La compatibilità dei rapporti di Dirigente e Amministratore
18 Luglio 2014
Fra i temi che più frequentemente si pongono nella pratica professionale, la fattispecie della cumulabilità del ruolo di amministratore di società di capitali con quello di lavoratore subordinato, dirigente della medesima società, assume un ruolo di primo piano. Il tema appare rilevante in considerazione dei molteplici profili di valutazione circa le importanti conseguenze in materia fiscale e previdenziale, nonchè in merito alla fondatezza di pretese retributive o risarcitorie.
Rilevanza del fenomeno
Si consideri innanzi tutto che, superato un orientamento contrario a tale cumulabilità, ormai risalente, la giurisprudenza di legittimità è ormai consolidata nell'affermare - in linea di principio - che "il rapporto organico che lega il socio o l'amministratore ad una società di capitali non esclude la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato a contenuto dirigenziale tra il primo e la seconda" (Cass. n. 12283/1998; n. 1424/2012). Peraltro, si precisa efficacemente nel medesimo solco giurisprudenziale, "l'amministratore di una società di capitali può essere legato alla stessa da contemporaneo rapporto di lavoro subordinato soltanto ove sia configurabile concettualmente, e dimostrato in concreto, l'elemento che caratterizza tale rapporto, ossia la subordinazione" (Cass. n. 6310/1988).
Ricostruzione giurisprudenziale
Quanto al primo profilo - la "configurabilità in astratto" del cumulo delle posizioni – ci si dovrà focalizzare sulla possibilità di ricostruire, nel caso che si analizza, "una volontà imprenditoriale che si formi in modo autonomo [rispetto all'amministratore-dirigente], sì che possano attuarsi i poteri di controllo e disciplinari che caratterizzano in termini di subordinazione lo stesso svolgersi del rapporto di lavoro" (Cass. n. 381/2000). In effetti, ove non fosse possibile individuare un livello superiore all'amministratore-dirigente in cui le decisioni sociali si esplicano, si cadrebbe nella paradossale circostanza del dirigente che è dipendente di sé stesso, visto che verrebbero a coincidere nella medesima persona il soggetto attivo (chi esercita il potere direttivo) e il soggetto passivo (il lavoratore) del rapporto di lavoro subordinato. In tal senso deve intendersi l'orientamento giurisprudenziale - largamente maggioritario - che esclude il cumulo delle funzioni di amministratore unico e di lavoratore dipendente “mancando in tal caso la necessaria relazione intersoggettiva tra colui che è chiamato ad esprimere la volontà della società, in ordine alla costituzione e gestione del rapporto di lavoro, ed il subordinato esecutore delle prestazioni personali che dall'esercizio del predetto potere dipendono". Ciò vale anche per l'amministratore unico di fatto, come nel caso in cui "il socio abbia di fatto assunto, nell'ambito della società, l'effettiva ed esclusiva titolarità dei poteri di gestione" (Cass. n. 21759/2004). Invece "è configurabile un rapporto di lavoro subordinato tra l'amministratore delegato e la società, quando il primo sia soggetto ad un organo a lui esterno, esprimente la volontà della società, che in concreto eserciti i poteri di controllo, comando o disciplina, tipici del datore di lavoro” (ad esempio lo stesso Consiglio di Amministrazione, purché siano esercitati poteri di controllo e direzione di contenuto più stringente rispetto al generico obbligo di vigilanza sulla gestione). Tale circostanza, peraltro, si configura come fondata soltanto quando la delega abbia un'ampiezza ed un'incidenza limitate; al contrario deve escludersi la cumulabilità quando la delega sia di portata tale da non consentire l'individuazione di un superiore livello di effettivo controllo e coordinamento, tipicamente quando all'amministratore delegato siano stati conferiti la massima parte dei poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione. Anche qui dovrà soccorrere una puntuale analisi delle circostanze concrete. Tutte queste conclusioni valgono anche nel caso in cui il rapporto da cumulare con il mandato da amministratore sia quello particolare dei direttori generali, dei quali non bisogna dimenticare la natura di lavoratori subordinati, sebbene al massimo livello dirigenziale. In effetti, secondo la giurisprudenza, "le funzioni e le responsabilità di amministratore di una società e quelle di direttore generale, anche se affidate entrambe a quest'ultimo, [...] sono concettualmente diverse, l'una consistendo nella gestione dell'impresa, l'altra nell'esecuzione, seppure al più elevato livello, delle disposizioni generali impartite nel corso di tale gestione [...]" (Cass n. 12603/1999).
Conclusioni
Alla luce di quanto sopra, si ammette la cumulabilità delle funzioni di amministratore e di direttore generale, salvo che si tratti di amministratore unico o di amministratore munita di delega estesa all'intera gestione sociale, alla luce dei principi già visti. Una volta che fosse valutato come ipotizzabile – in astratto - il cumulo tra mandato di amministratore e rapporto di lavoro subordinato, si rende però necessario completare l'analisi in concreto del secondo profilo, ovvero quello della dimostrazione dell'esistenza di un vincolo subordinazione. In sintesi, cioè, per l'adeguata valutazione del caso la verifica dell'esistenza di una compatibilità astratta fra le due figure è un requisito necessario ma non sufficiente – rendendosi necessaria la concreta verifica circa la sussistenza del vincolo di subordinazione. A proposito la giurisprudenza ha precisato che "il cumulo delle due qualità presuppone - al di là dello statuto e delle deliberazioni assembleari e consiliari - la verifica in concreto circa la sussistenza del vincolo della subordinazione gerarchica e, in particolare, lo svolgimento, dietro retribuzione, di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale rivestita […]" (Cass. n. 9368/1996). In pratica dovrà essere riscontrata la ricorrenza di tutti i requisiti tipici del rapporto di lavoro subordinato - per quanto complesso ciò possa apparire - alla luce delle definizioni di “dirigente” e delle caratteristiche intrinseche di tale fattispecie. In particolare, per quanto riguarda gli amministratori, occorre accertare “che l'attività espletata non rientri nel mandato sociale di cui è investito; e, in caso affermativo, va accertato altresì se l'attività stessa sia resa in forma subordinata e retribuita” (Cass nn. 329/2002, 1424/2012). L'analisi del caso concreto, ancora una volta, sarà determinante.
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