Tutela dei lavoratori nel “cambio di appalti”
16 Giugno 2015
Il quadro normativo e la contrattazione collettiva
Il tema del cambio nella gestione degli appalti si inquadra nell'ambito della disciplina in materia di appalti delineata dagli artt. 1655 ss. c.c. e dall'art. 29, D.Lgs. n. 276/2003. Tuttavia, il legislatore si è da sempre preoccupato maggiormente di regolare altri aspetti riguardanti l'istituto dell'appalto, in particolare la solidarietà retributiva e previdenziale. Infatti non vi sono specifiche disposizioni normative che disciplinino la materia della successione negli appalti tra imprese e il conseguente passaggio dei lavoratori da un appalto ad un altro. L'unica norma che affronta tale tema, seppur latamente, è l'art. 29, co. 3, D.Lgs. n. 276/2003, che si limita a prevedere che “l'acquisizione del personale già impiegato nell'appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d'appalto, non costituisce trasferimento d'azienda o di parte d'azienda”. In assenza di una specifica e organica normativa sul punto, tale materia trova la propria regolamentazione nella contrattazione collettiva. Il fatto di lasciare ai contratti collettivi la regolamentazione della disciplina del cambio di appalto rende più complessa la garanzia delle tutele dei lavoratori, avendo il contratto collettivo un'efficacia limitata sul piano soggettivo ed essendo quindi opponibile all'impresa (in particolare a quella che subentra nell'appalto) solo qualora questa lo applichi nella propria unità produttiva. Nella successione di appalti, occorre verificare se il rapporto di lavoro intercorrente tra il lavoratore e l'impresa appaltatrice originaria, debba cessare mediante risoluzione consensuale ovvero con un licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Sul punto, va differenziata l'ipotesi che il lavoratore venga assunto dall'impresa subentrante nell'appalto o, viceversa, non venga riassunto. Infatti, laddove l'impresa subentrante non riassuma i lavoratori addetti all'appalto, dottrina e giurisprudenza concordano sulla necessarietà di un formale atto di licenziamento. Licenziamento che dovrà essere intimato per giustificato motivo oggettivo, nel rispetto della relativa normativa (L. n. 604/1966). Qualora poi sussistano i requisiti di cui all'art. 24, L. n. 223/1991 (più di 5 dipendenti da licenziare nell'arco di 120 giorni e in un'impresa con più di 15 dipendenti), si procederà a un licenziamento collettivo con l'applicazione della relativa disciplina (sul punto, Capurro, Appalto e subappalto, in Riv. crit. dir. lav., 2008, 418). Ciò, naturalmente, a meno che il lavoratore non rimanga legato al datore di lavoro che ha perso l'appalto e venga dallo stesso ricollocato presso altra sede senza alcuna cessazione del relativo rapporto di lavoro. Viceversa, qualora i lavoratori del vecchio appaltatore rimangano addetti all'appalto e vengano quindi riassunti dal nuovo appaltatore, dottrina e giurisprudenza esprimono pareri contrastanti. Buona parte della dottrina, infatti, propende per l'ipotesi della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro tra il prestatore di lavoro e l'appaltatore cessante (Vallebona, Successione nell'appalto e tutela dei posti di lavoro, in Riv. it. dir. lav., 1999, II, 218). La giurisprudenza maggioritaria ritiene invece che per il passaggio dei dipendenti nel cambio di appalto sia necessario un formale atto di licenziamento, per poi procedere all'assunzione da parte dell'appaltatore subentrante (Cass. 28 luglio 2005, n. 15900). Il licenziamento in questione dovrà essere un licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Ci si è però interrogati sull'ipotesi in cui il cambio di appalto veda coinvolti più di 5 dipendenti e qualora si ravvisino i requisiti indicati dall'art. 24, L. n. 223/1991. A tal proposito, è intervenuto il legislatore che, all'art. 7, co. 4-bis, D.L. n. 248/2007 convertito in L. n. 31/2008 ha stabilito che “nelle more della completa attuazione della normativa in materia di tutela dei lavoratori impiegati in imprese che svolgono attività di servizi in appalto e al fine di favorire la piena occupazione e di garantire l'invarianza del trattamento economico complessivo dei lavoratori, l'acquisizione del personale già impiegato nel medesimo appalto, a seguito del subentro di un nuovo appaltatore, non comporta l'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni, in materia di licenziamenti collettivi, nei confronti dei lavoratori riassunti dall'azienda subentrante a parità di condizioni economiche e normative previste dai contratti collettivi nazionali di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative o a seguito di accordi collettivi stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative”. La non applicabilità della disciplina sui licenziamenti collettivi è stata quindi espressamente prevista dalla legge ed è stata ribadita anche dal Ministero del Lavoro. Nella Risposta a Interpello n. 22/2012 si è infatti precisato che i licenziamenti irrogati ai lavoratori oggetto del cambio di appalto devono essere considerati come licenziamenti individuali plurimi per giustificato motivo oggettivo, da ricondurre alla disciplina prevista dalla L. n. 604/1966. Come visto, la successione di appalti è regolata essenzialmente dalla contrattazione collettiva. Le clausole sociali sul cambio di appalto sono presenti soprattutto nei contratti collettivi relativi a settori c.d. labour intensive come la ristorazione collettiva, i multiservizi, l'igiene ambientale, la vigilanza, ecc.. Si tratta infatti di settori in cui i mezzi utilizzati per lo svolgimento dell'appalto si concretano principalmente nella manodopera fornita dai lavoratori addetti all'appalto, che costituisce il fattore produttivo centrale, con scarsissimo ricorso a macchinari e attrezzature. La maggior parte delle clausole sociali prevede una procedura volta a garantire la tutela del posto di lavoro e delle relative condizioni nel passaggio dall'impresa appaltatrice originaria a quella subentrante. Le procedure previste dai contratti collettivi stabiliscono generalmente la risoluzione del rapporto di lavoro con il cedente ai sensi dell'art. 3, L. n. 604/1966 (licenziamento per g.m.o.) e il contestuale obbligo di assunzione ex novo per l'impresa che acquisisce la gestione dell'appalto. Ad ulteriore garanzia della tutela occupazionale, nell'ambito di tali procedure è previsto il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali. Vi sono poi le cd. clausole di salvaguardia, che per garantire la tutela del posto di lavoro richiedono che il personale oggetto del passaggio sia in servizio presso l'impresa appaltatrice cessante da un determinato numero di mesi/giorni. Tuttavia i contratti collettivi non sempre impongono all'appaltatore subentrante l'obbligo di mantenere le medesime condizioni e trattamenti economici nell'assunzione dei lavoratori oggetto del cambio di appalto. Il CCNL Multiservizi, ad esempio, richiede semplicemente che vengano mantenuti “i livelli occupazionali”. In particolare, l'art. 4 del CCNL Multiservizi regola in modo differente l'ipotesi in cui nella successione di appalti i termini, le modalità e le prestazioni contrattuali rimangano le medesime ovvero vengano modificate con il subentrare della nuova impresa appaltatrice. Nel primo caso vi sarà l'assunzione diretta dei lavoratori oggetto del passaggio senza periodo di prova. Nel secondo caso, invece, l'impresa subentrante sarà convocata presso l'Associazione territoriale cui conferisce mandato o, in assenza, presso la Direzione Provinciale del Lavoro per una sorta di esame congiunto con le organizzazioni sindacali territoriali competenti. Il CCNL Turismo impone invece espressamente che venga mantenuta la continuità e le specifiche condizioni del personale uscente. In ogni caso, è doveroso sottolineare che le clausole sociali inserite nei contratti collettivi devono essere rispettate dall'appaltatore subentrante solo qualora tale impresa applichi il contratto collettivo che le contiene ovvero un altro contratto collettivo che preveda obblighi equivalenti. Non vi sarà infatti alcun obbligo in capo a tale impresa laddove la stessa applichi nella propria unità produttiva un diverso contratto collettivo che nulla dispone in tema di successione di appalti, salvo che vincoli assunzionali non siano stati previsti per via pattizia (ad esempio nel contratto di appalto ad opera del committente o nel bando di gara dell'appalto). Per tale ragione, è stato evidenziato che quanto previsto dalla contrattazione collettiva in materia di cambio di appalti non sostituisce la disciplina stabilita dalla legge ma a questa va a sommarsi, quale ulteriore garanzia di tutela occupazionale (Ministero Lavoro, Risposta a Interpello n. 22/2012). Da ultimo è appena il caso di rilevare che le previsioni appena richiamate pongono la questione dell'applicabilità o meno alla fattispecie in esame della disciplina ex art. 2112 c.c. sul trasferimento d'azienda. In proposito, come detto, il legislatore ha espressamente escluso l'applicabilità della normativa relativa al trasferimento d'azienda precisando che “l'acquisizione del personale già impiegato nell'appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d'appalto, non costituisce trasferimento d'azienda o di parte d'azienda” (art. 29, co. 3, D.Lgs. n. 276/2003). Ciò comporta che il passaggio del dipendente da una azienda all'altra in caso di cambio appalto non è automatico e può avvenire, diversamente da quanto prevede l'art. 2112 c.c., senza riconoscere l'anzianità del lavoratore o la sua retribuzione o il suo livello di inquadramento, salvo che, come visto, il contratto collettivo preveda condizioni di miglior favore disponendo, per esempio, che il rapporto prosegua a parità di condizioni. In ogni caso, in assenza di una normativa ad hoc in tema di cambio di appalto, la distinzione fra le due fattispecie è stata oggetto di attenzione da parte della giurisprudenza. Il discrimine fra il cambio di appalto e il trasferimento d'azienda è stato individuato nel mantenimento dell'unicità organica e strutturale del complesso dei beni aziendali nell'ambito del passaggio della titolarità fra un'impresa e l'altra (Cass. 3 aprile 2006, n. 7743). La stessa Corte di Giustizia ha espressamente riconosciuto l'estraneità della successione di appalti alla fattispecie del trasferimento di azienda affermando che “la semplice perdita di un appalto di servizi a vantaggio di un concorrente non può quindi rilevare, di per sé, l'esistenza di un trasferimento ai sensi della direttiva. In una siffatta situazione, l'impresa di servizi precedentemente affidataria dell'appalto, ove perda un cliente, continua tuttavia a sopravvivere integralmente, senza che si possa ritenere che uno dei suoi stabilimenti o parti di stabilimento siano stati ceduti al nuovo appaltatore”(Corte di Giustizia 11 marzo 1997 – C13/95, Suzen/Zehnacker Gebaudereinigung GmbH Krankenhausservice). È bene tuttavia menzionare la giurisprudenza che, di fronte ad appalti per servizi “ad alta intensità di lavoro” non ha escluso l'applicabilità della disciplina sul trasferimento d'azienda. La Suprema Corte ha infatti ravvisato il trasferimento d'azienda in un'ipotesi di successione nell'appalto di servizi con passaggio di beni di non trascurabile entità (Cass. 13 gennaio 2005, n. 493) e, anche per quanto attiene alle pronunce di merito, il Tribunale di Roma ha affermato che l'art. 29, comma 3, D.Lgs. n. 276/2003 “non può interpretarsi nel senso che in ogni ipotesi di subentro di un appaltatore a un altro debba escludersi ex lege il trasferimento di azienda, piuttosto tale norma va intesa nel senso che nei cambi di gestione non vi è trasferimento d'azienda per il solo fatto che via acquisizione di personale” (Trib. Roma, ordinanza 9 giugno 2005).
In conclusione
Alla luce di quanto sopra, è possibile concludere che nonostante l'ordinamento non abbia ancora apprestato idonee tutele a livello di norme di legge per i lavoratori coinvolti nella successione di appalti, la contrattazione collettiva concede comunque garanzie sufficienti ai lavoratori. Garanzie volte alla tutela del lavoro sia nella fase di cessazione del rapporto con l'appaltatore uscente, sia nell'eventuale riassunzione del personale addetto all'appalto da parte dell'impresa subentrante. La disciplina di tutela disposta dalla contrattazione collettiva risulta poi ancora più rilevante se si considera che l'art. 29, comma 3, del D.Lgs. n. 276/2003 esclude l'applicabilità dell'art. 2112 c.c. al cambio di appalto. Tuttavia, anche su questo punto, come sottolineato dal Ministero del Lavoro, in accordo con la giurisprudenza intervenuta in proposito, la disposizione dell'art. 29, D.Lgs. n. 276/2003 deve essere intesa nel senso di non escludere la continuità dei rapporti di lavoro tra impresa cedente e cessionaria in applicazione dell'art. 2112 c.c. se in sede giudiziaria venga accertato che in concreto si tratta di ipotesi riconducibili al citato dettato codicistico. Ciò evidentemente, al fine di scongiurare l'eventuale uso fraudolento della fattispecie del cambio di appalto volto in realtà a dissimulare un trasferimento d'azienda. |