Il nuovo art. 2103 c.c. : assegnazione (temporanea e definitiva) a mansioni superiori

Ilario Alvino
04 Febbraio 2016

In tema di modifica delle mansioni di assunzione del lavoratore è stata integralmente riscritta dal legislatore la disciplina dell'art. 2103 c.c., attraverso l'art. 3 del D.lgs. n. 81/2015.Il presente contributo prosegue sulla stessa tematica seguendo quello già pubblicato che ha introdotto le ragioni della modifica dello ius variandi, esaminato la disciplina del mutamento a parità di livello o categoria legale di inquadramento ed ha affrontato il problema dell'ambito temporale di applicazione delle nuove regole. Il focus in oggetto approfondisce la disciplina che regolamenta la possibilità riconosciuta al datore di lavoro di adibire il lavoratore a mansioni riconducibili a livelli o categorie legali di inquadramento superiore rispetto alle ultime effettivamente svolte. L'ultimo contributo sarà dedicato alle ipotesi di demansionamento.
Abstract

Vedi anche I parte (Il nuovo art. 2103 c.c.: mutamento di mansioni orizzontale a parità di livello di inquadramento)

ll legislatore ha, con l'art. 3 del d.lgs. 81/2015, integralmente riscritto la disciplina dettata dall'art. 2103 c.c. in materia di modifica delle mansioni di assunzione del lavoratore. Il presente contributo segue ad uno già pubblicato nel quale: sono state introdotte le ragioni della modifica della disciplina dello ius variandi; è stata esaminata la disciplina del mutamento a parità di livello o categoria legale di inquadramento; è stato affrontato il problema dell'ambito temporale di applicazione delle nuove regole. Il presente focus è dedicato ad approfondire la disciplina che regolamenta la possibilità riconosciuta al datore di lavoro di adibire il lavoratore a mansioni riconducibili a livelli o categorie legali di inquadramento superiore rispetto alle ultime effettivamente svolte.

L'assegnazione a mansioni superiori

Le nuove regole in materia di modifica delle mansioni di assunzione del lavoratore introducono alcune importanti novità anche con riferimento agli effetti dell'adibizione del lavoratore a mansioni superiori.

La nuova disposizione, come la precedente, riconosce in capo al datore di lavoro il potere di assegnare il lavoratore allo svolgimento di mansioni riconducibili a livelli di inquadramento superiori previsti dal contratto collettivo o a categorie legali più elevate.

L'

art. 2103 c.c.

non pone limiti espliciti a tale possibilità

, come peraltro già avveniva nella precedente formulazione, preoccupandosi piuttosto di regolamentare gli effetti della eventuale assegnazione del lavoratore allo svolgimento di mansioni superiori.

Ed invero, la nuova disposizione, da un lato, individua le condizioni in presenza delle quali l'assegnazione deve essere considerata definitiva o solo temporanea, e, dall'altro, regolamenta gli effetti retributivi e normativi conseguenti allo svolgimento delle mansioni superiori.

La nuova disposizione, come la precedente, non detta invece limiti espliciti al potere del datore di lavoro di adibire il lavoratore a mansioni superiori, ma per la prima volta configura, al terzo comma, un obbligo formativo in capo al datore di lavoro in caso di mutamento di mansioni che può dunque assumere una rilevanza anche in caso di promozione del lavoratore.

Il diritto all'inquadramento superiore

Come già avveniva sotto il vigore della disposizione riformata dall'

art. 13 dello Statuto dei lavoratori

, anche il nuovo

art. 2103 c.c.

prevede che il lavoratore maturi il diritto all'inquadramento superiore dopo che lo stesso sia stato impiegato nelle mansioni superiori per un determinato lasso temporale.

Questo ci consente di affermare che l'assegnazione del lavoratore alle mansioni superiori diviene definitiva in due ipotesi: I) nel caso in cui il datore di lavoro comunichi formalmente al lavoratore che l'adibizione alle mansioni superiori deve considerarsi da subito definitiva; II) nel caso in cui il lavoratore sia adibito di fatto a svolgere le mansioni superiori per il periodo previsto dalla legge o dal contratto collettivo, salvo che non ricorra una delle ipotesi che esclude la maturazione del diritto.

Soffermandoci sull'esame del secondo caso, l'

art. 2103 c.c.

prescrive che l'assegnazione divenga definitiva dopo che sia decorso il periodo previsto dal contratto collettivo o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi.

Al riguardo è utile subito sottolineare che “definitività dell'assegnazione” significa che, una volta decorso il termine previsto dal contratto collettivo o dalla legge, una eventuale successiva adibizione alle mansioni di partenza o ad altre mansioni riconducibili allo stesso livello o alla

stessa categoria legale di inquadramento di queste ultime dovranno essere trattate come demansionamenti e di essi dovrà dunque essere valutata la legittimità alla luce delle relative regole, per le quali si rinvia al terzo contributo.

La fonte competente a definire la durata del periodo di assegnazione utile alla maturazione del diritto all'inquadramento superiore è individuata nel contratto collettivo, il quale, data la natura ampia del rinvio dettato dalla disposizione codicistica, deve essere considerato abilitato a stabilire che il lasso temporale necessario possa essere anche superiore ai sei mesi previsti dall'

art. 2103 c.c.

Alla medesima conclusione era peraltro pervenuta la giurisprudenza anche sotto il vigore della precedente disposizione, ritenendo che la contrattazione collettiva fosse abilitata ad attenuare le rigidità della norma codicistica, ampliando il periodo di consolidamento nelle mansioni superiori se richiesto dalla concreta realtà aziendale (cfr.

Cass. 4 ottobre 2006, n. 21338

, in Not. Giur. Lav., 2007, 28).

Occorre altresì precisare che, in forza della previsione dettata dall'

art. 51 d.lgs. 81/2015

, tutti i livelli di contrattazione collettiva sono abilitati a definire il lasso temporale trascorso il quale il lavoratore matura il diritto a rimanere nelle mansioni superiori.

In mancanza di previsioni specifiche del contratto collettivo applicato al rapporto, il lavoratore matura il diritto all'inquadramento superiore decorsi sei mesi continuativi di adibizione alle mansioni superiori corrispondenti.

Il nuovo

art. 2103 c.c.

esplicita, dunque, che l'impiego nelle mansioni superiori deve essere avvenuto, per il periodo prescritto, in maniera “continuativa”, con ciò codificando una condizione che la giurisprudenza maggioritaria riteneva necessaria anche sotto il vigore della precedente disposizione.

Il fatto che la nuova disposizione espliciti il requisito della continuità esclude la possibilità di attribuire rilevanza al frazionamento del periodo, salvo che lo stesso sia realizzato dal datore con modalità fraudolente, potendo in tal caso il lavoratore invocare la maturazione del diritto alla promozione in forza dell'

art. 1344 c.c.

In questa prospettiva, anche sotto il vigore del nuovo

art. 2103 c.c.

, vi sarà spazio per l'instaurazione di controversie finalizzate al riconoscimento del diritto del lavoratore alla promozione nel caso in cui lo stesso sia stato adibito alle mansioni superiori per periodi che, pur essendo singolarmente inferiori al limite previsto dalla legge o dal contratto collettivo, sommati tra loro consentano il raggiungimento del prescritto limite. Ciò a condizione che il lavoratore sia in grado di dimostrare che il frazionamento fosse posto in essere allo scopo di impedire la maturazione del diritto.

In tal senso, è utile ricordare che anche sotto il vigore del vecchio

art. 2103 c.c.

la giurisprudenza aveva ammesso la possibilità per il lavoratore di dimostrare la pretestuosità del frazionamento.

In particolare, la Cassazione aveva invero riconosciuto la possibilità di cumulare i periodi di adibizione allo svolgimento di mansioni superiori, nel caso in cui il frazionamento degli stessi fosse artatamente costruito dal datore di lavoro per evitare la maturazione del diritto all'inquadramento superiore (cfr.

Cass. 25 maggio 2009, n. 11997

;

Cass., 30 gennaio 2009, n. 2542

). Altra parte della giurisprudenza aveva inoltre ritenuto cumulabili i periodi ai fini della maturazione del diritto alla promozione, indipendentemente da un intento fraudolento dell'imprenditore, quando l'esecuzione delle mansioni superiori avesse assunto carattere di frequenza e di sistematicità; laddove tali caratteri fossero desumibili dal numero delle assegnazioni e dal tempo intercorso fra un'assegnazione e l'altra (

Cass., 25 marzo 2004, n. 6018

). Infine, secondo un ulteriore filone giurisprudenziale, il frazionamento dell'assegnazione in periodi più lunghi, nella loro somma, al tempo indicato dalla legge ma inferiori, ciascuno, a detto tempo, era invece considerato legittimo (senza che gli stessi potessero essere sommati tra loro ai fini dell'

art. 2103 c.c.

) se reso necessario dall'obbligo del datore di espletare una selezione concorsuale per l'affidamento del posto superiore e in attesa del suo esaurimento (Cass., 15 settembre 2005, n. 18270).

La possibilità del lavoratore di opporsi all'assegnazione definitiva

Il nuovo

art. 2103 c.c.

enuncia il diritto del lavoratore di opporsi alla promozione automatica, esercitabile esprimendo una volontà diversa dall'assegnazione definitiva.

L'adibizione del lavoratore a mansioni superiori costituisce oggetto del potere direttivo del datore di lavoro, che sul punto non è però illimitato potendo il lavoratore pretendere di “tornare” nelle mansioni precedenti una volta raggiunto il periodo che darebbe allo stesso diritto ad essere adibito in via definitiva alle mansioni superiori.

In questo modo, la riforma ha risolto il dubbio presente sotto il vigore della precedente formulazione che, nulla affermando sul punto, aveva indotto dottrina e giurisprudenza a sostenere opinioni discordanti circa la configurabilità di un diritto in capo al lavoratore di opporsi alla promozione automatica.

La volontà contraria all'assegnazione definitiva alle mansioni superiori dovrà peraltro essere espressa prima che maturi il periodo previsto dalla legge o dal contratto collettivo, ossia prima che il lavoratore stesso abbia maturato il diritto a permanere nelle nuove mansioni. Se la volontà venisse espressa successivamente, la stessa non potrebbe impedire la definitività dell'assegnazione, poiché il rifiuto di rimanere nelle mansioni superiori si configurerebbe allora come un atto di disposizione di un diritto già maturato dal lavoratore in forza dell'

art. 2103 c.c.

Detto altrimenti, in tale ipotesi, la retrocessione del lavoratore alle mansioni precedenti potrebbe avvenire solo a seguito di un atto di demansionamento che, anche se rispondente all'interesse del medesimo lavoratore, dovrà possedere i requisiti richiesti al riguardo dal sesto comma dell'

art. 2103 c.c.

, sul quale ci soffermeremo nel terzo contributo.

Le ipotesi di assegnazione temporanea a mansioni superiori

L'assegnazione a mansioni superiori non diviene definitiva, e può protrarsi anche per un tempo superiore a quello previsto dalla legge o dal contratto collettivo applicato al rapporto, se l'assegnazione medesima sia disposta per “ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio”.

La nuova disposizione riduce, così, rispetto alla precedente formulazione dell'

art. 2103 c.c.

, il ventaglio delle ipotesi nelle quali il lavoratore potrà maturare il diritto all'assegnazione definitiva delle mansioni superiori, poiché la stessa fa generico riferimento all'ipotesi della sostituzione di altro lavoratore in servizio. Mentre la vecchia disposizione faceva riferimento alle ipotesi tassative legali di sospensione del rapporto di lavoro, la nuova norma introduce un riferimento generico alla sostituzione del lavoratore “assente”.

Il diritto alla definitività dell'assegnazione a mansioni superiori non matura, in altre parole, non solo nei casi di sostituzione di un lavoratore assente per malattia, infortunio, gravidanza, ma altresì in ogni ipotesi in cui il lavoratore sia impiegato in sostituzione di un altro lavoratore in servizio ma temporaneamente assente perché, ad esempio, impiegato in altre mansioni o in un corso di formazione.

L'onere formativo del datore di lavoro e gli effetti normativi e retributivi della assegnazione a mansioni superiori

Il terzo comma dell'

art. 2103 c.c.

pone in capo al datore di lavoro un obbligo formativo nei confronti del lavoratore le cui mansioni vengano mutate.

Pur essendo tale obbligo previsto dal comma successivo a quello dedicato all'ipotesi di adibizione del lavoratore a mansioni inferiori in caso di modifica degli assetti organizzativi, si può ritenere che lo stesso non sia inscindibilmente legato a questa ipotesi, ma che viceversa operi in ogni ipotesi in cui il mutamento di mansioni sia disposto unilateralmente dal datore di lavoro.

Come prescrive lo stesso terzo comma, l'inadempimento dell'obbligo formativo non determina in ogni caso la nullità dell'atto di assegnazione, ma potrà condizionare la valutazione dell'eventuale condotta del lavoratore che abbia commesso un inadempimento ad obblighi contrattuali, ogni qual volta l'errore sia stato commesso dal lavoratore per il fatto di non disporre delle conoscenze necessarie al corretto e diligente esercizio della prestazione lavorativa.

La nuova disposizione, infine, confermando il principio già enunciato dal vecchio

art. 2103 c.c.

in attuazione del principio costituzionale di proporzionalità e sufficienza della retribuzione (

art. 36 Cost.

), dispone che nel caso di assegnazione a mansioni superiori il lavoratore abbia diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta e quindi al trattamento definito dal contratto collettivo applicato al rapporto per il superiore inquadramento al quale siano riconducibili le nuove mansioni.

Guida all'Approfondimento

- Brollo, Disciplina delle mansioni (art. 3), in F. CARINCI (a cura di), Commento al

d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81

: le tipologie contrattuali e lo jus variandi”

, Adapt Labour Studies, n. 48/2015;
-

Gargiulo, Lo jus variandi nel “nuovo”

art. 2103 cod. civ., WP “Massimo D'Antona”-IT, n. 268/2015;

- Liso, Brevi osservazioni sulla revisione della disciplina delle mansioni contenuta nel

decreto legislativo n. 81/2015

e su alcune recenti tendenze di politica legislativa in materia di rapporto di lavoro

, WP “Massimo D'Antona”-IT, n. 257/2015;

- Voza, Autonomia privata e norma inderogabile nella nuova disciplina del mutamento di mansioni, WP “Massimo D'Antona”-IT, n. 262/2015

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