Collegamento economico-funzionale fra imprenditori societari: imputazione del rapporto di lavoro tra uno di essi e un lavoratore anche dell’altro
19 Settembre 2017
Massime
ll collegamento economico - funzionale tra imprese gestite da società del medesimo gruppo non è di per sé solo sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato, formalmente intercorso fra un lavoratore ed una di esse, si debbano estendere anche all'altra, a meno che non sussista una situazione che consenta di ravvisare - anche all'eventuale fine della valutazione di sussistenza del requisito numerico per l'applicabilità della cosiddetta tutela reale del lavoratore licenziato, un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro. Tale situazione ricorre ogni volta che vi sia una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un'unica attività fra i vari soggetti del collegamento economico - funzionale e ciò venga accertato in modo adeguato, attraverso l'esame delle attività di ciascuna delle imprese gestite formalmente da quei soggetti, che deve rivelare l'esistenza dei seguenti requisiti:
Il caso
Un lavoratore ha impugnato il licenziamento a lui intimato deducendo di avere prestato la propria attività alle dipendenze di un gruppo di imprese. La domanda è stata accolta in primo grado e confermata in secondo con l'accertamento dell'esistenza di un unico gruppo di imprese, la dichiarazione di illegittimità del licenziamento, l'ordine di reintegra nei confronti di una società e la condanna in solido di tutte al pagamento di somme a titolo risarcitorio. Le questioni
La pronuncia in commento si pone sul solco di un consolidato orientamento giurisprudenziale, di merito e di legittimità, secondo cui può identificarsi un centro unico di imputazione del rapporto di lavoro, ove venga accertato:
Le soluzioni giuridiche
La pronuncia in esame conferma un principio da tempo affermato dalla S.C. e seguito pressoché pacificamente nella giurisprudenza di merito (Cass. civ., sez. VI, 12 febbraio 2013, n. 3842; Cass. sez. lav., 15 maggio 2006, n. 11107; Cass. sez. lav., 12 marzo 1996, n. 2008.
Nel caso di specie i giudici di merito hanno accertato il ricorrere di tutte le condizioni sopra elencate, in particolare, l'utilizzo promiscuo della prestazione lavorativa, sulla base dell'amministrazione e della detenzione delle quote delle società da parte dei membri di una famiglia, la comunanza di sede e di unità operativa.
Il ricorrere di tutti i requisiti richiesti dalla giurisprudenza sembra, pertanto, integrare la prova della simulazione o della preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un'unica attività fra i vari soggetti del collegamento economico – funzionale. La conclusione è, peraltro coerente con gli approdi della S.C. in tema di interposizione illecita di manodopera (Cass., S.U., 26 ottobre 2006, n. 22910).
Nella prassi la domanda diretta all'accertamento dell'esistenza di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro, nell'ambito di un gruppo societario, è funzionale per ottenere, attraverso l'impugnativa del licenziamento, la tutela reale con il connesso obbligo di repéchage nei confronti di tutte le società facenti parte del gruppo.
Analogamente, sotto la diversa prospettiva dell'utilizzo datoriale del gruppo d'imprese, la S.C. ha recentemente ritenuto illegittimo un licenziamento intimato in violazione dell'obbligo di repéchage, avendo la datrice di lavoro dedotto di aver adempiuto il suddetto obbligo mediante offerta di ricollocazione del lavoratore presso società estranee alla titolarità del rapporto di lavoro, in quanto legate da un mero vincolo funzionale, benché appartenenti al medesimo gruppo (Cass. sez. lav., 31 maggio 2017, n. 13809). Osservazioni
La sentenza in esame offre l'occasione per una breve riflessione su alcuni profili a latere dell'accertamento dell'esistenza di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro. Essi investono, per un verso, l'individuazione del destinatario del provvedimento di reintegra e i destinatari della domanda risarcitoria; per altro verso, la questione degli effetti della pronuncia di accertamento del centro unico di imputazione del rapporto di lavoro con riguardo ad ulteriori pretese del lavoratore, diverse da quella diretta ad accertare l'illegittimità del licenziamento.
Un primo ordine di questioni riguarda, dunque, i soggetti destinatari dell'ordine di reintegra.
Nella sentenza in commento non risulta esplicitato, ma è da ritenere che i giudici di merito, attenendosi al principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, abbiano ordinato la reintegra nei confronti della società che formalmente aveva instaurato il rapporto di lavoro con il ricorrente.
Fermo il vincolo di cui all'art. 112 c.p.c., può costituire argomento di riflessione la questione se sia possibile ordinare la reintegra nei confronti di tutte le società chiamate in giudizio, una volta che sia stata accertato che esse costituiscano un unico soggetto giuridico, oppure se l'ordine sia validamente esercitabile solo nei confronti della società che risulti formalmente datore di lavoro.
Non sembrano sussistere ostacoli alla possibilità di un ordine di reintegra multiplo, visto che la sentenza accerta l'esistenza di un unico soggetto giuridico, composto da più società, che ha usufruito della prestazione lavorativa di un lavoratore.
Posta come percorribile tale ipotesi, sorge, tuttavia, il dubbio se, in fase di esecuzione, il titolo possa essere azionato contemporaneamente nei confronti di tutte le società appartenenti al centro unico di imputazione del rapporto di lavoro.
È da ritenere che, ove il titolo venga azionato con successo nei confronti di una delle società, questo non possa più essere utilizzato nei confronti delle altre, in nome del principio generale di certezza dei rapporti giuridici.
Sempre sotto il profilo dei soggetti destinatari del provvedimento giudiziale, dalla sentenza in commento risulta che tutte le società convenute sono state condannate in solido al pagamento delle somme a titolo risarcitorio, dovute a seguito dell'accertamento dell'illegittimità del licenziamento.
Tale aspetto del dispositivo giudiziale fa sorgere un secondo ordine di questioni, relativo all'ambito degli effetti della pronuncia di accertamento dell'esistenza di un centro unico di imputazione del rapporto di lavoro.
In particolare, tale accertamento, come sopra accennato, spesso è funzionale alla pronuncia di illegittimità del licenziamento, ai fini dell'ottenimento della tutela reintegratoria. Oggetto di riflessione è la questione se quanto accertato possa valere anche per il soddisfacimento di altre pretese rivendicate dal lavoratore, quali ad esempio l'assolvimento del connesso obbligo di versamento dei contributi previdenziali. Ulteriore quesito è se le diverse e ulteriori pretese possono e devono essere fatte valere nel medesimo giudizio o anche in uno diverso e successivo.
La S.C. ha affermato che: “A norma dell'art. 2909 c.c., il giudicato fa stato tra le parti, i loro eredi ed aventi causa, nei limiti oggettivi costituiti dai suoi elementi costitutivi, ovvero il titolo della stessa azione (causa petendi), e il bene della vita che ne forma oggetto (petitum mediato), a prescindere dal tipo di sentenza adottato; entro tali limiti, il giudicato copre il dedotto e il deducibile, cioè non soltanto le questioni di fatto e di diritto fatte valere in via di azione o di eccezione e, comunque, esplicitamente investite dalla decisione, ma anche le questioni che, non dedotte in giudizio, tuttavia, costituiscano presupposto logico e indefettibile della decisione stessa, restando salva ed impregiudicata soltanto l'eventuale sopravvenienza di fatti e situazioni nuove; costituendo regola del caso concreto, il giudicato partecipa della natura dei comandi giuridici e pertanto la sua interpretazione non si esaurisce in un giudizio in fatto, e pertanto l'interpretazione datane dal giudice di merito può essere denunciata in cassazione sotto il profilo della violazione di norme di diritto.” (Cass. sez. lav., 21 giugno 2004, n. 11493).
È da chiedersi se la sentenza passata in giudicato che dichiari l'illegittimità del licenziamento e, previo accertamento dell'esistenza di un unico centro di imputazione del rapporto giuridico, applichi la tutela reale, possa fare stato e costituire idoneo presupposto per ulteriori rivendicazioni del lavoratore anche non strettamente connesse al licenziamento.
In applicazione del principio espresso dalla S.C. e sopra riportato, potrebbe ipotizzarsi che, con il passaggio in giudicato della predetta sentenza, il lavoratore possa utilmente azionare il titolo per tutte le rivendicazioni connesse alla pronuncia di illegittimità del licenziamento, quali, ad esempio l'adempimento degli obblighi contributivi collegati alla pronuncia di reintegra. La pronuncia di accertamento dell'esistenza di un centro unico di imputazione del rapporto lavorativo costituisce, infatti, la premessa logica ed indefettibile della decisione nella parte relativa alle conseguenze dell'illegittima risoluzione del rapporto.
Più dubbio, forse, è se possa essere utilizzato per azionare pretese che non siano collegate alla domanda di licenziamento, ma in modo più ampio alle modalità di svolgimento del rapporto di lavoro subordinato.
In generale, la tematica del centro unico di imputazione del rapporto costituisce la soluzione giurisprudenziale per l'individuazione di tecniche dirette a ritenere responsabili i soggetti che, benché privi della formale titolarità del rapporto di lavoro, contribuiscono a determinarne direttamente o indirettamente il contenuto e si avvantaggiano delle relative utilità. Tale tematica è contigua, per ora parallela, al lavoro dottrinale in materia di codatorialità.
Nel nostro ordinamento l'unico riferimento alla codatorialità è contenuto nell'art. 30, comma 4 ter, del D.Lgs. n. 276 del 2003, secondo cui: “ Qualora il distacco di personale avvenga tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di impresa che abbia validità ai sensi del D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 aprile 2009, n. 33, l'interesse della parte distaccante sorge automaticamente in forza dell'operare della rete, fatte salve le norme in materia di mobilità dei lavoratori previste dall'art. 2103 c.c. Inoltre, per le stesse imprese, è ammessa la codatorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso.”.
Non risulta di fatto che vi sia stata una grande applicazione della norma sopra riportata, almeno in sede giurisprudenziale. Ciò che risulta evidente è la necessità di una maggiore armonizzazione tra i contributi forniti dalla dottrina e dalla giurisprudenza sulla problematica dell'imputazione del rapporto lavorativo al reale o alla pluralità dei reali datori di lavoro.
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