13 aprile 2016, n. 7313; v. De Matteis, Novità legislative e giurisprudenziali in tema di infortunio in itinere: l'uso della bicicletta è sempre necessitato).

Se l'iter avviene con mezzo privato, per la tutelabilità occorre che tale uso sia necessitato (art. 2, comma 3, terzo periodo T.U. 1124/65, inserito dall'art. 12 D.Lgs. n. 38/2000) perché il mezzo privato costituisce un aggravamento del rischio rispetto al mezzo pubblico, considerato lo strumento normale di mobilità (Cass. civ., sez. VI, 7 settembre 2012, n. 15059; Cass. civ., sez. VI, 3 novembre 2011, n. 22759).

Si applicano gli altri limiti dell'art. 2: Non sono ammesse interruzione e deviazione dal percorso normale se non per cause di forza maggiore, per esigenze essenziali ed improrogabili o per l'adempimento di obblighi penalmente rilevanti.

In caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato necessitato, restano, in ogni caso, esclusi gli infortuni direttamente cagionati dall'abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall'uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni; l'assicurazione, inoltre, non opera nei confronti del conducente sprovvisto della prescritta abilitazione di guida.

Osservazioni

È emblematica la sede legislativa del lavoro agile, la L. 22 maggio 2017, n. 81, congiuntamente alla nuova disciplina del lavoro autonomo non imprenditoriale, di poco posteriore alla Legge delega 10 dicembre 2014, n. 183 (c.d. Jobs Act), la quale ha stabilito, all'art. 2, che la disciplina del rapporto di lavoro subordinato si applica anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal datore di lavoro committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.

Abbiamo così rapporti di lavoro subordinato con libertà di orari e luoghi della prestazione, e rapporti di lavoro autonomo (secondo la prevalente opzione interpretativa, v. De Matteis, Tipologie contrattuali del jobs act e sicurezza sul lavoro) con tempi e luoghi di lavoro organizzati dal datore di lavoro.

Tutto ciò implica una profonda revisione, anche negli atteggiamenti intellettuali, delle forme e strumenti di tutela del lavoro in tutte le sue espressioni, in una visione globale e comune più aderente all'art. 35 Cost., processo di cui allo stato non è possibile prevedere gli esiti.

Guida all'approfondimento
  • CASSARO, Jobs Act del lavoro autonomo e smart working: il quadro delle nuove disposizioni, in IlGiuslavorista, 16 giugno 2017.
  • CORSALINI, Gli infortuni in itinere in bicicletta, in Resp.civ.prev. 2012, 1922).
  • DE MATTEIS, Infortuni sul lavoro e malattie professionali, Milano 2016.
  • DE MATTEIS, Tipologie contrattuali del jobs act e sicurezza sul lavoro, in Il Giuslavorista.
  • DE MATTEIS, Novità in tema di infortunio in itinere: la Cassazione apre agli allievi, l'Inail alle piste ciclabili, in Riv.inf.mal.prof. 2012, I, 1.
  • DE MATTEIS, Novità legislative e giurisprudenziali in tema di infortunio in itinere: l'uso della bicicletta è sempre necessitato, in Ilgiuslavorista.
  • TORIELLO, Il punto sul telelavoro, in Riv. inf. mal. prof., 2012, I, 683.
  • TORIELLO, Smart working e telelavoro: analogie e differenze, in LaPrevidenza.it, 5 giugno 2017.
  • WEISS, Il telelavoro tra legge e contrattazione collettiva: il caso tedesco, in Dir. rel. ind., 2015, 3, 667.
Sommario