Il licenziamento per giusta causa e la proporzionalità della sanzioneFonte: Trib. Matera , 2 marzo 2017
16 Marzo 2017
Massima
Risulta decisivo, nella valutazione della proporzionalità fra addebito e sanzione, l'influenza che, sul rapporto di lavoro, sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che, per le sue concrete modalità e per il contesto di riferimento, appaia suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento e denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza (nel caso di specie si è riitenuto legittimo il licenziamento per giusta causa intimato ad una guardia giurata a causa del furto di n. 300 pannelli fotovoltaici avvenuti nell'orario di servizio, per negligenza sul posto di lavoro e responsabilità dei fatti addebitati dal datore di lavoro). Il caso
Il ricorrente era dipendente della società convenuta con mansioni di “guardia giurata” ed era stato assegnato alla vigilanza di un impianto di pannelli fotovoltaici nel turno notturno dalle ore 23:00 alle ore 7:00; durante il turno notturno, come poi riportato nella successiva contestazione disciplinare, sono stati smontati e trafugati n. 300 pannelli fotovoltaici e danneggiati n. 150 rimanenti, senza che lo stesso abbia riferito alcunché in merito all'azienda e senza nemmeno accorgersi del fatto.
L'azienda ha dunque puntualmente contestato il fatto al lavoratore ed in seguito ha irrogato il licenziamento per giusta causa.
Il lavoratore ha impugnato il licenziamento e promossa la controversia contro il datore di lavoro sostenendo l'illegittimità del licenziamento essenzialmente per tre motivi:
Contestualmente al ricorso per il licenziamento, il ricorrente ha anche agito con procedimento monitorio per il recupero forzoso delle somme maturate a titolo di TFR ed altre spettanze di fine rapporto.
L'azienda si è in primo luogo costituita nel giudizio avente ad oggetto il licenziamento, chiedendo in via riconvenzionale il danno all'immagine nonché il danno patrimoniale diretto e riflesso connesso al furto avvenuto nei propri impianti; in secondo luogo, l'azienda ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo nel frattempo concesso al lavoratore, eccependo la compensazione tra quanto dovuto a titolo di spettanze di fine rapporto e quando dovuto dal lavoratore a titolo di danno non patrimoniale e patrimoniale indicando nel giudizio in via riconvenzionale.
I due giudizi sono stati riuniti. Le questioni
Le questioni sottoposte al vaglio del Giudice del lavoro sono state essenzialmente due:
Il giudice del lavoro ha poi concluso ritenendo fondato il licenziamento e la richiesta di risarcimento del danno, compensando quanto dovuto a titolo di TFR con il danno liquidato e condannando il lavoratore al pagamento del residuo danno accertato oltre alle spese processuali. Le soluzioni giuridiche
Il primo punto, come visto, ha riguardato la mancata affissione del codice disciplinare oramai ritenuto – da giurisprudenza consolidata – un elemento non rilevate al fine della validità del licenziamento, atteso che l'aspetto dirimente è l'illegittimità della condotta del lavoratore, sia essa dipesa da negligenza o da dolo.
Se il comportamento, infatti, è contrario al c.d. minimo etico (se non anche a norme penali) non è necessaria l'affissione del codice disciplinare in quanto il lavoratore può tranquillamente rendersi conto che – anche al di là di un'analitica indicazione dei casi sanzionabili – della illiceità della propria condotta.
In estrema sintesi, la violazione grave dell'obbligo di diligenza consente di “superare” il difetto di affissione del codice disciplinare.
Il secondo punto trattato dal ricorrente ha riguardato il principio di specificità della contestazione disciplinare.
E' notorio che, al fine di consentire a pieno l'esercizio del diritto di difesa, la contestazione disciplinare deve essere estremamente puntuale e circostanziata, nei tempi e nella descrizione dei fatti, se non anche nella presenza di testimoni e comunque sullo svilupparsi dell'intera vicenda che poi viene addebitata al lavoratore, tanto più se il provvedimento adottato è poi quello del licenziamento. In caso contrario, l'intero procedimento disciplinare è affetto da nullità insanabile, ed il conseguente provvedimento decade e con esso ogni effetto, dunque anche quello della cessazione del rapporto di lavoro e della richiesta di risarcimento danni.
Tuttavia, nel caso di specie la contestazione era estremamente precisa. Dunque non è possibile l'accoglimento di questa doglianza mossa dal ricorrente.
La terza questione ha riguardato la sussistenza o meno dei fatti e la proporzionalità della sanzione rispetto all'accaduto, ai precedenti disciplinari e comunque al danno eventualmente arrecato all'azienda.
Nell'ipotesi di licenziamento per giusta causa (e/o comunque per giustificato motivo soggettivo) l'accertamento dell'idoneità del comportamento addebitato a ledere il rapporto fiduciario ed a legittimare il conseguente provvedimento espulsivo deve essere effettuata con particolare rigore ed avendo anche riguardo al complessivo pregresso curriculum disciplinare del dipendente.
Anche a prescindere dalla loro infondatezza nel merito, infatti, al fine di escludere l'idoneità degli addebiti contestati ad integrare una lesione del rapporto fiduciario di tale gravità da legittimare il provvedimento espulsivo irrogato, rilevano, al contempo, sia l'intrinseca tenuità delle irregolarità contestate, sia la totale assenza di precedenti disciplinari (in tal senso, Cass. sez. lav., 30 marzo 2010, n. 7645).
L'onere della prova della sussistenza della giusta causa di recesso – sia nella sua materialità, sia con riferimento all'elemento psicologico - grava, comunque, sul datore di lavoro. (si veda Cass. sez. lav., 23 febbraio 2009, n. 4368).
Ciò posto e considerato, è opportuno un chiarimento sul concetto di manifesta insussistenza che è stato elaborato dopo la c.d. Riforma Fornero.
La Legge n. 92/2012 ha profondamente modificato la disciplina sostanziale dei licenziamenti fissata all'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, il quarto comma prevede una tutela reale “depotenziata”, che si applica solo nei casi di “insussistenza del fatto contestato” oppure – quando questo accertamento ha avuto esito positivo – se la contrattazione collettiva o il codice disciplinare applicati sanzionino la condotta in via conservativa anziché espulsiva.
Sennonché, dopo l'entrata in vigore della norma, dottrina e giurisprudenza si sono confrontate sul concetto di “manifesta insussistenza del fatto” ovvero se tale dovesse ritenersi il fatto “materiale” ovvero il “fatto giuridico”. Il motivo di tale divisione è legata soprattutto alla valutazione del fatto materiale che, qualora effettivamente verificatosi, comporterebbe l'attribuzione al lavoratore della responsabilità dello stesso a prescindere dalla rilevanza disciplinare/giuridica: un giudizio sulle intenzioni che non tiene conto del peso nel rapporto di lavoro di tali fatti, o dell'atteggiamento soggettivo del lavoratore.
E' poi intervenuta l'ordinanza del Tribunale di Bologna 15 ottobre 2012 che ha affermato: “Il fatto contestato, la cui insussistenza comporta l'applicazione dell'art. 18, comma 4, L. n. 300/1970, va inteso con riferimento non solo alla sua componente oggettiva (fatto materiale) ma anche a quella soggettiva (fatto giuridico) comprensiva della valutazione in ordine al dolo o alla colpa del lavoratore ed alla proporzionalità della sanzione rispetto all'infrazione”.
Tale posizione ha trovato l'appoggio della dottrina maggioritaria (cfr. PERULLI, “Fatto e valutazione giuridica nella nuova disciplina dell'art. 18 St. lav. Ratio ed aporie dei concetti normativi”, in ADL, 2012, IV-V, pagg. 793-794) secondo la quale il fatto “nella sua essenza fenomenologica” non è giuridicamente apprezzabile se non attraverso la sua valutazione alla luce dei parametri normativi, ossia nella sua riconduzione al concetto normativo espresso dalla formulazione di cui all'art. 3, L. n. 604/1966, che – non a caso – indica le ragioni su cui il licenziamento trova fondamento. “Altrimenti” prosegue il Perulli “il fatto (la sua esistenza) è per definizione irrilevante per il diritto, e non può assurgere a criterio di selezione dell'effetto”: dunque il fatto non ha alcuna rilevanza se non in rapporto alle norme, alla violazione del codice disciplinare, alla compromissione del vincolo fiduciario, quindi come postulato della giusta causa ex art. 2119 c.c.
A questo punto, è intervenuta la Cass. sez. lav., 13 ottobre 2015, n. 20540 nella cui massima si legge che “la completa irrilevanza giuridica del fatto equivale alla sua insussistenza materiale e dà perciò luogo alla reintegrazione ai sensi dell'art. 18, co. 4, Stat. Lav.”.
La Suprema Corte ha propeso per la completa irrilevanza giuridica dei fatti contestati in quanto “non è plausibile che il Legislatore, parlando di “insussistenza del fatto contestato”, abbia voluto negarla nel caso di fatto sussistente ma privo di carattere di illiceità, ossia non suscettibile di alcuna sanzione […] la completa irrilevanza giuridica del fatto equivale alla sua insussistenza materiale e dà perciò luogo alla reintegrazione ai sensi dell'art. 18, comma 4 cit.”.
Nel caso di specie la sussistenza dei fatti contestati è oggettiva: il furto di n. 300 pannelli fotovoltaici e il danneggiamento altri 150 è emerso come documentale nel corso dell'istruttoria. Parimenti documentale che i fatti siano avvenuti durante il turno del ricorrente, quindi inequivocabilmente responsabile dell'accaduto essendo stato assunto come “guardia giurata” ovvero proprio per evitare trafugamenti, danneggiamenti, e introduzione di soggetti esterni nell'impianto fotovoltaico. Osservazioni
Con gli ultimi due punti della sentenza, il Giudice del Lavoro ha trattato la domanda riconvenzionale avanzata da parte dell'azienda e riguardante, in primo luogo, il danno all'immagine o comunque alla reputazione della stessa nei confronti di soggetti terzi e, in secondo luogo, il danno patrimoniale legato al furto di 300 pannelli fotovoltaici ed al danneggiamento di altri 150.
Il danno all'immagine è stato considerato non provato né comprovabile, e la domanda è stata rigettata.
Il danno patrimoniale, al contrario, è perfino documentale in quanto, successivamente al furto, l'azienda convenuta ha ricevuto la comunicazione di recesso da parte della società committente il servizio di guardiania, e titolare dell'impianto fotovoltaico; pertanto il Giudice ha quantificato il danno in euro 49.415,96 ovvero la somma che il datore di lavoro avrebbe percepito come corrispettivo del servizio in caso di prosecuzione dello stesso fino al termine dei lavori di installazione di tutti i pannelli fotovoltaici (circa due mesi dopo il licenziamento).
Conseguentemente, nel decidere sia la controversia relativa al licenziamento che l'opposizione all'esecuzione sul decreto ingiuntivo riguardante il TFR, il Giudice del Lavoro ha dichiarato la legittimità del licenziamento ed ha accertato e liquidato il danno patrimoniale subito da parte dell'azienda in Euro 49.415,96, condannando poi il lavoratore al pagamento della differenza tra quanto dovuto a titolo di trattamento di fine rapporto e quanto accertato come danno. Oltre ovviamente le spese processuali.
La definizione del giudizio ha quindi consentito all'azienda – che ha interamente assolto sia all'onere della prova circa la sussistenza dei fatti che della giusta causa di recesso, sia all'onere della prova riguardante il danno patrimoniale – di non corrispondere al lavoratore, nell'immediata cessazione del rapporto, il TFR e di attendere il giudizio sul licenziamento riuscendo ad ottenere ben oltre la semplice compensazione tra i due crediti. |