Controlli difensivi a fini disciplinari: la Cassazione anticipa davvero il Jobs Act?

Paolo Patrizio
18 Gennaio 2016

Gli artt. 2, 3 e 4 L. n. 300/70 impongono modi d'impiego, da parte del datore di lavoro, delle guardie giurate, del personale di vigilanza e di impianti ed attrezzature per il controllo a distanza. I relativi divieti riguardano il controllo sui modi di adempimento dell'obbligazione lavorativa, ma non anche comportamenti del lavoratore lesivi del patrimonio e dell'immagine aziendale. Non sono perciò vietati i cosiddetti controlli difensivi, intesi a rilevare mancanze specifiche e comportamenti estranei alla normale attività lavorativa nonché illeciti. Controlli eseguibili anche mediante agenzie investigative private (…) Ciò tanto più vale quando il lavoro dev'essere eseguito, come nel caso di specie, al di fuori dei locali aziendali, ossia in luoghi in cui è più facile la lesione dell'interesse all'esatta esecuzione della prestazione lavorativa e dell'immagine dell'impresa, all'insaputa dell'imprenditore.
Massima

Gli artt. 2, 3 e 4 L. n. 300/70 impongono modi d'impiego, da parte del datore di lavoro, delle guardie giurate, del personale di vigilanza e di impianti ed attrezzature per il controllo a distanza. I relativi divieti riguardano il controllo sui modi di adempimento dell'obbligazione lavorativa, ma non anche comportamenti del lavoratore lesivi del patrimonio e dell'immagine aziendale. Non sono perciò vietati i cosiddetti controlli difensivi, intesi a rilevare mancanze specifiche e comportamenti estranei alla normale attività lavorativa nonché illeciti. Controlli eseguibili anche mediante agenzie investigative private (…) Ciò tanto più vale quando il lavoro dev'essere eseguito, come nel caso di specie, al di fuori dei locali aziendali, ossia in luoghi in cui è più facile la lesione dell'interesse all'esatta esecuzione della prestazione lavorativa e dell'immagine dell'impresa, all'insaputa dell'imprenditore.

Il caso

La fattispecie in esame trae vita dalla condotta di una società torinese, la quale, mediante l'analisi delle risultanze acquisite grazie all'operato di un investigatore ed ai controlli effettuati sul sistema di geolocalizzazione istallato sul mezzo aziendale in uso ad un proprio dipendente, aveva appreso che detto lavoratore, coordinatore degli addetti alla nettezza urbana nel territorio di alcuni comuni della Provincia di Torino, in pieno orario lavorativo era solito effettuare diverse pause per trattenersi in bar o in locali di tavola calda fuori dalla propria zona di attività prevista, al fine di conversare, ridere o scherzare con i colleghi. L'azienda aveva quindi utilizzato dette informazioni a fini disciplinari, intimando al dipendente il licenziamento per giusta causa. Quest'ultimo aveva immediatamente impugnato il provvedimento risolutivo del rapporto di lavoro dinanzi ai Giudici di merito i quali, sia in primo che in secondo grado, ne avevano rigettato le doglianze. Il ricorrente, pertanto, si era infine rivolto alla Suprema Corte di Cassazione, lamentando in particolare, tra le altre questioni ed ai fini che ci interessano, l'illegittimità del comminato licenziamento perché violativo degli artt. 2, 3 e 4 L. n. 300 del 1970, essendosi il datore di lavoro avvalso, ai fini disciplinari, delle risultanze di investigatori privati e del sistema satellitare GPS di rilevamento dei movimenti dell'auto vettura affidata per l'esecuzione della prestazione lavorativa.

La questione

La principale questione giuridica trattata nella sentenza in commento involge la tematica dei controlli a distanza del lavoratore (nella specie, investigazioni private e sistemi GPS installati sull'autovettura aziendale) e la conseguente possibilità di utilizzare i dati raccolti ai fini disciplinari.

Le soluzioni giuridiche

La tematica dei controlli a distanza del lavoratore e la conseguente possibilità di utilizzare i dati raccolti ai fini disciplinari è, da lungo tempo, oggetto di un'intensa elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, che ha il suo fulcro nell'interpretazione dell'art. 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei Lavoratori).

La Suprema Corte, ribadendo un consolidato orientamento giurisprudenziale dalla stessa richiamato (Cass. 4 marzo 2014 n. 4984, 23 febbraio 2012 n. 2722, 14 febbraio 2011 n. 3590, 7 giugno 2003 n. 9167, 3 aprile 2002 n. 4746, 17 ottobre 1998 n. 10313, 25 gennaio 1992 n. 829), ha negato la tutela invocata dal lavoratore, sostenendo come i divieti prescritti dagli articoli 2, 3 e 4 dello Statuto dei Lavoratori, relativi ai modi di impiego, da parte del datore di lavoro, delle guardie giurate, del personale di vigilanza e di impianti ed attrezzature per il controllo a distanza, non si applichino ai comportamenti del lavoratore lesivi del patrimonio e dell'immagine aziendale.

Secondo i Giudici di legittimità, infatti, “I relativi divieti riguardano il controllo sui modi di adempimento dell'obbligazione lavorativa”, mentre “non sono (…) vietati i cosiddetti controlli difensivi, intesi a rilevare mancanze specifiche e comportamenti estranei alla normale attività lavorativa nonché illeciti”. Tali controlli, a parere della Corte, sono eseguibili anche mediante agenzie investigative private, a maggior ragione nel caso in cui il lavoro debba essere eseguito al di fuori dei locali aziendali, ossia in luoghi in cui “è più facile la lesione dell'interesse all'esatta esecuzione della prestazione lavorativa e dell'immagine dell'impresa, all'insaputa dell'imprenditore”.

Osservazioni

La sentenza in commento, a ben vedere, non ha una vera e propria portata innovativa né, tantomeno e come si vedrà, anticipatoria della riforma dell'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, posto che la decisione de qua si instaura nel solco dei precedenti indirizzi espressi dalle corti di merito e legittimità, incentrati sul tema della portata dei controlli difensivi e sulla connessa utilizzabilità dei dati in tal modo acquisiti ai fini disciplinari.

L'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, nella formulazione che ha resistito per oltre 45 anni, infatti, nel porre il divieto tassativo per parte datoriale di poter usare impianti audiovisivi e qualsiasi altro tipo di apparecchiatura la cui funzione fosse quella di controllare a distanza la prestazione lavorativa e la condotta dei dipendenti durante l'orario di lavoro, ha comunque sempre ammesso l'utilizzo di sistemi ed apparecchiature di controllo richieste da esigenze organizzative, produttive o dalla sicurezza del lavoro (e dalle quali poteva derivare anche la possibilità di un controllo a distanza dell'attività dei lavoratori) subordinandone l'istallazione al raggiungimento di un preventivo accordo con le rappresentanze sindacali dell'azienda, ovvero (in mancanza di queste o in caso di mancato accordo con queste) imponendo l'ottenimento dell'autorizzazione da parte del servizio ispettivo della locale Direzione Territoriale del Lavoro.

Dunque, come sancito dalla Suprema Corte nella sentenza in commento, i divieti prescritti dagli articoli 2, 3 e 4 dello Statuto dei Lavoratori (anche nel testo antecedente la riforma introdotta dal d.lgs. 14 settembre 2015 n. 151) e relativi ai modi di impiego, da parte del datore di lavoro, dei vari sistemi, mezzi, impianti ed attrezzature per il controllo a distanza, non potevano ritenersi estesi anche ai comportamenti del dipendente lesivi del patrimonio e dell'immagine aziendale, in quanto la voluntas legis è sempre stata quella di proteggere i lavoratori dal rischio di essere sottoposti, nell'espletamento della propria prestazione, ad un controllo continuo, asfissiante e di tipo “orwelliano”, ma non certo quella di vietare “i cosiddetti controlli difensivi, intesi a rilevare mancanze specifiche e comportamenti estranei alla normale attività lavorativa nonché illeciti”.

Né, come sostenuto da alcuni commentatori, l'approdo in esame (che, si badi, risolve un controversia nata sotto l'egida della vecchia formulazione dell'art 4 della l. 300/70) potrebbe essere correttamente ritenuto “precursore” della rivoluzione copernicana attuata dal Jobs act e, più in particolare, dal citato d.lgs. 14 settembre 2015 n. 151.

A ben vedere, infatti, la richiamata disposizione legislativa di recente conio, al primo comma non sembra aver innovato nulla per quanto riguarda gli strumenti di controllo necessari per esigenze produttive o per la tutela del patrimonio aziendale (quali le telecamere o i rilevatori di posizione Gps), che rimangono sottoposti alla stessa disciplina di divieti e di controlli di prima (con dei semplici aggiornamenti sui soggetti sindacali e della Pubblica Amministrazione cui competono gli accordi e i controlli).

La necessità di un accordo con le rappresentanze sindacali o dell'autorizzazione rilasciata dalla Direzione Territoriale del Lavoro è infatti espressamente esclusa dalla nuova formulazione del secondo comma dell'art. 4 Statuto dei Lavoratori, solo per gli "strumenti" utilizzati dal dipendente per rendere la prestazione lavorativa.

Pertanto, in disparte l'evidente inversione di approccio alla tematica dei controlli a distanza sul posto di lavoro (in considerazione della sostanziale eliminazione dell'originario divieto generale di controllo e ferma restando la possibilità, ora espressamente sancita dal terzo comma dell'art. 4 L. n. 300/70, di utilizzare le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 per fini connessi al rapporto di lavoro e, dunque, anche nell'ambito del procedimento disciplinare), il vero “terreno di scontro” riguarderà certamente i casi di esclusione dalle limitazioni imposte dal primo comma dell'art. 4 L. n. 300/70 e, dunque, le ipotesi di delimitazione di quelli che possono essere ritenuti “strumenti che servono al lavoratore per rendere la prestazione lavorativa”, nozione questa di non sempre facile ed immediata applicazione, visto che, in sostanza, quasi tutti gli strumenti digitali (PC, internet, posta elettronica, badge, RFID, dati biometrici, ecc.) hanno un'astratta funzionalità di registrazione degli eventi (“controllo”), benché concepiti per finalità diverse (“non di controllo”).

In questo senso, ove si volesse allora operare una raffronto della fattispecie esaminata nella sentenza in commento anche alla luce dell'ambito applicativo della nuova veste dell'art. 4 Statuto dei Lavoratori, potrebbe osservarsi come, considerando l'autovettura aziendale alla stregua di uno "strumento" di lavoro, si dovrà al limite discutere se un sistema di controllo (nel caso di specie, il GPS), che non sia "connaturato" a detto strumento di lavoro (cioè, ne costituisca parte integrante ad origine), debba essere sottoposto, o meno, alle prescrizioni stabilite dal primo comma (ovvero, accordo sindacale o autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro).

Su tali basi, tuttavia, appare chiaro come l'espressione "per rendere la prestazione lavorativa" comporti che l'accordo o l'autorizzazione non siano necessari se, e nella misura in cui, lo strumento venga considerato quale mezzo che "serve" al lavoratore per adempiere la prestazione: ciò significa che, nel momento in cui tale strumento viene modificato (ad esempio, con l'aggiunta di appositi software di localizzazione o filtraggio) per controllare il lavoratore, si fuoriesce dall'ambito della disposizione, con la conseguenza che queste "modifiche" possono avvenire solo alle condizioni ricordate sopra, ovvero la ricorrenza delle particolari esigenze produttive o per la tutela del patrimonio aziendale e l'accordo sindacale o l'autorizzazione ministeriale.

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