Determinazione della base retributiva imponibile ai fini contributivo-previdenziali per i lavoratori impiegati all’estero

Gabriele Livi
15 Febbraio 2017

Ai fini dell'individuazione della base imponibile per la determinazione dei contributi previdenziali dovuti in relazione alla posizione di lavoratori italiani che prestano attività lavorativa all'estero in Paesi Convenzionati, deve aversi riguardo alla retribuzione effettivamente corrisposta e non alle retribuzioni convenzionali individuate con i D.M. richiamati dall'art. 4, comma 1, D.L. n. 317/1987 (L. n. 398/1987), non essendo applicabile il comma 8-bis dell'art. 48, DPR n. 917/1986 (attualmente art. 51), introdotto dall'art. 36, comma 1, L. n. 342/ 2000, che opera esclusivamente a fini fiscali e non incide sulla determinazione della retribuzione imponibile a fini contributivi.
Massima

Ai fini dell'individuazione della base imponibile per la determinazione dei contributi previdenziali dovuti in relazione alla posizione di lavoratori italiani che prestano attività lavorativa all'estero in Paesi Convenzionati, deve aversi riguardo alla retribuzione effettivamente corrisposta e non alle retribuzioni convenzionali individuate con i D.M. richiamati dall'art. 4, comma 1, D.L. n. 317/1987 (L. n. 398/1987) non essendo applicabile il comma 8-bis, art. 48, DPR n. 917/1986 (attualmente art. 51), introdotto dall'art. 36, comma 1, L. n. 342/2000, che opera esclusivamente a fini fiscali e non incide sulla determinazione della retribuzione imponibile a fini contributivi.

Il caso

La vicenda attiene alla determinazione della retribuzione imponibile ai fini contributivo-previdenziali, con riguardo ad un dipendente impiegato per un prolungato periodo lavorativo negli USA, presso una consociata di un'azienda italiana.

In applicazione della Convenzione in atto fra Italia e Stati Uniti, il lavoratore resta assicurato presso l'Ente previdenziale italiano cui vengono versati i contributi previdenziali (e cui fanno conseguentemente carico le correlate prestazioni anche per tale periodo), mentre nessun premio o contributo è dovuto alle Assicurazioni sociali americane (v. Legge n. 86/1975, che ha ratificato l'accordo fra la Repubblica Italiana e gli USA raggiunto il 23 maggio 1973).

L'azienda datrice di lavoro, per i contributi previdenziali dall'anno 2000 in poi, utilizza quale base di riferimento non la retribuzione effettivamente corrisposta al dipendente, ma quella convenzionale, individuata ai sensi della L. n. 398/1987 (e relativi DM attuativi), contenente norme in materia di tutela dei lavoratori italiani operanti nei Paesi extracomunitari con i quali non vigono accordi di sicurezza sociale.

Tale normativa sarebbe stata resa applicabile alla fattispecie de quo (in cui difetta il presupposto della non vigenza di accordi di sicurezza sociale), ex art. 51, comma 8-bis, TUIR (introdotto dall'art. 36, L. n. 342/2000), ai cui sensi “In deroga alle disposizioni dei commi da 1 a 8, il reddito di lavoro dipendente, prestato all'estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell'arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il Decreto del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale di cui all'articolo 4, comma 1,D.L. 31 luglio 1987, n. 317, convertito, con modificazioni, dalla Legge 3 ottobre 1987, n. 398”.

Norma, questa, di diretta rilevanza fiscale, che, però, in ossequio al principio dell'uniformazione della base imponibile (di cui alla Legge delega n. 662/1996 e al D.Lgs. attuativo n. 314/1997), parte della dottrina ha ritenuto riferibile anche all'ambito previdenziale (cfr. Diritto e pratica del lavoro, La contribuzione previdenziale, (a cura di) A. Pandolfo e altri, Milano, 2008, p. 208 ss.), sussistendo i presupposti in essa indicati (in particolare: soggiorno nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni nell'arco di 12 mesi).

Tale impostazione viene contestata dall'INPS, che ricorre al giudice di legittimità per sentire affermare che, nella fattispecie in esame, i contributi previdenziali avrebbero dovuto essere determinati applicando le relative aliquote sulla retribuzione effettivamente percepita, nel periodo, dal lavoratore e non sulla retribuzione convenzionale.

La vertenza giunge all'esame della Corte di Cassazione dopo che, nei due gradi di merito, è stata decisa in senso favorevole alla azienda resistente.

La questione

La questione giuridica sottesa alla vicenda attiene all'ampiezza e alla esatta interpretazione del principio di uniformazione della base retributiva imponibile ai fini fiscali e contributivi, enunciato nella Legge delega n. 662/1996 (art. 3, comma 19, lett. a) - e)) e reso operativo nell'ordinamento dal D.Lgs. n. 314/1997.

Quest'ultimo assegna alla normativa fiscale il ruolo di canone di riferimento anche per quanto attiene alla imponibilità previdenziale: redditi da lavoro dipendente ai fini contributivi sono infatti gli stessi indicati dall'art. 46, comma 1, TUIR (ora art. 49) e art. 48, comma 1 (ora art. 51) e le esclusioni dalla base imponibile sono quelle enumerate nell'art. 48 comma 2 e ss., cui - però - se ne aggiungono talune altre, specifiche del versante previdenziale (e richiamate nell'art. 12, L. 153/1969).

Trattandosi di due ambiti giuridici comunque distinti – quello fiscale e quello previdenziale – la fattispecie è stata considerata, in dottrina (cfr. A. Pandolfo cit.), quale sorta di rinvio recettizio della normativa previdenziale a quella fiscale, da intendere, in linea di massima, nei termini di un rinvio dinamico, cioè destinato a mantenere coerente nel tempo la comunanza identitaria della base imponibile, talché le modifiche ai citati articoli del TUIR, successive al 1997, risultano applicabili, oltre l'ambito fiscale, anche a quello previdenziale.

È da sottolineare, tuttavia, che il richiamato meccanismo non incide sul carattere autonomo del sistema previdenziale rispetto all'altro, come anche evidente dal fatto che il legislatore del 1997 ha ritenuto opportuno confermare le specifiche disposizioni previdenziali in materia di retribuzione minima e massima imponibile (Legge n. 389/1989), quelle, per l'appunto, in materia di retribuzioni convenzionali e quelle, ancora, in materia di retribuzioni imponibili non rientranti tra i redditi di cui all'art. 46 TUIR (cfr. art. 6, comma 8, D.Lgs. n. 314/1997).

Le soluzioni giuridiche

Nell'accogliere il ricorso dell'Ente previdenziale, la Cassazione chiarisce il senso e la portata del principio di uniformazione della base imponibile, rammentando che già in sede di delega il legislatore lo indicava quale obiettivo tendenziale, ma non assoluto, come risulta evidente dal riferimento alla “… piena equiparazione, ove possibile” (art. 3, comma 19, lett. d), L. n. 662/1996): l'equiparazione non involge cioè una completa assimilazione delle fattispecie, ma richiede una verifica caso per caso in termini di coerenza e congruenza.

In particolare, la Corte osserva che la condizionalità apposta dal legislatore “non è tale da determinare la natura recettizia del rinvio alle richiamate disposizioni del TUIR a fini previdenziali, occorrendo esaminare la compatibilità con il sistema previdenziale delle modifiche di volta in volta introdotte ai fini fiscali”.

Nel caso di specie, afferma il Giudice di legittimità, “la compatibilità del comma 8-bis in scrutinio con il sistema previdenziale deve essere esclusa per una serie di concomitanti ragioni”. In tal senso, rileva innanzitutto che tale comma, aggiunto nel 2000 (art. 36, L. n. 342/2000), è stato introdotto con specifico riferimento alla materia fiscale, come risulta evidente dal richiamo al “discrimine temporale dei 183 giorni, che trova ed esaurisce la sua ragion d'essere nel campo fiscale, in quanto è legato al concetto di residenza fiscale delle presone fisiche … mentre perde ogni significato se trasportato nel campo previdenziale”, ove il concetto di residenza non rileva e anzi si determinerebbe una disparità di trattamento, ingiustificata ai fini previdenziali, tra lavoratori a seconda della durata dell'impiego e del soggiorno all'estero.

In secondo luogo, evidenzia la Corte, ritenere la disposizione dell'art. 51, comma 8-bis operante anche ai fini previdenziali determinerebbe una ingiustificata compressione delle entrate pubbliche, oltretutto a detrimento della posizione previdenziale del lavoratore.

Infine, ci si troverebbe di fronte ad un meccanismo, alquanto farraginoso e indiretto, per effetto del quale l'applicazione delle retribuzioni convenzionali, quale base di calcolo dei contributi anche per lavoratori operanti in Paesi convenzionati” (oltre che a quelli operanti in Paesi non convenzionati) avrebbe attuazione attraverso una norma - art. 51, comma 8-bis - di immediato rilievo fiscale, estesa all'ambito previdenziale per effetto del principio della equiparazione della base imponibile.

Occorre invece tener conto del fatto che l'art. 51, comma 8-bis non mette in discussione l'impianto complessivo del sistema varato, ai fini previdenziali, dal legislatore del 1987 (con la L. n. 398/1987), che ha previsto l'utilizzo delle retribuzioni convenzionali quale base di computo dei contributi, con limitato effetto ai lavoratori impegnati all'estero in Paesi non convenzionati (sistema attuato a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 369/1985 per tutelare lavoratori altrimenti esclusi da copertura).

Circostanza a cui consegue che “nei casi in cui invece vi siano accordi [fra gli Stati] che consentono il mantenimento della copertura assicurativa in Italia, in deroga al principio del criterio della territorialità, i datori di lavoro che continueranno a versare i contributi previdenziali in Italia devono assumere come parametro per la determinazione della base imponibile le retribuzioni effettive corrisposte ai lavoratori all'estero, cui sono correlativamente commisurate, nelle forme e nei modi previsti, le prestazioni dovute”.

Osservazioni

La sentenza in esame, sebbene escluda la duplice valenza fiscale e previdenziale dell'art. 51, comma 8-bis, non sembra in generale sconfessare o restringere il principio di equiparazione della base imponibile, ma piuttosto appare intesa a chiarire che la recezione della normativa fiscale in ambito previdenziale, comunque dinamica (secondo le modifiche che intervengano nel tempo), non è frutto di un puro automatismo, ma subordinata a previa verifica di compatibilità fra le regole dei rispettivi sistemi di riferimento.

Come risulta dai contenuti della sentenza sopra riportati, la Cassazione esclude che, nel caso di specie, si realizzi la ricezione esclusivamente perché la norma fiscale indagata (art. 51, comma 8-bis, TUIR) evidenzia elementi che la rendono non coerente con i principi che regolano la imposizione contributiva.

La questione della ricezione della norma fiscale in ambito previdenziale (a garanzia della uniformità di base imponibile) potrebbe riproporsi con riguardo a una recente disposizione della Legge di Bilancio che ha aggiunto all'art. 51, comma 2, TUIR una lettera f-quater, ai cui sensi sono esclusi da imposizione fiscalei contributi e premi versati dal datore di lavoro a favore della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti per prestazioni anche in forma assicurativa, aventi per oggetto il rischio di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana …” (v. art. 1, commi 160-162, Legge n. 232/2016).

Tale disposizione ha fatto insorgere l'interrogativo se vadano oggi escluse, come sembrerebbe, dalla base imponibile previdenziale (oltre che fiscale) le somme che il datore versa quale premio a compagnie di assicurazione per garantire forme di LTC (Long Term Care) al proprio personale, somme sinora assoggettate a contribuzione piena (cfr. Circolare INPS n. 263/1997); a tale dubbio se ne affianca un altro che – anche alla luce del confronto fra art. 9-bis, L. n. 166/1991 e art. 12, co. 4, lett. f), L. n. 153/1969 – porta a immaginare, in ipotesi, la esclusione dello stesso contributo di solidarietà, altrimenti previsto (ad esempio quando le somme siano intermediate da Casse sanitarie).