Termine di prescrizione dell’azione di regresso: decorrenza in caso di mancato inizio dell’azione penale

16 Aprile 2015

In tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, l'azione di regresso dell'INAIL nei confronti del datore di lavoro può essere esercitata nel termine triennale di prescrizione, che, ove non sia stato iniziato alcun procedimento penale, decorre dal momento di liquidazione dell'indennizzo al danneggiato, ovvero, in caso di rendita, dalla data di costituzione della stessa.
Massima

In tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, l'azione di regresso dell'INAIL nei confronti del datore di lavoro può essere esercitata nel termine triennale di prescrizione, che, ove non sia stato iniziato alcun procedimento penale, decorre dal momento di liquidazione dell'indennizzo al danneggiato, ovvero, in caso di rendita, dalla data di costituzione della stessa.

Il caso

L'INAIL, dopo avere costituito il 14 marzo 2000 rendita per grave infortunio sul lavoro a due dipendenti dell'Enel, ed averne richiesto inutilmente il rimborso al datore di lavoro, ha proposto azione di regresso davanti al Tribunale di Nuoro con ricorso depositato il 15 novembre 2005 (circa 4 anni e mezzo dopo la costituzione della rendita), sostenendo che qualora, come nel caso di specie, non sia iniziato procedimento penale, la prescrizione dell'azione di regresso decorre dalla data di prescrizione del reato.

La domanda è stata respinta per prescrizione in primo e secondo grado, con la motivazione che nel caso di mancato inizio dell'azione penale, la prescrizione dell'azione di regresso decorre dalla data della liquidazione dell'indennizzo.

Proposto ricorso per Cassazione, la causa è stata rimessa alle Sezioni Unite, stante il contrasto di giurisprudenza sul punto, non regolato dalla legge.

La questione

La questione sottoposta alla Suprema Corte riguarda il termine di prescrizione dell'azione di regresso, da quando decorre l'azione in caso di mancato inizio dell'azione penale?

Le soluzioni giuridiche

L'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro è sorta nel nostro Paese, sul finire del secolo XIX, come negli altri Paesi europei a modello bismarkiano, sulla base di una transazione sociale: i datori di lavoro sostengono integralmente, tramite i contributi, il costo delle prestazioni indennitarie erogate dall'INAIL, nonché delle spese di esercizio dell'Istituto, ed in cambio sono esonerati dalla responsabilità civile che altrimenti graverebbe su di loro in base alle norme codicistiche.

Questa regola dell'esonero ha sofferto sin dall'origine tre eccezioni legislativamente previste: a) quando vi sia stata condanna penale a carico del datore di lavoro (art. 10, comma 1, t.u. 1124/1965); b) quando la sentenza penale stabilisca che l'infortunio sia avvenuto per fatto imputabile a coloro che il datore di lavoro ha incaricato della direzione o sorveglianza del lavoro, se del fatto di essi debba rispondere secondo il codice civile (art. 10, comma 2); c) qualora sia pronunciata sentenza di non doversi procedere per morte dell'imputato o per amnistia, il giudice civile decide se, per il fatto che avrebbe costituito reato, sussista la responsabilità civile.

In questi tre soli casi, nell'impostazione originaria, l'INAIL ha azione di regresso per il recupero delle somme corrisposte all'assicurato; in tutti gli altri casi di responsabilità civile del responsabile dell'infortunio il costo delle prestazioni rimane a carico dell' Istituto assicuratore.

Tutte e tre le ipotesi presuppongono dunque lo svolgimento di un procedimento penale, in base al principio della pregiudizialità penale che informava l'ordinamento del tempo.

Correlativamente il termine triennale per l'esercizio dell'azione di regresso decorre, nelle prime due ipotesi, dal giorno nel quale la sentenza penale è divenuta irrevocabile (art. 112, comma 5, ultima parte, t.u. 1124), e va qualificato di prescrizione (Cass. S.U. 16 aprile 1997 n. 3288, in Giust. Civ., 1997, I, 1179); nella terza ipotesi dalla emissione della sentenza penale di non doversi procedere, e va qualificato di decadenza (Cass. S.U. 3288/1997 cit.). La diversità di strumento estintivo deriverebbe dalla urgenza dell'accertamento dei fatti costitutivi, che nelle ipotesi cui è ricollegata la prescrizione è già avvenuto con la sentenza penale dibattimentale che abbia accertato la responsabilità del datore di lavoro o dei suoi sottoposti.

Rimaneva senza disciplina legislativa la decorrenza del termine per l'azione di regresso nel caso che nessun procedimento penale fosse iniziato, perché ipotesi a quel tempo inammissibile.

Successivamente la regola dell'esonero ha subito molte variazioni, prevalentemente restrittive, e correlativamente la responsabilità civile del datore di lavoro si è di molto espansa, per effetto di interventi della Corte costituzionale e per il venire meno della pregiudizialità penale (per tale complesso processo evolutivo ci sia consentito rinviare a DE MATTEIS, Infortuni sul lavoro e malattie professionali, Milano 2011, 1099 segg.).

Attualmente il presupposto dell'azione di regresso è costituito non più dalla presenza di una sentenza di condanna, ma soltanto dalla astratta previsione legale quale reato del fatto causativo dell'infortunio (Cass. 3 ottobre 2007 n. 20736; Cass. S.U. 5160/2015 in commento), accertabile come tale dal giudice civile indipendentemente da qualsiasi procedimento penale.

Si pongono perciò due problemi nel caso di mancanza di procedimento penale: a) la qualificazione del termine estintivo triennale dell'azione di regresso, se di prescrizione o di decadenza; b) la individuazione del dies a quo della decorrenza.

La risposta delle Sezioni Unite è stata: il termine va qualificato di prescrizione e decorre dal momento della liquidazione dell' indennizzo in capitale ovvero, nel caso di costituzione della rendita, dal provvedimento amministrativo di costituzione.

Osservazioni

La sentenza in commento ha preliminarmente qualificato la natura del termine in questione, che non aveva costituito in precedenza oggetto né di contrasto, né di pronunce, né di discussione tra le parti; ha poi risolto la questione proposta della decorrenza del termine.

Sul primo punto ha ricordato e fatta propria la precedente giurisprudenza di legittimità secondo cui, in caso di dubbio, e tanto più in caso di mancata espressa previsione legislativa, si deve propendere per la qualificazione di un termine come di prescrizione, perché la decadenza, in quanto suscettibile di rendere più difficile l'esercizio del diritto, può contrastare con gli artt. 3 e 24 cost.

Sul secondo punto ha privilegiato la soluzione già individuata da Cass. 3 marzo 2011 n. 5134 e Cass. 11 marzo 2011 n. 5879, nonché gli spunti offerti da Cass. 29 novembre 2012 n. 21269.

Ha basato il proprio dictum sui seguenti rilievi: l'azione di regresso costituisce un diritto jure proprio dell'Istituto assicuratore (giur. consolidata); ormai totalmente avulso dalle vicende penalistiche, esercitabile anche prima e indipendentemente dell'esaurimento dell'azione penale; la prescrizione del relativo diritto deve perciò essere ancorata ad un evento certo, obiettivo e costitutivo del diritto, che prescinda da inesistenti tappe penalistiche; tali requisiti sono propri del pagamento dell'indennizzo al lavoratore infortunato, o del provvedimento di costituzione della rendita, necessario per la sua capitalizzazione.

Ha correlativamente bocciato i precedenti orientamenti discostanti: quello (Cass. 968/2004) che vorrebbe ancorare la decorrenza alle vicende estintive del reato; quello che la faceva decorrere dalla richiesta di pagamento (Cass. 10950/2000), perché la decorrenza della prescrizione non può essere rimessa all'iniziativa del creditore, onerato della prescrizione.

La sentenza, che si segnala per la sua chiarezza, esaustività e ragionevolezza, procede nel solco chiarificatore e semplificatore di Cass. S. U. 16 novembre 1999 n. 783 (dello stesso giurista, allora estensore, ora Presidente) che, superando le qualificazioni ibride precedenti, affermò la natura prescrizionale in senso tecnico dell'istituto estintivo previsto dall'art. 112, comma 5, t.u. 1124.

Essa sposta ancor più l'asse dalla decadenza alla prescrizione, sì da ingenerare qualche dubbio sulla validità attuale della dicotomia posta da Cass. S.U. 3288/1997.

Infine essa, nell'ancorare detta decorrenza ad eventi certi, obiettivi e costituivi del diritto, offre interessanti spunti sistematici utili per risolvere analoghe questioni controverse in punto di decorrenza della prescrizione, ad es. del diritto alle prestazioni, quando sia connesso alla manifestazione della malattia professionale.

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