Quando la decorrenza del termine di prescrizione dell’azione di regresso rimane ancorata al passaggio in giudicato della sentenza penale

16 Dicembre 2015

In presenza di un procedimento penale, iniziato nel triennio decorrente dalla liquidazione dell'indennizzo al danneggiato ovvero, in caso di rendita, dalla data di costituzione della stessa, il dies a quo del termine di prescrizione dell'azione di regresso rimane ancorata al passaggio in giudicato della sentenza penale.
Massima

In presenza di un procedimento penale, iniziato nel triennio decorrente dalla liquidazione dell'indennizzo al danneggiato ovvero, in caso di rendita, dalla data di costituzione della stessa, il dies a quo del termine di prescrizione dell'azione di regresso rimane ancorata al passaggio in giudicato della sentenza penale.

Il caso

Il 31 agosto 1988 un lavoratore subiva un infortunio sul lavoro, indennizzato dall'INAIL, che costituiva una rendita con comunicazione avvenuta il giorno 20 settembre 1989.

Con sentenza penale, divenuta irrevocabile il 10 ottobre 2001, veniva accertata la responsabilità penale del datore di lavoro; cosicché l'Istituto, con ricorso depositato in cancelleria il 19 ottobre 2001, esercitava l'azione di regresso per recuperare gli importi erogati.

Il datore di lavoro si costituiva in giudizio, eccependo l'estinzione dell'azione di rivalsa in quanto, a suo dire, tra la data di comunicazione della costituzione della rendita e la prima diffida spedita dall'Istituto in data 24 novembre 1992 era trascorso un triennio senza che fosse intervenuto alcun valido atto interruttivo.

Entrambi i giudici di merito respingevano l'eccezione preliminare, avendo accertato che il termine di prescrizione triennale, decorrente dal momento in cui la sentenza penale era divenuta irrevocabile, non risultava ancora decorso al promovimento dell'azione giudiziaria da parte dell'Istituto.

Con ricorso per cassazione il responsabile civile chiedeva l'annullamento della sentenza di merito.

La Corte di Cassazione, rilevato che il procedimento penale nei confronti del datore di lavoro era iniziato nel corso del 1991, prima che fosse decorso il termine triennale decorrente dalla costituzione della rendita, ha respinto il ricorso per cassazione.

La questione

La questione in esame è la seguente: in caso di esercizio dell'azione penale nel triennio decorrente dalla liquidazione delle prestazioni economiche da parte dell'INAIL il termine di prescrizione dell'azione di regresso di cui all'art. 112, ult. comma, D.P.R. n. 1124/65 rimane ancorato al momento in cui la sentenza penale diviene irrevocabile?

La soluzione giuridica

La Suprema Corte era chiamata a verificare se la sentenza di appello, con cui era stata affermata la tempestività dell'azione di regresso promossa dall'INAIL nel rispetto del termine triennale di cui all'art. 112, ult. comma, D.P.R. n. 1124/65, fatto decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna resa nei confronti del responsabile civile, fosse o meno conforme al seguente principio di diritto, sopravvenuto alla sentenza impugnata ed anche al ricorso per cassazione proposto: "in tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, l'azione di regresso dell'INAIL nei confronti del datore di lavoro può essere esercitata nel termine triennale di prescrizione, che, ove non sia stato iniziato alcun procedimento penale, decorre dal momento di liquidazione dell'indennizzo al danneggiato, ovvero, in caso di rendita, dalla data di costituzione della stessa" (Cass. S.U., 16 marzo 2015, n. 5160, in ilgiuslavorista.it, Giurisprudenza commentata del 16 aprile 2015, con nota di A. De Matteis, Termine di prescrizione dell'azione di regresso: decorrenza in caso di mancato inizio dell'azione penale; in Lav. giur., 2015, p. 637, con nota di G. Ludovico, Sulla decorrenza del termine triennale di prescrizione dell'azione di regresso; in Lav. giur., 2015, p. 719, con nota di E. Giorgi, Azione di regresso dell'Inail: le Sezioni unite sul dies a quo di decorrenza e sulla natura de termine; in Riv. inf. mal. prof., 2015, II, con nota di L. Crippa - A. Rossi, L'estinzione dell'azione di regresso per decorso del termine triennale di cui all'art. 112, D.P.R. n. 1124/65 in caso di mancato esercizio dell'azione penale).

La Suprema Corte, accertato che la Procura della Repubblica competente ratione loci aveva aperto un procedimento penale nei confronti del responsabile civile, esattamente nel corso del 1991, nel rispetto del triennio decorrente dalla comunicazione di costituzione della rendita, inviata il 20 settembre 1989, ha confermato la sentenza impugnata in quanto il principio di diritto contenuto nella sentenza pronunciata a Sezioni unite non trova applicazione nell'ipotesi in cui “il procedimento penale sia stato, invece, iniziato (nel detto termine triennale)”.

Infatti, a dire della Corte di Cassazione, nel caso in esame « non vi è una lacuna da colmare, trovando applicazione la citata norma di cui al T.U. n. 1124 del 1965, art. 112, u.c., che prescrive che "l'azione di regresso di cui all'art. 11 si prescrive in ogni caso nel termine di tre anni dal giorno nel quale la sentenza penale è divenuta irrevocabile" ».

Osservazioni

Con la sentenza in esame la Suprema Corte ha circoscritto la portata della sentenza n. 5160/2015, precisando che la disciplina dettata dall'ultimo comma dell'art. 112 D.P.R. n. 1124/65 trova ancora applicazione in caso di avvenuta instaurazione del procedimento penale nel triennio decorrente dal pagamento dell'indennizzo o dalla costituzione della rendita; altrimenti, fa intendere la Corte, in assenza dell'invio di valide ed efficaci diffide ad adempiere, indirizzate nel frattempo al responsabile civile, l'azione di regresso esercitata oltre il triennio si reputa prescritta, anche se l'Autorità giudiziaria dovesse esercitare l'azione penale successivamente al triennio trascorso.

Sembra, poi, che la Suprema Corte, si sia voluta conformare a quanto già detto riguardo il carattere eccezionale dell'istituto della decadenza, che non può essere oggetto di applicazione analogica (Cass. S.U., 16 marzo 2015, n. 5160, cit.; Cass. 3 ottobre 2007, n. 20736, in Guida dir., 2007, n. 46, p. 78; Cass. 10 marzo 2008, n. 6367), quando si è riferita esclusivamente alla seconda parte dell'ultimo comma dell'art. 112 D.P.R. n. 1124/1965, che contempla un unico termine triennale di natura prescrizionale decorrente dalla sentenza penale irrevocabile, a prescindere, quindi, dall'esito del processo penale.

Tale soluzione ermeneutica mette in discussione, seppur non espressamente, il sistema dicotomico disegnato dalle Sezioni unite del 1997, secondo cui l'art. 112, ult. comma, D.P.R. n. 1124/65 « contempla, nelle sue due disposizioni anzidette, due fattispecie diverse, delle quali la prima è caratterizzata dalla mancanza di un accertamento del fatto - reato da parte del giudice penale e la seconda, invece, dall'esistenza di tale accertamento con sentenza penale di condanna (pronunciata nei confronti del datore di lavoro o di suoi dipendenti o dello stesso infortunato); correlativamente, l'azione di regresso dell'INAIL soggiace nella prima ipotesi (ai sensi della prima parte, ultimo comma, cit. art. 112) a termine triennale di decadenza, che (insuscettibile d'interruzione) decorre dalla data di emissione della sentenza penale di non doversi procedere, e nella seconda ipotesi (ai sensi dell'ultima parte, ultimo comma, stesso art. 112) a termine triennale di prescrizione, che decorre dal giorno nel quale è divenuta irrevocabile la sentenza penale di condanna » (Cass. S.U., 16 aprile 1997, n. 3288, in Resp. civ. prev., 1997, pp. 353 e ss., con nota critica di G. MARANDO; in Mass. giur. lav., 1997, pp. 441 e ss., con nota di R. GIOVAGNOLI).

In effetti, nel combinato disposto di cui agli artt. 11, comma 3 e 112, ult. comma, D.P.R. n. 1124/65 non si rinviene un esplicito ed inequivocabile riferimento ad un termine di decadenza, a cui assoggettare l'azione di regresso esperibile nei confronti del datore di lavoro o dei suoi preposti, considerato che la prima parte dell'ultimo comma dell'art. 112 letteralmente non può che riferirsi solo all'azione di regresso esercitata contro l'infortunato quando l'infortunio è avvenuto per dolo del medesimo, stante il chiaro ed univoco testo di cui all'art. 11, comma 3, D.P.R. n. 1124/65, nel quale si legge “l'Istituto può, altresì, esercitare la stessa azione di regresso contro l'infortunato quando l'infortunio sia avvenuto per dolo del medesimo accertato con sentenza penale. Quando sia pronunciata la sentenza di non doversi procedere per morte dell'imputato o per amnistia, il dolo deve essere accertato nelle forme stabilite dal Codice di procedura civile”.

Il superamento del sistema dicotomico comporterebbe un ritorno al passato quando l'azione di regresso, prima della pubblicazione della sentenza n. 3288/1997, era assoggettata ad un unico termine di natura prescrizionale (Cass. 12 settembre 1966, n. 2370, in Riv. inf. mal. prof., 1967, II, p. 20, e, poi, successivamente, tra le tante Cass. 8 aprile 1980, n. 2265; Cass. 29 gennaio 1985, n. 502; Cass. 23 giugno 1986, n. 4175; Cass. 9 aprile 1987, n. 3526; Cass. 8 aprile 1989, n. 1707; Cass. 3 agosto 1990, n. 7786; Cass. 3 ottobre 1991, n. 10290; Cass. 29 gennaio 1992, n. 903; Cass. 22 febbraio 1993, n. 2107; Cass. 17 dicembre 1994, n. 10830, in Riv. inf. mal. prof., 1995, II, p. 28; Cass. 25 novembre 1995, n. 12185).

Tuttavia la questione rimane ancora controversa, considerato che nella causa decisa dalla Suprema Corte il processo penale si era concluso con una sentenza di condanna e che, quindi, il termine a cui era assoggettata l'azione di regresso sarebbe stato comunque di natura prescrizionale nel solco tracciato dalle Sezioni unite del 1997.

La Corte di Cassazione, infine, ha ribadito che il termine di cui all'art. 112, ult. comma, D.P.R. n. 1124/65 non decorre dalla pubblicazione della sentenza, ma dal suo passaggio in giudicato (Cass. 5 marzo 2008, n. 5947; Cass. 6 settembre 2000, n. 11722; Cass. 12 ottobre 1998, n. 10097; Cass. S.U. 16 aprile 1997, n. 3288; Cass. 23 novembre 1991, n. 12604).

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