Ammissibilità del regolamento di giurisdizione proposto nella prima fase del procedimento di impugnativa di licenziamento, secondo il c.d. rito Fornero

Luigi Di Paola
17 Febbraio 2015

È ammissibile il regolamento di giurisdizione proposto nella prima fase del procedimento di impugnativa di licenziamento, di cui all'art. 1, commi 47 e segg., della legge 28 giugno 2012, n. 92, la quale, pur caratterizzata da sommarietà dell'istruttoria, ha natura semplificata e non cautelare in senso stretto, non riferendosi la sommarietà anche alla cognizione del giudice, né sussistendo un'instabilità dell'ordinanza conclusiva di tale fase, che è idonea al passaggio in giudicato in caso di omessa opposizione
Massima

È ammissibile il regolamento di giurisdizione proposto nella prima fase del procedimento di impugnativa di licenziamento, di cui all'art. 1, commi 47 e segg., della legge 28 giugno 2012, n. 92, la quale, pur caratterizzata da sommarietà dell'istruttoria, ha natura semplificata e non cautelare in senso stretto, non riferendosi la sommarietà anche alla cognizione del giudice, né sussistendo un'instabilità dell'ordinanza conclusiva di tale fase, che è idonea al passaggio in giudicato in caso di omessa opposizione.

Il caso

Tizia, dipendente di un'istituzione pubblica facente parte integrante dell'Amministrazione di uno Stato estero, impugnava, nel rispetto del rito speciale introdotto dalla cd. “legge Fornero”, il licenziamento intimatole dalla predetta istituzione, chiedendo, tra l'altro, la declaratoria di illegittimità del licenziamento in questione e la reintegra di essa lavoratrice nel posto di lavoro. La datrice di lavoro proponeva regolamento preventivo di giurisdizione chiedendo dichiararsi il difetto di giurisdizione del giudice italiano; la lavoratrice resisteva eccependo l'inammissibilità del ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione nella fase iniziale del giudizio instaurato ai sensi della legge n. 92 del 2012.

In motivazione

«Il carattere peculiare di questo nuovo rito sta nell'articolazione del giudizio di primo grado in due fasi: una fase a cognizione semplificata (o sommaria) e l'altra, definita di opposizione, a cognizione piena nello stesso grado. (…) dopo una fase iniziale concentrata e deformalizzata - mirata a riconoscere, sussistendone i presupposti, al lavoratore ricorrente una tutela rapida ed immediata e ad assegnargli un vantaggio processuale (…) - il procedimento si riespande, nella fase dell'opposizione, alla dimensione ordinaria della cognizione piena con accesso per le parti “a tutti gli atti di istruzione ammissibili e rilevanti” (…). Si tratta, quindi, nella specie di una fase del giudizio di primo grado - la prima fase - che è semplificata e sommaria, ma non già cautelare in senso stretto: non occorre la prova di alcun concreto periculum, essendo l'urgenza preventivamente ed astrattamente valutata dal legislatore in considerazione del tipo di controversia. La sommarietà riguarda le caratteristiche dell'istruttoria, senza che ad essa si ricolleghi una sommarietà della cognizione del giudice, né l'instabilità del provvedimento finale».

La questione

La questione in esame è la seguente: è ammissibile il regolamento di giurisdizione proposto nella prima fase del procedimento di impugnativa di licenziamento, di cui all'art. 1, commi 47 e segg., della legge 28 giugno 2012, n. 92 (cd. rito Fornero)?

Le soluzioni giuridiche

In giurisprudenza il regolamento di giurisdizione è ritenuto, attualmente (a partire da Cass. civ., sez. un., sent. 22 marzo 1996, n. 2465), precluso nell'ambito di un procedimento speciale avente natura cautelare in senso tecnico.

Al riguardo, con riferimento alla fase sommaria (o semplificata) del giudizio di impugnativa del licenziamento intimato nell'area della tutela reale, vi è per lo più concordia di vedute circa la natura non cautelare in senso stretto della predetta fase.

Su altri fronti, per converso, si fronteggiano, ai poli opposti, due tesi principali: a) quella secondo cui la fase in questione è connotata da sommarietà sia dell'istruttoria che della cognizione del giudice, con la conseguenza (però esclusa dalla maggior parte dei commentatori che pure aderiscono a tale linea interpretativa) che l'ordinanza con la quale, in prima battuta, è accolta o rigettata la tutela chiesta dal lavoratore sarebbe insuscettibile di assumere la stabilità del giudicato; b) quella, avente maggior seguito - nonché convalidata dalla sentenza in commento -, in base alla quale la domanda di impugnativa del licenziamento introduce una fase sommaria solo sul versante istruttorio, senza dar luogo, in via consequenziale, ad una cognizione, per così dire, incompleta e/o superficiale del giudice (va a tale ultimo riguardo evidenziato che la preliminare affermazione della S.C., sopra riportata, secondo cui la prima fase è “a cognizione semplificata o sommaria”, risulta, in realtà, meglio precisata nel passaggio successivo, ove la sommarietà è correlata solo alle caratteristiche dell'istruttoria, limitata agli atti di istruzione indispensabili, e non alla cognizione del giudice); naturale corollario di tale premessa è che l'ordinanza conclusiva del procedimento, se non reclamata, è destinata a passare in giudicato

Osservazioni

Stando alla ricostruzione menzionata sub. b), potrebbe affermarsi che la cognizione - pur eventualmente depotenziata a livello quantitativo per effetto dell'espletamento a ranghi ridotti dei mezzi istruttori - sia da considerarsi piena anche nella prima fase del giudizio di impugnativa del licenziamento secondo il rito Fornero, ma, per così dire, “allo stato”, ossia in relazione alle risultanze processuali fin lì emerse.

La predetta ricostruzione, peraltro, a ben vedere, si rivela solo in apparente contrasto con l'opinione di chi ritiene connaturato a tale fase un giudizio di mera verosimiglianza o probabilistico; infatti la differenza non sembra rilevare sul piano concettuale, bensì su quello meramente terminologico, una volta chiarito che il giudice acquisisce una conoscenza dei fatti non approssimativa, bensì completa, benché sulla base di un apparato istruttorio ritenuto sufficiente a pervenire ad una decisione tempestiva.

Sullo sfondo rimane il problema (di cui è dato puntualmente conto nella sentenza in commento), non trascurabile, del bilanciamento tra esigenza di rapidità del giudizio ed impiego scrupoloso dei mezzi istruttori predisposti dall'ordinamento, che è stemperato, in concreto, mediante l'affidamento al giudice del compito di assicurare al meglio il diritto di difesa in un contesto processuale improntato a celerità di trattazione e definizione della controversia.

Ed è proprio su tale terreno che, notoriamente, si accentua il dibattito tra chi ritiene che il giudice debba comunque, anche nella prima fase, dare spazio ad una istruttoria sì deformalizzata ma, al contempo, significativa e comunque adeguata alla decisione da adottare (sicché, ad esempio, a fronte di cinque informatori indicati da ciascuna delle parti, egli potrebbe limitarsi a sentirne due, ma non uno solo o nessuno, magari accordando esclusiva priorità a documenti prodotti); e chi, in senso diametralmente opposto, sostiene che la fase sommaria del rito “Fornero” debba quasi risolversi, in buona sostanza, allo stato degli atti.

Dall'accoglimento dell'una o dell'altra impostazione derivano conseguenze non poco diversificate sul versante del grado di tutela riconoscibile al lavoratore (di portata apprezzabile, aderendo alla prima tesi, assai esile aderendo alla seconda, soprattutto allorquando grava sul lavoratore medesimo, negli aspetti cruciali, l'onere della prova) nonché della stessa proficuità della prima fase, plausibilmente di valenza assai ridotta qualora si ammetta un'istruttoria quantitativamente e qualitativamente carente, con necessaria ricaduta dell'integrale “peso” della causa sul giudizio di opposizione (che l'esperienza ha confermato costituire una tappa pressoché immancabile del procedimento allorquando la prima fase si sia sviluppata nel segno di una eccessiva sommarietà); né possono sottacersi le difficoltà aggiuntive di ordine pratico incontrate dal giudice nella trattazione di una causa sostanzialmente da istruire per intero, ma già contaminata dall'abbondanza di carte e incanalata su una linea, autorevolmente tracciata dall'ordinanza impugnata, idonea a suscitare comunque affidamenti generatori di aspre resistenze, da parte del soggetto allo stato vittorioso, rispetto a (non graditi) mutamenti di impostazione dell'istruttoria.

Una soluzione equilibrata al problema, in altri termini, pare possa ricercarsi solo nei fatti, suonando un po' come formule astratte molte delle teorizzazioni fin qui elaborate sul tema.

Le argomentazioni contenute nella sentenza in commento si rivelano utili a fornire soluzione ad altre questioni controverse.

In primo luogo è chiarito che nella prima fase del giudizio non opera il rigido meccanismo delle decadenze e delle preclusioni di cui agli artt. 414 e 416 c.p.c.. Il che dovrebbe significare che le parti possono integrare (ma, di norma, non modificare) il contenuto della domanda, formulare e precisare eccezioni, proporre istanze istruttorie, anche nel corso del procedimento; il tutto, però, compatibilmente con la celerità del rito, onde ogni margine di manovra dovrebbe essere impedito, se non dopo l'interrogatorio libero e l'esperimento del tentativo di conciliazione, almeno all'esito del successivo provvedimento di ammissione dei mezzi istruttori, di regola emesso in prima udienza.

In secondo luogo è precisato che la seconda fase è introdotta con un atto di opposizione che non è una “revisio prioris istantiae”, ma una prosecuzione del giudizio di primo grado, con cognizione piena a mezzo di tutti gli atti di istruzione ammissibili e rilevanti.

Il che dovrebbe implicare - attesa comunque la fissazione dell'apparato deduttivo sin dalla fase sommaria - che nel corso del giudizio di opposizione non solo non può procedersi all'introduzione di domande nuove (salvo quelle previste tassativamente dalla stessa legge Fornero), ma neppure alla modificazione di quelle già proposte nella predetta fase; rimane invece dubbio se possa farsi luogo all'integrazione di allegazioni o alla formulazione di nuove eccezioni (il che potrebbe comportare, tuttavia, un completo svilimento della prima fase, con conseguente spreco di energie, attualmente, se possibile, da scongiurare; sicché una risposta negativa al quesito pare la più in linea con la logica e ragionevolezza).

Anche sul versante istruttorio, non sembrerebbe possibile ammettere, in linea di massima, l'indicazione di fonti di prova non evidenziate in alcun modo in prima fase dalle parti; se, ad esempio, potrebbe ritenersi consentito addurre un nuovo teste, anche su capitoli nuovi purché connessi a quelli già dedotti in prima fase, è controverso se possa, in ipotesi, avanzarsi per la prima volta richiesta di produzione od esibizione di documenti in relazione ad una circostanza del tutto omessa nella predetta fase.

Infine, qualora la qualificazione del procedimento di opposizione in termini di “prosecuzione del giudizio di primo grado” conducesse ad optare senza riserve per la natura non impugnatoria del predetto procedimento, potrebbe rafforzarsi la tesi che lo stesso giudice possa legittimamente occuparsi di entrambe le fasi in cui si articola il rito, malgrado il tema dell'incompatibilità, anche in tale ambito, continui a caratterizzarsi per la estrema opinabilità delle questioni che attorno ad esso si agitano.

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