Cooperative: priva di effetti l'esclusione del socio non comunicata
20 Maggio 2016
Massima
La deliberazione di esclusione del socio lavoratore di cooperativa ex art. 2533 c.c. e art. 5 legge n.142 del 2001 è soggetta all'onere della comunicazione al socio lavoratore, come un licenziamento. Essa ha un contenuto minimo necessario costituito dalla indicazione delle ragioni dell'esclusione e produce effetti dal momento della comunicazione; in mancanza della quale è tamquam non esset. Non costituisce comunicazione della delibera di esclusione la restituzione della quota sociale, né la sua produzione nel corso del giudizio avverso il licenziamento. Il caso
Una socia lavoratrice di cooperativa sociale veniva licenziata per motivi disciplinari.
Alcuni giorni dopo, la stessa veniva altresì esclusa da socia in ragione dei medesimi fatti già contestati a fondamento del licenziamento. Non le veniva però formalmente comunicata dalla cooperativa tale delibera di esclusione.
La lavoratrice impugnava il solo licenziamento.
Nel successivo giudizio, il Tribunale riteneva nel merito legittimo il licenziamento, precisando ad abundantiam che anche un'eventuale pronuncia d'illegittimità non avrebbe comportato il riconoscimento in favore della ricorrente della tutela da lei richiesta, ciò in mancanza dell'impugnazione della delibera di esclusione dalla cooperativa.
In secondo grado, la Corte d'Appello, accogliendo parzialmente il ricorso della lavoratrice, riformava la pronuncia di prime cure giungendo, per quanto riguardava il merito del licenziamento, ad un giudizio di illegittimità per ritenuta insufficiente sua giustificazione.
La Corte d'Appello non concedeva però alla lavoratrice alcuna tutela, né reale nè obbligatoria, stante la sua mancata impugnazione della delibera di esclusione.
La cooperativa proponeva ricorso per cassazione contestando il predetto accertamento dell'illegittimità del licenziamento.
L'ex socia resisteva, proponendo a sua volta ricorso incidentale e con esso deducendo la violazione e/o falsa applicazione tra gli altri dell' art. 2533 c.c. La questione
La Corte di Cassazione riconosce anche per la specifica categoria del socio lavoratore di cooperativa la natura recettizia dell'atto di esclusione deliberato dall'ente secondo la regole generali dell' art. 2533 c.c.
Si pone pertanto la questione se a tale recesso della cooperativa dal rapporto associativo siano applicabili, quanto ad onere di comunicazione, i medesimi principi validi per il provvedimento di licenziamento. Le soluzioni giuridiche
L' art. 2533 c.c.disciplina per tutti i modelli di società cooperativa l'istituto dell'esclusione del socio.
Sino alla riforma del diritto societario, di cui al D . L g s . 17 gennaio 2003 n. 6 , la disciplina in questione trovava sede nell' art. 2527 c.c.
Quanto agli effetti dell'esclusione, l'ultimo comma della norma vigente prevede: “Qualora l'atto costitutivo non preveda diversamente, lo scioglimento del rapporto sociale determina anche la risoluzione dei rapporti mutualistici pendenti” .
La Relazione al D. Lgs. n. 6/2003 giustifica tale scelta legislativa affermando che «l'esclusione sancisce la rottura di un rapporto di collaborazione e di fiducia reciproca» e, di conseguenza, per sua natura è idoneo a determinare la risoluzione anche dei rapporti mutualistici in corso.
La disposizione del resto recepisce l'interpretazione già espressa dalla migliore dottrina ( Bonfante ,Le imprese cooperative , inComm. Scialoja, Branca , Bologna-Roma, 1999, 521), secondo la quale il contratto di scambio dipende dal contratto sociale e le vicende di quest'ultimo si riflettono necessariamente edautomaticamente sul primo.
Allo stesso principio si è attenuta anche la speciale disciplina introdotta per le cooperative di produzione e lavoro con la L. 3 aprile 2001 n. 142 (“Revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore”).L'art. 5 comma 2 prima parte della legge, infatti, prevede: “Il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l'esclusione del socio deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformità con gli articoli 2526 e 2527del codice civile” (tale ultimo richiamo normativo, dopo la riforma del diritto societario dell'anno 2003, è da intendersi rispettivamente agli artt. 2532 .
Vale a dire, nel caso di esclusione del socio lavoratore deliberata secondo le previsioni statutarie ed in conformità alle regole dell' art. 2533 c.c. , non è neppure richiesta alla cooperativa l'intimazione di un distinto atto di licenziamento, interrompendosi il rapporto mutualistico di lavoro per mera consequenzialità ex lege (cfr. Cass. 12 febbraio 2015 , n.2802 ; Cass. 21 novembre 2014, n. 24917;Cass. 5 luglio 2011 , n.14741 ).
Altro significativo effetto conseguente all'esclusione dalla cooperativa è stabilito dall' art. 2 L. n. 142/01: “Ai soci lavoratori di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato si applica la legge 20 maggio 1970, n. 300, con esclusione dell'articolo 18 ogni volta che venga a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo ”.
Nella sentenza qui commentata, valutati i siffatti gravi effetti propri dell'esclusione da socio nonché per “un elementare rispetto delle garanzie di difesa”, la Corte di Cassazione sancisce il principio secondo cui anche per la speciale figura del socio lavoratore risulta imprescindibile la formale comunicazione della deliberazione di esclusione, quantomeno dei contenuti minimi necessari della stessa, al fine di garantire al socio l'esercizio del diritto di difesa. In particolare, la Corte, tramite il richiamo di precedenti sue pronunce, ribadisce la necessità che l'esclusione del socio sia motivata in modo congruo e specifico. La delibera deve cioè indicare con sufficiente precisione i fatti e/o le condotte alla base dell'estromissione della compagine sociale, così da consentire al socio escluso un'adeguata opposizione.
Deve infatti ricordarsi che, in base all' art. 2533 comma 3 c.c.,“contro la deliberazione di esclusione il socio può proporre opposizione al tribunale, nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione”.
Ed il socio escluso dalla cooperativa può far valere i vizi della relativa deliberazione esclusivamente mediante tale opposizione e non con i normali mezzi d'impugnazione delle deliberazioni assembleari previsti dagli artt. 2377 ss. c.c. (cfr. Cass. 5 dicembre 2011, n. 25945 ; Cass. 8 giugno 2005, n. 12001 ).
Inoltre, con specifico riferimento alla posizione del socio lavoratore, va sottolineato che in forza del citato art. 5 comma 2 L. n. 14 2/ 01 , la mancata opposizione all'esclusione rende inammissibile per difetto di interesse anche l'eventuale azione proposta dal socio per contestare il solo licenziamento così precludendo al lavoratore l'applicazione del relativo apparato remediale (in tal senso, oltra alla sentenza in commento, Cass . 26 febbraio 2016, n. 3836 ; tra le corti di merito: Trib. Milano 29 gennaio 2013, n. 172 ).
Anche i dati letterale e sistematico della normativa sostengono l'interpretazione del Supremo Collegio: a differenza del passato (vd. art. 2527 c.c. ante riforma 2003) ed in analogia con l'attuale disciplina dell'efficacia del recesso del socio ( art. 2532 ultimo comma c.c. ), gli effetti dell'esclusione non vengono più fatti decorrere dall'annotazione nel libro dei soci.
Al contrario, il termine di decadenza per l'impugnazione di cui sopra decorre proprio dalla comunicazione della deliberazione di esclusione.
Sulla base di tali considerazioni, la Corte formula il principio di diritto espresso nella sopra riportata massima.
Nella sostanza, è evidenziato che per il socio lavoratore gli effetti particolari dell'esclusione - vale a dire, la preclusione all'applicazione dell' art. 18 L. n. 300/70( art. 2 L. n. 142/ 01 ) e l'estinzione ipso iure del rapporto di lavoro ( art. 5 comma 2 L. n. 142/ 01 ) - presuppongono che il contenuto della deliberazione di esclusione, come avviene per il licenziamento, sia comunicato al socio per iscritto e con specifica indicazione delle ragioni dell'esclusione stessa.
Rispetto a tale comunicazione non sono ammessi succedanei, quali la restituzione della quota sociale nella busta paga o la produzione in giudizio di copia della stessa delibera di esclusione.
Precisa in ultimo la Corte che, accertata la mancata comunicazione nei suddetti termini della delibera di esclusione, la tutela da assicurare al lavoratore risulterà quindi quella “normale” cioè quella propria di ogni giudizio in materia di licenziamento, tutela invece nel caso di specie illegittimamente negata dal giudice a quo.
Da qui la cassazione della pronuncia impugnata ed il rinvio ad altro giudice del merito affinché si uniformi ai principi di diritto sopra riportati. Osservazioni
La sentenza in commento, al di là del suo dictum, merita attenzione anche per gli argomenti giustificativi espressi.
Di particolare interesse la presa di posizione della Corte sulla dibattuta questione della preminenza del rapporto associativo su quello di lavoro del socio lavoratore, rapporto quest'ultimo qualificato come “ulteriore” dall' art. 1 comma 3 L. n. 142/ 0 1 Cass. 6 dicembre 2010 , n. 24692 Cass. 15 dicembre 2015 , n. 18110 La Corte afferma che tra le tutele previste dalla L. n. 142/ 01 L'arresto in questione risulta pertanto sicuramente utile nell'interpretazione dei controversi collaterali temi della competenza giurisdizionale e del rito applicabile nella materia.
I Supremi Giudici dimostrano nella circostanza di essere consapevoli che – anche in virtù dell' incipit della Legge n. 142/01 (art. 1 comma 1) e pur in mancanza di una generale definizione normativa dello “scopo mutualistico” che connota ogni modello di società cooperativa (vd. art. 2511 c.c. ) - nelle cooperative di produzione e lavoro il “rapporto mutualistico” risulta individuato e circoscritto, per mezzo della stessa definizione legislativa di tale tipologia di ente: “le cooperative nelle quali il rapporto mutualistico abbia ad oggetto la prestazione di attività lavorative da parte del soci” (art. 1 comma 1 L. cit.).In altre parole, nel caso delle cooperative di lavoro il rapporto mutualistico viene dalla legge fatto coincidere col rapporto di lavoro.
Non sempre tale concetto e le sue implicazioni vengono colte con sufficiente precisione in giurisprudenza.
Infatti, nell'applicazione dell' art. 5 comma 2 ultima parte L. n. 142/01(“le controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica sono di competenza del tribunale ordinario”) le categoria delle “cause aventi ad oggetto il rapporto mutualistico” viene spesso erroneamente contrapposta a quella delle “cause aventi ad oggetto quello lavorativo”, correlativamente relegando il concetto di “controversia relativa alla prestazione mutualistica” alla sole cc.dd. questioni societarie quali, ad es., la partecipazione alle assemblee, il versamento della quota sociale, l'erogazione dei ristorni e/o degli utili, etc.
Tra le pronunce più recenti sull'argomento, Cass. 23 gennaio 2015, n. 1259 in www.giustiziacivile.com con nota critica di F. Centofanti. |