Fedeltà e concorrenza sleale

15 Maggio 2017

Il lavoratore ha contatti e pone in essere atti a vantaggio di un soggetto che opera nel medesimo settore produttivo del proprio datore. Perché si ottenga il risarcimento del danno subito a causa di tali condotte, è necessario che le attività siano riconducibili a ipotesi di concorrenza sleale?

Il lavoratore ha contatti e pone in essere atti a vantaggio di un soggetto che opera nel medesimo settore produttivo del proprio datore. Perché si ottenga il risarcimento del danno subito a causa di tali condotte, è necessario che le attività siano riconducibili a ipotesi di concorrenza sleale?

Ai sensi dell'art. 2105 c.c., il dipendente è tenuto al rispetto dell'obbligo di fedeltà, che si sostanzia nel divieto di porre in essere affari, in conto proprio o per conto di terzi, in concorrenza con l'attività svolta dal datore di lavoro; la violazione dello stesso fonda il diritto del datore ad un risarcimento del danno per responsabilità contrattuale.

Tale ipotesi deve essere considerata come autonoma rispetto a quella regolata all'art. 2598 c.c., in quanto la prima possiede una estensione oggettiva più ampia rispetto alle condotte configuranti concorrenza sleale. Quest'ultima, inoltre, potrà fondare una responsabilità extracontrattuale del dipendente, concorrente e non invece condizionante il diritto nascente in capo al datore, in forza della violazione dell'art. 2105 c.c.

Sarà dunque sufficiente provare che il dipendente ha posto in essere attività lesive, o anche solo potenzialmente lesive, degli interessi del proprio datore. In merito: Cass. n. 9925/2009 e n. 2239/2017.

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