Come già avveniva sotto il vigore della disposizione riformata dall'
art. 13 dello Statuto dei lavoratori, anche il nuovo
art. 2103 c.c. prevede che il lavoratore maturi il diritto all'inquadramento superiore dopo che lo stesso sia stato impiegato nelle mansioni superiori per un determinato lasso temporale.
Questo ci consente di affermare che l'assegnazione del lavoratore alle mansioni superiori diviene definitiva in due ipotesi: I) nel caso in cui il datore di lavoro comunichi formalmente al lavoratore che l'adibizione alle mansioni superiori deve considerarsi da subito definitiva; II) nel caso in cui il lavoratore sia adibito di fatto a svolgere le mansioni superiori per il periodo previsto dalla legge o dal contratto collettivo, salvo che non ricorra una delle ipotesi che esclude la maturazione del diritto.
Soffermandoci sull'esame del secondo caso, l'
art. 2103 c.c. prescrive che l'assegnazione divenga definitiva dopo che sia decorso il periodo previsto dal contratto collettivo o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi.
Al riguardo è utile subito sottolineare che “definitività dell'assegnazione” significa che, una volta decorso il termine previsto dal contratto collettivo o dalla legge, una eventuale successiva adibizione alle mansioni di partenza o ad altre mansioni riconducibili allo stesso livello o alla
stessa categoria legale di inquadramento di queste ultime dovranno essere trattate come demansionamenti e di essi dovrà dunque essere valutata la legittimità alla luce delle relative regole, per le quali si rinvia al terzo contributo.
La fonte competente a definire la durata del periodo di assegnazione utile alla maturazione del diritto all'inquadramento superiore è individuata nel contratto collettivo, il quale, data la natura ampia del rinvio dettato dalla disposizione codicistica, deve essere considerato abilitato a stabilire che il lasso temporale necessario possa essere anche superiore ai sei mesi previsti dall'
art. 2103 c.c. Alla medesima conclusione era peraltro pervenuta la giurisprudenza anche sotto il vigore della precedente disposizione, ritenendo che la contrattazione collettiva fosse abilitata ad attenuare le rigidità della norma codicistica, ampliando il periodo di consolidamento nelle mansioni superiori se richiesto dalla concreta realtà aziendale (cfr.
Cass. 4 ottobre 2006, n. 21338, in Not. Giur. Lav., 2007, 28).
Occorre altresì precisare che, in forza della previsione dettata dall'
art. 51 d.lgs. 81/2015, tutti i livelli di contrattazione collettiva sono abilitati a definire il lasso temporale trascorso il quale il lavoratore matura il diritto a rimanere nelle mansioni superiori.
In mancanza di previsioni specifiche del contratto collettivo applicato al rapporto, il lavoratore matura il diritto all'inquadramento superiore decorsi sei mesi continuativi di adibizione alle mansioni superiori corrispondenti.
Il nuovo
art. 2103 c.c. esplicita, dunque, che l'impiego nelle mansioni superiori deve essere avvenuto, per il periodo prescritto, in maniera “continuativa”, con ciò codificando una condizione che la giurisprudenza maggioritaria riteneva necessaria anche sotto il vigore della precedente disposizione.
Il fatto che la nuova disposizione espliciti il requisito della continuità esclude la possibilità di attribuire rilevanza al frazionamento del periodo, salvo che lo stesso sia realizzato dal datore con modalità fraudolente, potendo in tal caso il lavoratore invocare la maturazione del diritto alla promozione in forza dell'
art. 1344 c.c.
In questa prospettiva, anche sotto il vigore del nuovo
art. 2103 c.c., vi sarà spazio per l'instaurazione di controversie finalizzate al riconoscimento del diritto del lavoratore alla promozione nel caso in cui lo stesso sia stato adibito alle mansioni superiori per periodi che, pur essendo singolarmente inferiori al limite previsto dalla legge o dal contratto collettivo, sommati tra loro consentano il raggiungimento del prescritto limite. Ciò a condizione che il lavoratore sia in grado di dimostrare che il frazionamento fosse posto in essere allo scopo di impedire la maturazione del diritto.
In tal senso, è utile ricordare che anche sotto il vigore del vecchio
art. 2103 c.c. la giurisprudenza aveva ammesso la possibilità per il lavoratore di dimostrare la pretestuosità del frazionamento.
In particolare, la Cassazione aveva invero riconosciuto la possibilità di cumulare i periodi di adibizione allo svolgimento di mansioni superiori, nel caso in cui il frazionamento degli stessi fosse artatamente costruito dal datore di lavoro per evitare la maturazione del diritto all'inquadramento superiore (cfr.
Cass. 25 maggio 2009, n. 11997;
Cass., 30 gennaio 2009, n. 2542). Altra parte della giurisprudenza aveva inoltre ritenuto cumulabili i periodi ai fini della maturazione del diritto alla promozione, indipendentemente da un intento fraudolento dell'imprenditore, quando l'esecuzione delle mansioni superiori avesse assunto carattere di frequenza e di sistematicità; laddove tali caratteri fossero desumibili dal numero delle assegnazioni e dal tempo intercorso fra un'assegnazione e l'altra (
Cass., 25 marzo 2004, n. 6018). Infine, secondo un ulteriore filone giurisprudenziale, il frazionamento dell'assegnazione in periodi più lunghi, nella loro somma, al tempo indicato dalla legge ma inferiori, ciascuno, a detto tempo, era invece considerato legittimo (senza che gli stessi potessero essere sommati tra loro ai fini dell'
art. 2103 c.c.) se reso necessario dall'obbligo del datore di espletare una selezione concorsuale per l'affidamento del posto superiore e in attesa del suo esaurimento (Cass., 15 settembre 2005, n. 18270).