I contratti a progetto non riconducibili a specifici programmi di lavoro si convertono in rapporti di lavoro subordinato
16 Settembre 2016
Massima
In tema di contratto di lavoro a progetto, il regime sanzionatorio articolato dall'art. 69 del D.Lgs. n. 276 del 2003 (nel testo vigente all'epoca dei fatti, anteriormente all'interpretazione autentica fornita dalla cd. legge Fornero), pur imponendo in ogni caso l'applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato, contempla due distinte e strutturalmente differenti ipotesi, atteso che, al comma 1, sanziona il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa instaurato senza l'individuazione di uno specifico progetto, realizzando un caso di cd. conversione del rapporto "ope legis", restando priva di rilievo l'appurata natura autonoma dei rapporti in esito all'istruttoria, mentre al comma 2 disciplina l'ipotesi in cui, pur in presenza di uno specifico progetto, sia giudizialmente accertata, attraverso la valutazione del comportamento delle parti posteriore alla stipulazione del contratto, la trasformazione in un rapporto di lavoro subordinato in corrispondenza alla tipologia negoziale di fatto realizzata tra le parti. Il caso
Nella fattispecie in esame, la Corte d'Appello di Cagliari, nel confermare la sentenza di primo grado, aveva annullato una cartella esattoriale per crediti Inps relativa ai contributi omessi per 14 lavoratori assunti con contratto a progetto e ritenuti dall'Istituto lavoratori subordinati. In particolare, la Corte territoriale, pur ritenendo che il progetto, in base al quale erano stati elaborati ben 14 contratti, non presentava un contenuto caratterizzante rispetto all'attività svolta dal committente, aveva ritenuto inesistente l'intento eventualmente fraudolento del committente, giudicando, quindi, autentici i rapporti di collaborazione instaurati. Avverso la sentenza veniva proposto ricorso dall'Inps il quale censurava l'interpretazione dei Giudici di merito in relazione al contenuto dell'art. 69 del D.Lgs. n. 276/2003. La questione
La questione in esame verte sull'interpretazione dell'art. 69 del D.Lgs. n. 276/2003, nel testo previgente alla modifiche introdotte dall'art. 1, c. 23, lett. f) della L. n. 92/2012, c.d. legge Fornero, il quale – nel disporre che “i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l'individuazione di uno specifico progetto […] sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto” -, sanciva, in caso di assenza del progetto, una presunzione di subordinazione, senza, tuttavia, determinare la natura relativa o assoluta della stessa.
Dalla lettura di tale articolo erano emerse due tesi. La prima meno rigorosa, secondo cui, nell'ipotesi in cui il datore di lavoro non provi l'esistenza di un progetto, la presunzione della natura subordinata del rapporto di lavoro è una presunzione non assoluta; conseguentemente, ad avviso dei sostenitori di tale tesi, il datore ha la possibilità di dimostrare che la mancanza di un progetto non è dovuta all'esistenza di un intento fraudolento ma corrisponde alla presenza di un rapporto di collaborazione avente natura autonoma, al fine di evitare l'assoggettamento del rapporto alla disciplina del lavoro subordinato.
In base alla seconda tesi più restrittiva, il citato art. 69 non introduce una presunzione iuris tantum che consenta la prova della natura autonoma dei rapporti di collaborazione posti in essere a fronte di un progetto ritenuto non valido, pertanto, nel caso in cui venga accertata dal giudice l'inesistenza del progetto o del programma di lavoro, il rapporto a progetto dovrà considerarsi di natura subordinata. Le soluzioni giuridiche
La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, cassando la sentenza impugnata, ha accolto il ricorso presentato dall'Inps e ha ricordato che il contratto di lavoro a progetto, disciplinato dal D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, articolo 61, (applicabile alla fattispecie ratione temporis) è caratterizzato da un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, riconducibile ad uno o più progetti specifici, funzionalmente collegati al raggiungimento di un risultato finale e determinati dal committente. Pertanto, il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa instaurato senza l'individuazione di uno specifico progetto, si considera rapporto di lavoro subordinato, a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione del rapporto.
I Giudici di legittimità hanno, quindi, optato per la seconda soluzione sopra esposta, stabilendo che “il giudice può solo verificare l'esistenza nel caso concreto del progetto e nel caso in cui l'analisi porti ad escludere il progetto dovrà considerare il rapporto di natura subordinata”, con la conseguenza che al datore di lavoro non è consentito di provare la natura autonoma dei rapporti di collaborazione posti in essere.
Le conclusioni cui perviene la Suprema Corte sono, del resto, avallate anche da altra giurisprudenza di legittimità, richiamata nella stessa sentenza. Ed, infatti, la Cassazione con altra pronuncia, si è così espressa in materia: “Va esclusa la sussistenza di un rapporto di collaborazione a progetto, costituente una particolare forma di lavoro autonomo, nel caso in cui non sia accertato il contenuto tipico di tale contratto, costituito dal carattere coordinato e continuativo della collaborazione, prevalentemente personale, riconducibile a uno specifico progetto finalizzato al conseguimento di un risultato finale” (Cass. 29 ottobre 2014 n. 23021). Ed ancora: “Il senso complessivo delle disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61-69 (nel testo vigente all'epoca dei fatti per cui è causa, dunque anteriormente alle modifiche apportate dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 23, lett. f), si ricava dalla previsione contenuta nel D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, comma 1, secondo il quale i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all'art. 409 c.p.c., n. 3, "devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l'esecuzione dell'attività lavorativa" (Cass. 9471/2013).
Pertanto, alla luce della normativa e della giurisprudenza maggioritaria, ad avviso della Cassazione, l'impiego del verbo "devono" contenuto nel citato art. 61, palesa l'intenzione del legislatore delegato di vietare il ricorso a collaborazioni coordinate e continuative che non siano riconducibili a uno o più progetti o programmi di lavoro o fasi di esso; e ciò, sempre secondo la Suprema Corte, allo scopo di porre un “argine all'abuso della figura della collaborazione coordinata e continuativa, in considerazione della frequenza con cui giudizialmente ne veniva accertata la funzione simulatoria di rapporti di lavoro subordinato”. Osservazioni
In conclusione, con la sentenza de qua, la Suprema Corte, propendendo alla tesi più restrittiva sopra esposta, ha stabilito che qualora venga accertato in fatto che il rapporto si è configurato come un rapporto di lavoro subordinato, il citato art. 69 del D.L.gs. n. 276/2003, stabilisce che esso si trasformi in un rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti.
I giudici, nella fattispecie, hanno, pertanto, attribuito maggior rilevanza all'aspetto formale piuttosto che a quello che sostanziale: e ciò in quanto, dall'istruttoria emersa era stato dimostrato che le prestazioni di collaborazione erano effettivamente autonome, ma i rapporti di lavoro sono stati ritenuti di natura subordinata unicamente per la mancanza della definizione del progetto.
La statuizione della presente pronuncia, come è noto, è stata confermata dalla riforma Fornero la quale ha fornito un'interpretazione autentica dell'art. 69, in base alla quale la norma va interpretata nel senso che “l'individuazione di uno specifico progetto costituisce elemento essenziale di validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, la cui mancanza determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato”.
Per completezza dell'argomento trattato, si ricorda che la disciplina della collaborazione coordinata e continuativa è stata profondamente modificata dal recente D.Lgs. n. 81/2015. In particolare dal 25 giugno 2015, sono state abrogate le disposizioni sul lavoro a progetto, quelle sulle collaborazioni c.d. marginali e su quelle tipiche (artt. da 61 a 69 del D.Lgs. n. 276/2003). Da detta data è possibile stipulare solo contratti di collaborazione coordinata e continuativa ai sensi dell'art. 409, n. 3, c.p.c., ovvero rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato.
I contratti in essere stipulati con riferimento alle disposizioni abrogate proseguono fino alla loro naturale scadenza secondo le regole previgenti. In questo contesto occorre, però, tenere presente che l'art. 52 del D.Lgs. n. 81/2015 ha introdotto una presunzione di subordinazione per le collaborazioni che si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. |