CGUE: gli spostamenti domicilio-clienti sono orario di lavoro o periodo di riposo?

La Redazione
14 Settembre 2015

La sentenza 10 settembre 2015, C-266/14 della Corte di Giustizia dell'Unione Europea chiarisce la corretta interpretazione dell'art. 2, punto 1, Direttiva n. 2003/88/CE, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, in merito al tempo di spostamento domicilio-clienti di dipendenti che non hanno un luogo di lavoro fisso o abituale.

La sentenza 10 settembre 2015, C-266/14 della Corte di Giustizia dell'Unione Europea chiarisce la corretta interpretazione dell'art. 2, punto 1, Direttiva n. 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, in merito al tempo di spostamento domicilio-clienti di dipendenti che non hanno un luogo di lavoro fisso o abituale.

La domanda di pronuncia pregiudiziale era stata presentata nell'ambito di una controversia instaurata da un sindacato spagnolo che contestava il rifiuto, da parte di due aziende, di considerare cheil tempo che i dipendenti impiegano per gli spostamenti quotidiani tra il loro domicilio ed i luoghi in cui si trovano il primo e l'ultimo cliente indicati dal loro datore di lavoro costituisce orario di lavoro, ai sensi dell'art. 2 citato.

La Corte rileva, in primis, che la Direttiva in esame “intende fissare prescrizioni minime destinate a migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori mediante il ravvicinamento delle disposizioni nazionali riguardanti, in particolare, l'orario di lavoro” e, a tal fine, secondo giurisprudenza costante, definisce la nozione di orario di lavoro – in opposizione al periodo di riposo – includendovi qualsiasi periodo in cui il dipendente sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della propria attività o delle proprie funzioni.

Esaminando il caso di specie, la CGUE ritiene sussistenti gli elementi costitutivi elencati, in quanto:

  • gli spostamenti dei dipendenti, per recarsi dai clienti indicati dal loro datore di lavoro, costituiscono lo strumento necessario per l'esecuzione delle prestazioni tecniche di tali lavoratori presso tali clienti, pertanto tali lavoratori devono essere considerati nell'esercizio della propria attività o delle proprie funzioni (una diversa interpretazione snaturerebbe la nozione di orario di lavoro e comprometterebbe l'obiettivo di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori perseguito dalla Direttiva);
  • conseguentemente, se un lavoratore che non ha più un luogo di lavoro fisso esercita le sue funzioni durante lo spostamento che effettua verso un cliente od in provenienza da questo, tale lavoratore deve essere considerato come al lavoro anche durante tale tragitto;
  • infine, i lavoratori devono essere fisicamente presente nel luogo stabilito dal datore di lavoro e tenersi a disposizione del medesimo per poter immediatamente fornire le opportune prestazioni in caso di bisogno. In ogni caso, durante il tempo di spostamento necessario, che il più delle volte è incomprimibile, detti lavoratori non hanno la possibilità di disporre liberamente del loro tempo e di dedicarsi ai loro interessi, e pertanto essi sono a disposizione dei loro datori di lavoro, spettando poi a quest'ultimo predisporre gli strumenti di controllo necessari per evitare eventuali abusi.

Per tali motivi, la Corte dichiara che l'art. 2 deve essere interpretato nel senso che, se i lavoratori non hanno un luogo di lavoro fisso o abituale, costituisce orario di lavoro, ai sensi di tale disposizione, il tempo di spostamento che tali lavoratori impiegano per gli spostamenti quotidiani tra il loro domicilio ed i luoghi in cui si trovano il primo e l'ultimo cliente indicati dal loro datore di lavoro.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.