Art. 18 e legge Fornero: sull’individuazione della legge regolatrice del rapporto sul piano sanzionatorio

Vincenzo De Luca
17 Dicembre 2015

In caso di licenziamento disciplinare comunicato successivamente all'entrata in vigore della L. n. 92/2012, al fine di individuare la disciplina sanzionatoria applicabile si deve far riferimento al fatto generatore del rapporto lavorativo, alla contestazione degli addebiti o alla fattispecie negoziale del licenziamento?
Massima

Il licenziamento, pur potendo esser definito come "sanzione", non può essere equiparato ad una "pena", essendo pur sempre di natura civile; talché non opera il principio di irretroattività sancito dall'art. 25, comma 2, Cost. secondo il quale nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.

Ai sensi del combinato disposto dei commi 47 e 67 dell'art. 1 della legge 28 giugno 2012 n. 92 nei giudizi aventi ad oggetto i licenziamenti disciplinari, al fine di individuare la legge regolatrice del rapporto sul versante sanzionatorio, va fatto riferimento non al fatto generatore del suddetto rapporto né alla contestazione degli addebiti, ma alla fattispecie negoziale del licenziamento, sicché l'apparato sanzionatorio disciplinato dal comma 42 dell'art. 1 della legge n. 92 del 2012 va applicato solo ai nuovi licenziamenti, ovverosia a quelli comunicati a partire dalla data di entrata in vigore della legge stessa (18 luglio 2012).

Il caso

La fattispecie in esame prende le mosse dal caso di un lavoratore, licenziato per giusta causa, con lettera datata 1 agosto 2012, per aver tenuto reiterati comportamenti anomali nello svolgimento delle operazioni finanziarie di sportello, di cui la clientela si era più volte lamentata, e nella registrazione di ammanchi di cassa.

Il Tribunale di Roma accertava la legittimità del recesso per giustificato motivo (così convertito quello intimato dal datore di lavoro al dipendente per giusta causa) e, in ragione dell'illegittimità del procedimento disciplinare per la mancata audizione assistita del lavoratore, riconosceva a quest'ultimo, oltre all'indennità sostitutiva del preavviso, un'indennità risarcitoria nella misura di otto mensilità di retribuzione globale di fatto.

Avverso la pronuncia emessa dal Tribunale il lavoratore proponeva reclamo ex art. 1, comma 58, L. n. 92/2012.

La Corte di Appello di Roma respingeva il reclamo rilevando, a fondamento della propria decisione, che era stata raggiunta la prova delle mancanze ascritte, che, sotto il profilo soggettivo, il comportamento del dipendente risultava deficitario sul piano della diligenza e delle capacità professionali in relazione alla disposizione di cui al contratto nazionale di lavoro di settore e che il licenziamento era da considerarsi tempestivo vista la complessità degli accertamenti da espletare.

In merito al profilo sanzionatorio, infine, la Corte di Appello, riteneva applicabile alla fattispecie in esame l'art. 18 L. n. 300/1970 così come modificato dalla L. n. 92/2012 dato che il licenziamento era stato comunicato successivamente alla data di entrata in vigore di quest'ultima ed il fatto generatore del diritto alla reintegrazione doveva ravvisarsi nell'adozione di un provvedimento sanzionatorio non conforme al dettato normativo.

Avverso tale pronuncia il lavoratore proponeva ricorso per Cassazione, denunciando, su questo specifico punto, la violazione o falsa applicazione dell'art. 11, comma 1, delle preleggi, in relazione all'art. 18 L. n. 300/1970 nel testo previgente alla novella introdotta dalla Legge Fornero.

La Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha rigettato il ricorso in quanto infondato.

La questione

La questione in esame, risolta dalla Suprema Corte, è la seguente: in caso di licenziamento disciplinare comunicato successivamente all'entrata in vigore della L. n. 92/2012, al fine di individuare la disciplina sanzionatoria applicabile si deve far riferimento al fatto generatore del rapporto lavorativo, alla contestazione degli addebiti o alla fattispecie negoziale del licenziamento?

La soluzione giuridica

La Corte di Cassazione preliminarmente rammenta la portata riformatrice della L. n. 92/2012. In particolare, la Suprema Corte evidenzia come la Riforma Fornero ha profondamente modificato la disciplina dei licenziamenti sia nei suoi aspetti sostanziali (art. 1, commi 37-46), introducendo una molteplicità di ipotesi differenti di condotte giuridicamente rilevanti cui connette tutele tra loro profondamente diverse, che in quelli processuali (art. 1, commi 47-68). In merito all'aspetto riguardante il regime transitorio della L. Fornero e alla nuova disciplina sostanziale per i licenziamenti introdotta da quest'ultima la Corte di Cassazione richiama due significativi arresti giurisprudenziali che sanciscono l'applicazione del principio di irretroattività della legge ai licenziamenti intimatati prima dell'entrata in vigore della L. n. 92/2012.

In particolare, con la sentenza n. 10550/2013, la Corte aveva chiarito che l'art. 1, comma 42, L. Fornero, non si applica alle fattispecie di licenziamento oggetto dei giudizi pendenti innanzi ai giudici di legittimità alla data della sua entrata in vigore in quanto quest'ultima “introduce una disciplina che ancora le sanzioni irrogabili per effetto dell'accertata illegittimità del recesso a valutazioni di fatto per un verso incompatibili con la natura del giudizio di legittimità, per altro verso non in linea - ove richieste nell'ambito di un nuovo giudizio di merito a seguito di rinvio - con il principio della durata ragionevole del processo, sancito, oltre che dall'art. 111 Cost., dall'art. 6 CEDU e dall'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea”.

Con la successiva sentenza n. 301/2014 la Corte ha ribadito che “in materia di licenziamenti individuali, sebbene la L. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, comma 67, preveda l'applicabilità delle disposizioni processuali da essa introdotte solo alle controversie instaurate dopo la sua entrata in vigore, in forza del principio generale di irretroattività della legge, di cui all'art. 11 preleggi, e in assenza, nella L. n. 92 del 2012, di una disposizione di deroga espressa a detta norma, le modifiche apportate alla disciplina di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18 con previsione di una tutela indennitaria in luogo di quella reintegratoria, non possono essere applicate neppure ai rapporti giuridici sorti anteriormente alla nuova disciplina e ancora in corso, qualora - con l'applicazione della normativa sopravvenuta - vengano a privarsi di efficacia le conseguenze attuali o future del licenziamento già ritenuto illegittimo dal giudice di merito”.

Il predetto principio di irretroattività della legge, osserva la Corte, non può trovare applicazione nella questione in esame.

Ciò in quanto al fine di individuare la disciplina sanzionatoria applicabile alla fattispecie occorre far riferimento non al fatto generatore del rapporto di lavoro ma alla fattispecie negoziale del licenziamento disciplinare.

Al riguardo, gli Ermellini precisano, inoltre, che il licenziamento, benché possa essere definito come una sanzione, non può essere equiparato ad una pena essendo di natura civile e, quindi, non può trovare applicazione il principio di irretroattività di cui all'art. 25, comma 2, Cost.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte enuncia il seguente principio di diritto: nei giudizi attinenti a licenziamenti disciplinari, al fine di individuare la disciplina regolatrice del rapporto sul piano sanzionatorio, occorre far riferimento alla fattispecie negoziale del licenziamento e, quindi, le disposizioni sanzionatorie previste dalla L. n. 92/2012 si applicano solo ai recessi comunicati a partire dal 18 luglio 2012, data di entrata in vigore di quest'ultima.

Osservazioni

Come noto, il potere di recesso del datore di lavoro è stato oggetto di numerosi interventi legislativi e pronunce giurisprudenziali.

È, infatti, “giudizio comune che nessun altro istituto come quello del licenziamento sia in grado di testimoniare lo straordinario sviluppo del diritto del lavoro italiano nel corso del secondo cinquantennio del secolo appena concluso: dall'art. 2118 c.c. alla l. 15 luglio 1966, n. 604, dalla l. 20 maggio 1970, n. 300 alle l. 11 maggio 1990, n. 108 e l. 23 luglio 1991, n. 223” (F. Carinci, Discutendo intorno all'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, in Riv. it. dir. lav., 2003, 35 e ss.).

Sull'art. 18 dello Statuto dei lavoratori - annunciato dall'allora Ministro del Lavoro e della previdenza sociale Donat-Cattin, nel corso della seduta del 14 maggio 1970 alla Camera dei deputati, come un provvedimento che, oltre a “riconoscere il sindacato in fabbrica”, “afferma tutta una serie di diritti e divieti a garanzia delle libertà dei lavoratori, tra i quali è importante, sopra tutti gli altri, il divieto della monetizzazione del licenziamento che la legge n. 604 ammetteva sempre, con la sola eccezione costituita dal licenziamento intimato con violazione dell'articolo 4 di tale legge” - sono stati scritti fiumi di inchiostro sia da parte della dottrina che della giurisprudenza.

A soli quattro anni di distanza dalla L. n. 604/1966, l'art. 18 della L. n. 300/1970, veniva definito “una soluzione legislativa caratterizzata dalla stabilità reale del posto, o meglio, dalla stabilità senza aggettivi” (G. F. Mancini, Il nuovo regime del licenziamento, in AA. VV., L'applicazione dello statuto dei lavoratori. Tendenze e orientamenti, Milano, 1975, pag. 191-192).

Dopo quasi quarantadue anni, la L. n. 92/2012, nota alla cronaca come L. Fornero, ha, tra gli altri, riscritto l'art. 18 L. n. 300/1970 - mutando anche la sua rubrica da “Reintegrazione nel posto di lavoro” a “Tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo” - e introdotto una corsia preferenziale, scandita da tempi serrati e da una serie di limitazioni volte a tracciare i confini sull'oggetto di discussione, per l'impugnazione giudiziale del licenziamento.

In particolare, gli interventi del Governo Monti, come sancito all'art. 1 della L. n. 92/2012, sono diretti “a realizzare un mercato del lavoro inclusivo e dinamico, in grado di contribuire alla crescita di occupazione (…) e alla riduzione permanente del tasso di disoccupazione (…) adeguando contestualmente alle esigenze del mutato contesto di riferimento la disciplina del licenziamento”.

Con la sentenza in commento, a pochi anni dalla emanazione della L. 92/2012, gli Ermellini tracciano il perimetro dei licenziamenti a cui deve essere applicato il sistema sanzionatorio previsto dalla stessa. Tale pronuncia si innesta, peraltro, in un filone interpretativo che ha interessato più ambiti del predetto regime sanzionatorio.

Con particolare riferimento al licenziamento disciplinare la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23669/2014, ha sottolineato che la L. n. 92/2012 non ha cancellato la reintegrazione: essa “si applica solo nell'ipotesi di insussistenza del fatto (inteso come fatto materiale, dal quale esula ogni valutazione relativa alla proporzionalità) posto a fondamento del recesso datoriale, o nell'ipotesi in cui il medesimo fatto rientri tra le condotte punibili con una sanzione conservativa, in base alle disposizioni del CCNL o del codice disciplinare applicabile. Tra le “altre ipotesi” di insussistenza della giusta causa e del giustificato motivo soggettivo di cui all'art. 18, comma 5, L. n. 300/1970 ai fini dell'applicazione della tutela indennitaria ex art. 18, comma 5, L. n. 300/1970 rientra anche la violazione del requisito della tempestività, quale elemento costitutivo del diritto di recesso, mentre esulano dall'ambito applicativo di tale disposizione le violazioni procedurali previste dall'art. 7, L. n. 300/1970” (Cass. 6 novembre 2014 n. 23669, in Lav. nella giur. 2015, con commento di M. Lavinia Buconi, 152).

Dopo circa tre anni dalla sua emanazione, il regime sanzionatorio contenuto nella L. n. 92/2012, per gli assunti dal 7 marzo 2015, viene sostituito con quello previsto dal D. Lgs. n. 23/2015. Riteniamo pertanto che, come la storia ci insegna, l'opera interpretativa della Corte di Cassazione rivestirà anche nel futuro, un ruolo essenziale.

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