Inapplicabilità della disciplina sulla sorveglianza ai controlli effettuati dal datore tramite un’agenzia investigativa

Mario Gatti
15 Settembre 2017

L'attività investigativa svolta da un'agenzia privata e connessa a una specifica indagine su pretese violazioni di un dipendente in relazione a compiti esterni fuori sede ricade nella figura del “controllo difensivo” del datore di lavoro, in una sfera eccedente i luoghi di lavoro, per cui non trovano applicazione gli artt. 3, 4, 8 St. Lav. In caso di contestazione unica, frazionata in una pluralità di condotte, l'infondatezza di una singola condotta non può comportare, quale effetto sostanziale, la reintegra del lavoratore per insussistenza del fatto materiale (ex art. 18, c. 4 L. n. 300/1970), ma semmai, qualora risultino comunque sussistenti i fatti considerati nella loro globalità, dare luogo alla tutela indennitaria ex art. 18, c. 5 L. n. 300/1970.
Il caso

Tizio, dipendente della Compagnia Assicurativa Z, all'interno della quale lavorava con le mansioni di revisore, “con il compito di verificare il corretto rispetto da parte delle agenzie visitate delle politiche della compagnia sui prezzi e sulla trasparenza con la clientela”, operava per la gran parte del tempo al di fuori della sede aziendale.

A seguito di un'attività investigativa durata 20 giorni circa, effettuata dalla Compagnia Assicurativa a mezzo agenzia privata, Tizio veniva licenziato per giusta causa.

Sul suo operato erano infatti emerse una serie di violazioni e inadempimenti contrattuali (quali ad esempio: assenteismo, mancata osservanza degli orari di lavoro) per l'appunto connessi allo svolgimento delle predette attività lavorative fuori sede.

Il lavoratore impugnava il licenziamento, deducendo l'illegittimità ed infondatezza dei fatti contestati.

Nella fase sommaria del giudizio ex art. 1, c. 47 e ss., L. n. 92/2012 (c.d. Rito Fornero), il Giudice del Lavoro si pronunciava in senso favorevole alla Compagnia, dichiarando la legittimità del licenziamento.

Nella successiva fase, tuttavia, l'ordinanza veniva riformata e il licenziamento veniva annullato, con condanna del datore di lavoro alla reintegrazione e al risarcimento del danno in favore del lavoratore ex art. 18, c. 4, L. n. 300/1970.

Avverso tale sentenza proponeva reclamo la Compagnia; la Corte d'Appello, in parziale riforma della sentenza impugnata, revocava l'ordine di reintegra e dichiarava risolto il rapporto, condannando la società a corrispondere a Tizio un'indennità risarcitoria pari a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto.

A sostegno della propria decisione la Corte territoriale aveva ritenuto che le violazioni contestate al dipendente fossero in parte irrilevanti e solo in parte dimostrate e sussistenti.

A fronte di quanto precede, la Corte d'Appello aveva considerato comunque i fatti accertati non di gravità tale da giustificare la giusta causa di recesso, ragion per cui aveva applicato la tutela indennitaria ex art. 18, c. 5 L. n. 300/1970, dichiarando comunque risolto il rapporto.

Avverso la sentenza della Corte d'Appello Tizio proponeva ricorso per Cassazione, insistendo per la reintegra e deducendo fra gli altri l'illegittimità dei controlli investigativi.

Le questioni

Le questioni da analizzare nel caso di specie attengono,

  • da un lato alla natura ed alla liceità dei controlli effettuati dal datore di lavoro a mezzo agenzia investigativa (controlli che nel caso di specie hanno condotto al provvedimento espulsivo);
  • dall'altro alla corretta qualifica dei fatti posti alla base del provvedimento disciplinare, ai fini dell'applicazione del diverso binario sanzionatorio (ovvero: tutela reintegratoria o tutela risarcitoria, fattispecie entrambe previste dal novellato art. 18 St. Lav.).

In relazione ai controlli effettuati a mezzo agenzia investigativa: Tizio ha impugnato il provvedimento espulsivo denunciando:

  • l'invasività dei controlli effettuati nei suoi confronti;
  • il mancato rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità dei mezzi adoperati, in relazione agli scopi ed alle finalità della sorveglianza;
  • l'indebita estensione di detti controlli alla sua sfera privata.

Nel complesso, pertanto, Tizio la lamentato la violazione della normativa sulla privacy di cui al D.Lgs. n. 196/2003.

Oltre a ciò il lavoratore ha sostenuto la violazione della disciplina statutaria di cui agli artt. 3, 4, 8 L. n. 300/1970, deducendo l'inutilizzabilità dei dati e delle informazioni raccolte.

Una prima questione attiene pertanto alla legittimità o meno di tale tipologia di controllo difensivo, in relazione ad un lavoratore che lavora per lo più al di fuori della propria sede aziendale (e che quindi non è soggetto alle forme ordinarie di controllo del datore di lavoro).

Sull'applicazione dell'art. 18 c. 4, St. Lav.: Tizio ha impugnato la sentenza di secondo grado, sostenendo inoltre che la reintegra era stata illegittimamente negata dalla Corte d'Appello, nonostante fosse stata confermata in causa la sussistenza (solo) di una parte delle condotte addebitate.

La seconda questione concerne pertanto i limiti ed il perimetro della tutela reale, in relazione ad una contestazione disciplinare i cui fatti non sono stati confermati nella loro interezza.

Le soluzioni giuridiche

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha confermato l'orientamento prevalente che ritiene leciti i controlli difensivi del datore di lavoro, finalizzati alla verifica di fatti illeciti posti in essere da lavoratori che operino al di fuori dei luoghi di lavoro (nel caso di specie attuati mediante investigatori).

Tali controlli sono stati giudicati leciti, l'invasività dei medesimi – da un punto di vista quantitativo - era già stata esaminata nel merito dalla Corte di Appello, che aveva rilevato il rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità.

Infatti, in considerazione delle tempistiche del controllo e delle mansioni svolte da Tizio, che si trovava a viaggiare per l'Italia per gran parte della sua attività lavorativa, 20 giorni di pedinamento si erano rivelati congrui e necessari.

Il controllo era diretto a verificare la commissione di eventuali illeciti da parte del dipendente e le stesse informazioni sulla vita privata dello stesso erano state accidentalmente raccolte per causa imputabile allo stesso lavoratore (l'agenzia aveva infatti pedinato Tizio anche durante alcuni giorni di ferie, poiché il medesimo non aveva colpevolmente inserito tali giorni “a sistema” nell'ambio del piano ferie).

Quanto all'asserita violazione delle norme statutarie, la Suprema Corte ha osservato che, per giurisprudenza ormai consolidata, il controllo investigativo, svolto da un'agenzia privata su mandato del datore di lavoro, connesso a una specifica indagine su pretese violazioni di un dipendente in relazione a compiti esterni fuori sede, ricade a tutti gli effetti nell'ambito dei “controlli difensivi” in una sfera eccedente i luoghi di lavoro, non trovando pertanto applicazione i limiti di cui agli artt. 3, 4, 8 L. n. 300/1970.

Da un punto di vista sostanziale infine, la Suprema Corte ha dedotto come nel caso di specie non fosse stata raggiunta la prova da parte del lavoratore della violazione dei principi di proporzionalità e di aderenza dell'indagine (che era sempre rimasta entro i limiti e gli scopi consentiti dal Garante).

Il lavoratore sosteneva che l'esclusione della rilevanza disciplinare anche di un solo fatto contestato “travolgesse” l'intera contestazione, con conseguente applicazione al caso di specie della tutela sanzionatoria massima prevista ex art. 18, c. 4, L. n. 300/1970 (la reintegrazione nel posto di lavoro).

Non è stata di questo avviso la Corte di Cassazione, che invece ha manifestato un orientamento diametralmente opposto.

Pur ammettendo che, nella pluralità delle condotte contestate al lavoratore, alcune di queste non avessero rilievo disciplinare, la Corte ha ritenuto che la comprovata sussistenza degli altri fatti fosse di per sé idonea ad escludere la reintegra.

In caso contrario – ha argomentato la Corte – in caso di contestazione unitaria di una pluralità di condotte, sarebbe sufficiente l'infondatezza anche solo di una singola condotta (eventualmente anche la più marginale) per determinare l'obbligo della reintegrazione (soluzione in palese contrasto con la nuova ratio dell'art. 18 L. n. 300/1970).

Osservazioni

Inserendosi in un filone giurisprudenziale ormai consolidato, e non “scalfito” dalla modifica dell'art. 4 L. n. 300/1970, la Corte di Cassazione ha ritenuto lecito l'impiego da parte del datore di lavoro di un'agenzia investigativa al fine di accertare il compimento di atti illeciti da parte del lavoratore, in considerazione del fatto che il controllo a mezzo agenzia fosse necessario nel caso concreto, in considerazione della particolarità e delle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa (cfr. ex multis, Cass. sez. lav., 3 novembre 2000, n. 14383).

Il lavoratore svolgeva infatti un'attività itinerante per l'Italia e dunque il pedinamento da parte dell'agenzia poteva dirsi giustificato e proporzionato, in considerazione dello scopo perseguito dal datore di lavoro (che diversamente non avrebbe potuto verificare le inadempienze e omissioni del dipendente).

Inoltre, la Cassazione si è conformata, nel caso in esame, al principio consolidato in base al quale le prove raccolte in sede di “controllo difensivo”, anche se relative al corretto adempimento del lavoratore agli obblighi derivanti dalla legge e dal contratto sono utilizzabili