Compatibilità del rito Fornero con la domanda di accertamento incidentale della codatorialità

Luigi Santini
13 Ottobre 2016

Il presupposto per l'applicabilità del rito di cui all'art. 1, commi 47 e seg., L. n. 92 del 2012 sussiste ogni qual volta la domanda abbia ad oggetto l'impugnativa di un licenziamento rientrante nelle ipotesi di cui all'art. 18 della L. n. 300 del 1970, anche quando devono essere risolte incidentalmente questioni relative alla individuazione del datore o dei datori di lavoro, comportanti l'accertamento della titolarità del rapporto in capo ad un soggetto diverso dal formale datore di lavoro.
Massima

Il presupposto per l'applicabilità del rito di cui all'art. 1, commi 47 e seg., L. n. 92 del 2012 sussiste ogni qual volta la domanda abbia ad oggetto l'impugnativa di un licenziamento rientrante nelle ipotesi di cui all'art. 18 della L. n. 300 del 1970, anche quando devono essere risolte incidentalmente questioni relative alla individuazione del datore o dei datori di lavoro, comportanti l'accertamento della titolarità del rapporto in capo ad un soggetto diverso dal formale datore di lavoro.

Il caso

La controversia trae origine da una impugnativa di licenziamento per giustificato motivo oggettivo rientrante nell'ambito di applicabilità del rito ex art. 1, commi 47 e 48, della legge 28 giugno 2012 n. 92, in riferimento ad un rapporto di lavoro imputabile, ex parte datoris, non ad un unico soggetto, ma indistintamente ad una pluralità di soggetti (c.d. codatorialità), in cui la Corte territoriale ha ritenuto non provato il giustificato motivo oggettivo di licenziamento intimato dalla società che ha assunto formalmente la qualità di datore di lavoro, in relazione all'asserito venir meno della necessità delle mansioni svolte dal lavoratore esclusivamente rispetto a detta società. La soluzione della controversia, trattata con il rito speciale di cui alla legge n. 92 del 2012, ha richiesto il preliminare accertamento incidentale dell'esatta identificazione del datore di lavoro, in riferimento al quale vagliare la non pretestuosità dei motivi del recesso, l'impossibilità del repechage, la sussistenza del requisito dimensionale necessario per l'applicazione della tutela reale, e nei confronti della quale eventualmente prendere poi le correlate statuizioni reintegratorie e risarcitorie. L'applicabilità del rito speciale è stata tuttavia contestata dalla parte convenuta, secondo cui l'accertamento della titolarità del rapporto in capo ad un soggetto diverso dal formale datore di lavoro non costituirebbe una questione relativa alla qualificazione del rapporto, come individuata dall'art. 1, comma 47, L. n. 92 del 2012, deducendo l'inammissibilità della domanda incidentale di accertamento del collegamento societario/codatorialità nell'ambito di detto procedimento speciale.

La questione

La questione da esaminare è se l'applicabilità del rito previsto dall'art. 1, comma 47 e segg. legge 92/2012, prevista ex legeanche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro”, possa essere estesa anche all'ipotesi in cui si ponga incidentalmente la questione prodromica dell'individuazione del datore o dei datori di lavoro, qualora si versi in un'ipotesi di cd. "codatorialità", e cioè di imputazione del rapporto di lavoro non ad un unico datore di lavoro, ma indistintamente ad una pluralità di soggetti legati da un collegamento economico-funzionale.

Le soluzioni giuridiche

Come evidenziato dalla Suprema Corte, la L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 47 individua l'ambito di applicazione del rito specifico da essa disciplinato con il richiamo "alle controversie aventi ad oggetto l'impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, e successive modificazioni, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro", per cui il rito speciale è applicabile tutte le volte che, dedotta l'esistenza di un rapporto di lavoro qualificabile come subordinato a tempo indeterminato e di un licenziamento che lo risolva in modo illegittimo, si invochi la tutela reale prevista dall'art. 18 Statuto (v. Cass. sez. lav., 13/06/2016, n. 12094).

In tale contesto, la Cassazione chiarisce che “l'individuazione della fattispecie, ai fini delle questioni di mero rito, deve essere compiuta in base alla domanda come formulata e, in particolare, con riferimento al petitum ed alla causa petendi con essa esposti, indipendentemente dalla relativa fondatezza” (c.d. criterio della prospettazione). Pertanto, salvo il limite di prospettazioni del tutto artificiose, “la questione di rito deve essere delibata in base alla domanda dell'attore a nulla contando né le contestazioni del convenuto sugli elementi posti a fondamento della domanda, né l'indagine di merito che il giudice deve compiere per la decisione, poiché tale attività non assume rilievo in ordine alla risoluzione delle questioni di rito”.

Ciò però non significa, precisa la Suprema Corte, che una volta ritenuta l'applicabilità del rito speciale il giudice sia in qualche modo vincolato a statuire conformemente sulle correlate questioni di merito. Infatti, se il criterio della prospettazione assume valore dirimente per la soluzione delle questioni di rito, resta fermo che la successiva verifica della fondatezza nel merito delle allegazioni attoree non ne resta minimamente condizionata, rimanendo del tutto impregiudicata “la successiva verifica dell'applicabilità della tutela sostanziale richiesta ai fini del merito”.

Di tale avviso è la sentenza in commento, laddove si chiarisce che, in presenza di un rapporto di lavoro riconducibile indistintamente ex parte datoris ad una pluralità di soggetti (c.d. codatorialità), la questione prodromica relativa alla “individuazione del soggetto che si assume essere datore di lavoro e destinatario dei provvedimenti di tutela L. 20 maggio 1970, n. 300, ex art. 18”, salvo il limite di pretestuose allegazioni dirette ad una accesso non giustificato al più celere rito “Fornero”, va risolta secondo il c.d. criterio della prospettazione, dovendosi applicare il rito speciale ogniqualvolta si sia in presenza di una domanda concernente la legittimità o meno del licenziamento nell'ambito di un rapporto lavorativo assistito da tutela reale.

Osservazioni

Non è in dubbio la configurabilità di "un rapporto di lavoro che vede nella posizione del lavoratore un'unica persona e nella posizione di datore di lavoro più persone rendendo così solidale l'obbligazione del datore di lavoro (v. Cass. n. 25270/2011; Cass. n. 8809/2009). In tale ipotesi si parla di “codatorialità”, cioè di un unico centro d'imputazione del rapporto di lavoro tra il lavoratore, da un lato, ed una pluralità di soggetti ex parte datoris, dall'altro, situazione che si verifica normalmente quando, nell'ambito di una rete integrata di imprese legate da contratti di natura commerciale (somministrazione, appalto, distribuzione, franchising), due o più imprenditori co-determinano le condizioni di svolgimento del rapporto di lavoro, configurandosi come veri e propri datori di lavoro. In questa prospettiva, affinché tra imprese appartenenti ad uno stesso gruppo gli obblighi nascenti da un rapporto di lavoro intercorso tra un lavoratore e una di esse siano imputabili anche alle altre occorre che sia riscontrabile che vi sia stata una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del “frazionamento di un'unica attività tra i vari soggetti del collegamento economico funzionale”, e ciò venga accertato attraverso l'esame delle attività di ciascuna delle imprese gestite formalmente da quei soggetti che deve rivelare l'esistenza di alcuni requisiti, quali:

  • l'unicità della struttura organizzativa;
  • la stretta connessione funzionale tra le imprese e il correlativo interesse comune;
  • il coordinamento tecnico-amministrativo-finanziario, tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune;
  • l'utilizzazione contemporanea delle prestazioni lavorative da parte delle varie società titolare di distinte imprese (v., ex plurimis, Cass. n. 3482/2013; Cass. n. 11107/2006; Cass. n. 7717/2003).

In quest'ordine di concetti, si richiede al giudice un non facile accertamento in punto di fatto, volto ad accertare attraverso quali concrete modalità operative sia stato attuato il coordinamento tra le varie imprese al fine di consentire la corretta esecuzione della prestazione lavorativa in modo indifferenziato e contemporaneo in favore di ciascuna di esse.

In un simile contesto, appare giustificato il dubbio se tale delicato accertamento in punto di fatto, che investe non solo la posizione del lavoratore, ma anche la sussistenza di un collegamento economico-funzionale e di un coordinamento operativo tra varie imprese (o addirittura di un vero e proprio “contratto di rete” teso alla realizzazione di uno scopo comune), possa esser fatto rientrare nel concetto di “questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro” di cui all'art. 1 comma 47 legge n. 92/2012.

La Corte di Cassazione, come si è detto, ha optato per l'applicabilità del c.d. criterio della prospettazione, statuendo che, salvo il limite di prospettazioni artificiose, le cadenze procedimentali del nuovo rito possono essere ammesse sulla base delle mere allegazioni e richieste contenute nel ricorso introduttivo del giudizio, rimanendo impregiudicato l'esame delle questioni di merito.

La soluzione cui è pervenuta la Suprema Corte appare sicuramente apprezzabile in un'ottica di ragionevolezza, essendo finalizzata a non frapporre ostacoli alla applicazione più ampia possibile del più celere rito speciale, anche nella prospettiva di vagliare compiutamente la sussistenza del giustificato motivo oggettivo di recesso con riguardo non solo ai soggetti stipulanti il contratto di lavoro, ma anche a coloro che sono coinvolti nel rapporto di lavoro da un punto di vista economico. Va del resto tenuto presente che, se è vero che con il cd. rito “Fornero” possono essere fatte valere soltanto alcune domande, è altrettanto vero che è prevista ex lege la possibilità di estendere l'ambito della cognizione del giudice alle “questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro” (art. 1, 47° comma), di cumulare alla impugnativa del licenziamento domande diverse fondate sugli “identici fatti costitutivi” (art. 1, 48° e 51° comma), nonché di proporre domande riconvenzionali (anch'esse con il limite della identità dei fatti costitutivi) nel giudizio di opposizione a cognizione piena ovvero domande da o contro terzi (art. 1, 52° comma ss.).

In quest'ordine di concetti, così come l'operatività del rito “Fornero” non è in discussione "quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro", simmetricamente deve ritenersi che il rito speciale deve trovare necessariamente applicazione anche qualora il lavoratore “invochi la stessa tutela in un rapporto di lavoro non formalizzato ovvero nei confronti di un soggetto diverso da quello che risulti essere il formale datore di lavoro”.

Va da ultimo considerato che, come la Cassazione ha sottolineato, quand'anche si ammetta che il rito speciale sia stato introdotto al di fuori dei limiti legali di sua applicabilità, “la violazione della disciplina sul rito assume rilevanza invalidante soltanto nell'ipotesi in cui, in sede di impugnazione, la parte indichi lo specifico pregiudizio processuale concretamente derivatole dalla mancata adozione del rito diverso, quali una precisa e apprezzabile lesione del diritto di difesa, del contraddittorio e, in generale, delle prerogative processuali protette della parte (Cass. n. 19942 del 2008, Cass. SS.UU. n. 3758 del 2009; Cass. n. 22325 del 2014; Cass. n. 1448 del 2015)”. In altri termini, l'individuazione del rito applicabile non deve essere considerata fine a se stessa, ma va valutata soltanto nella sua idoneità ad incidere apprezzabilmente sul diritto di difesa, sul contraddittorio e, in generale, sulle prerogative processuali della parte, con la conseguenza che l'inesattezza del rito non determina di per sé la nullità della sentenza, salvo che da essa non consegua, per una delle parti, “uno specifico pregiudizio processuale da essa concretamente subito per effetto della mancata adozione del rito diverso”.

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