Nullità della cessione di ramo di azienda e risarcimento del danno da mancato ripristino del rapporto di lavoro
14 Luglio 2015
Massima
La nullità della cessione di ramo d'azienda produce il diritto al risarcimento del danno a favore del lavoratore che, nonostante la dichiarazione giudiziale di nullità, non sia stato ammesso a riprendere il lavoro nell'impresa cedente. Questo diritto tuttavia non sussiste qualora lo stesso lavoratore abbia accettato l'estinzione dell'unico rapporto di lavoro, di fatto proseguito con l'impresa cessionaria, sottoscrivendo insieme a quest'ultima un verbale di messa in mobilità. Il caso
Con sentenza n. 3227/2007 il Tribunale di Milano dichiarava l'inefficacia della cessione da Telecom Italia spa a Telepost spa del ramo d'azienda cui erano addetti alcuni lavoratori e condannava la società cedente a ripristinarne i rapporti di lavoro. La società cedente non ottemperava all'ordine di ripristinare i rapporti di lavoro malgrado la formale offerta delle prestazioni da parte dei lavoratori, che continuavano tuttavia a prestare attività lavorativa alle dipendenze della società cessionaria, dalla quale nel dicembre 2005 venivano collocati in mobilità, che gli stessi accettavano mediante sottoscrizione di verbale di conciliazione. Con distinti ricorsi monitori i lavoratori in questione chiedevano ed ottenevano dal Tribunale di Milano distinti decreti ingiuntivi con i quali si intimava alla società cedente il pagamento delle retribuzioni maturate dalla data di cessione del contratto di lavoro sino a quello della domanda giudiziale. Avverso detti decreti proponeva opposizione la società cedente, la cui domanda veniva tuttavia rigettata con sentenza del Tribunale di Milano, successivamente confermata dalla Corte di Appello di Milano con sentenza n. 1467/2012. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Telecom spa deducendo: a) la violazione degli articoli 2112 e 2126 c.c. b) l'omesso esame di un punto decisivo della controversia (costituito dal fatto che i lavoratori avevano accettato la collocazione in mobilità da parte della società Telepost, riconoscendolo come vero datore di lavoro); c) la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1223, 1256, 1453 e 1463 c.c. Le questioni
La questione in esame riguarda gli effetti della dichiarazione giudiziale di nullità della cessione di ramo d'azienda, nella particolare ipotesi in cui i dipendenti, transitati alle dipendenze della cessionaria, abbiano di fatto continuato a lavorare con quest'ultima, accettando, mediante la sottoscrizione di un verbale di conciliazione, di essere dalla stessa collocati in mobilità con contestuale rinuncia ad impugnare il licenziamento intimatogli. La Cassazione interviene per valutare quali siano gli effetti del comportamento concludente posto in essere dai lavoratori ed in particolare se l'avvenuta accettazione del licenziamento intimato dalla cessionaria sia idoneo ad estinguere l'obbligo risarcitorio sorto in capo alla società cedente per non aver ottemperato all'ordine giudiziale di ripristino dei rapporti di lavoro all'esito di sentenza con la quale veniva dichiarata la nullità dell'atto di cessione di ramo d'azienda tra società cedente e società cessionaria. Le soluzioni giuridiche
Con la sentenza in esame la Suprema Corte ribalta l'esito dei precedenti giudizi di merito, in cui sia il Tribunale che la Corte di Appello di Milano avevano ritenuto ininfluenti le vicende successive alla declaratoria di nullità dell'atto di cessione del ramo di azienda dalla cedente alla cessionaria, sul presupposto che sia la prosecuzione del rapporto di lavoro alle dipendenze della cessionaria sia l'avvenuta accettazione del licenziamento intimato da quest'ultima non potessero assumere giuridica rilevanza in presenza di una cessione di ramo d'azienda la cui nullità era stata accertata e quindi dichiarata in sede giudiziale. In altri termini, secondo la prospettazione dei giudici territoriali, essendo stata dichiarata in via giudiziale la nullità del contratto di cessione del ramo di azienda nel quale erano occupati i lavoratori, i comportamenti concludenti posti in essere da questi ultimi (costituiti dalla prosecuzione del rapporto di lavoro alle dipendenze della cessionaria con conseguente percezione del trattamento retributivo, nonché dall'accettazione della risoluzione del rapporto di lavoro per intervenuta collocazione in mobilità da quest'ultima attivata) non avrebbero inciso sul permanente obbligo retributivo sussistente in capo alla cedente, che in esecuzione delle sentenze dichiarative della nullità della cessione, avrebbe dovuto provvedere a ripristinare i rapporti di lavoro con i dipendenti oggetto di cessione con efficacia ex tunc, con ogni conseguente obbligo retributivo e contributivo. La Cassazione con la sentenza qui commentata esprime un diverso orientamento, partendo dal presupposto, incontestato, che i lavoratori in questione abbiano di fatto continuato a lavorare alle dipendenze della società cessionaria, percependo il relativo trattamento retributivo ed addirittura accettando la messa in mobilità da parte di quest'ultima. Secondo la Suprema Corte, infatti, la mancata ottemperanza da parte della società cedente alle sentenze che avevano dichiarato nulla la cessione di ramo di azienda crea in capo a quest'ultima un obbligo risarcitorio, da valutarsi secondo gli ordinari canoni civilistici (art. 1218 c.c.). Osservazioni
Le vicende circolatorie in tema di trasferimento d'azienda possono assumere contorni variegati, ferma restando la disciplina codicistica di cui all'art. 2112 c.c., che mira a garantire al lavoratore la continuità del rapporto di lavoro in caso di mutamento della parte datoriale. La sentenza in commento parte dal principio, già espresso da Cassazione n. 19740/2008, secondo cui nei confronti dell'azienda cedente che non abbia ottemperato, all'esito di declaratoria giudiziale di nullità dell'atto di cessione, all'ordine di ripristinare i rapporti di lavoro dei dipendenti oggetto di trasferimento, i lavoratori medesimi possano esperire unicamente azione risarcitoria, secondo gli ordinari criteri civilistici (art. 1218 c.c.). Quanto innanzi sul presupposto, già ribadito in altre pronunce, che “il contratto di lavoro è un contratto a prestazioni corrispettive in cui l'erogazione del trattamento economico in mancanza di lavoro costituisce un'eccezione, che deve essere oggetto di un'espressa previsione di legge o di contratto, ciò che avviene ad esempio nei casi del riposo settimanale (art. 2108 c.c.) e delle ferie annuali (art. 2109 c.c.)”; conseguentemente, devesi ritenere “che la mancanza della prestazione lavorativa dà luogo, anche nel contratto di lavoro, ad una scissione tra sinallagma genetico (che ha riguardo al rapporto di corrispettività esistente tra le reciproche obbligazioni dedotte in contratto) e sinallagma funzionale (che lega invece le prestazioni intese come adempimento delle obbligazioni dedotte) che esclude il diritto alla retribuzione – corrispettivo, ma determina a carico del datore di lavoro, che ne è responsabile, l'obbligo di risarcire i danni, eventualmente commisurati alle mancate retribuzioni” (Cass. 9 settembre 2014 n. 18955). La violazione dell'obbligo di ripristino dei rapporti di lavoro dei dipendenti oggetto di illegittima cessione comporta quindi che l'azienda cedente sia tenuta al risarcimento dei danni, eventualmente commisurati alle mancate retribuzioni, con detrazione dell'aliunde perceptum ove medio tempore vi sia stato svolgimento di altra attività lucrativa. Conseguentemente, grava sui lavoratori l'onere di provare l'effettivo danno subito, che nel caso in esame è ritenuto insussistente, atteso che per il periodo precedente alla collocazione in mobilità i lavoratori hanno regolarmente ricevuto la retribuzione dalla società cessionaria, mentre per il periodo successivo la risoluzione del rapporto di lavoro è stata pienamente accettata dai lavoratori, che all'uopo hanno sottoscritto apposito verbale di conciliazione. Nella fattispecie, la Suprema Corte, preso atto che i dipendenti, all'esito della cessione di ramo d'azienda poi dichiarata nulla, avevano comunque continuato a prestare attività lavorativa alle dipendenze della società cessionaria, peraltro accettando il licenziamento e collocazione in mobilità dalla stessa intimato, ha escluso la sussistenza di qualsivoglia danno in capo ai lavoratori per il periodo successivo alla collocazione in mobilità, affermando che le mensilità di retribuzione richieste, anche solo a titolo risarcitorio, non spettano in quanto il rapporto si è risolto su iniziativa dei lavoratori che hanno aderito alle proposte conciliative della società cessionaria. La soluzione adottata dalla Cassazione “guarda oltre” gli effetti della dichiarata nullità della cessione di ramo d'azienda, facendo evidentemente leva sul comportamento concludente posto in essere dai lavoratori oggetto di cessione, i quali volontariamente hanno per un verso accettato di proseguire la propria attività lavorativa alle dipendenze della società cessionaria e per altro verso volontariamente accettato di porre fine al rapporto di lavoro in essere con quest'ultima, aderendo alla proposta aziendale di licenziamento e contestuale collocazione in mobilità. Tale comportamento esclude qualsivoglia obbligo risarcitorio in capo alla società cedente, atteso che la scelta risolutoria dei rapporti di lavoro in essere – anche se di fatto – con la società cessionaria è imputabile unicamente ai lavoratori, che a tal fine hanno sottoscritto un verbale di conciliazione, in tal modo accettando l'estinzione del rapporto di lavoro in essere. L'orientamento sopra riportato appare assolutamente conforme a precedenti pronunce della Suprema Corte in fattispecie analoghe (Cass. 14 luglio 2014 n. 16095; Cass. 16 settembre 2014 n. 19490; Cass. 10 aprile 2014 n. 7281). S. Ciucciovino: Trasferimento di ramo d'azienda ed esternalizzazione, ADL, 2000, 385
M. Magnani – F. Scarpelli: Trasferimento d'azienda ed esternalizzazioni, DLRI, 1999, 485 e ss.
Perulli: Esternalizzazione del processo produttivo e nuove forme di lavoro, DL, 2000, 303 e ss.
G. Santoro Passarelli: Trasferimento d'azienda e rapporto di lavoro, Giappichelli, 2004 |