Cambio di appalto, assunzione dei dipendenti da parte del nuovo appaltatore e condizioni per l’applicazione dell’art. 2112 c.c.
19 Gennaio 2017
Massima
Ai sensi dell'art. 29, 3 comma, D.Lgs. n. 276/2003, non costituisce trasferimento d'azienda - ai sensi dell'art. 2112 c.c. - la mera assunzione dei lavoratori in caso di cambio del soggetto appaltatore (in esecuzione d'una c.d. clausola sociale prevista dalla contrattazione collettiva o dalla legge), a meno che la stessa non si accompagni alla cessione dell'azienda o di un suo ramo autonomo intesa come passaggio di beni di non trascurabile entità, tali da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa (fattispecie precedente alle modifiche apportate all'art. 29, D.Lgs. n. 276/2003 dall'art. 30, L. n. 122/2016)”. Il caso
I lavoratori ricorrenti venivano licenziati dalla cooperativa datrice di lavoro in conseguenza del mancato rinnovo da parte di un Comune dell'appalto della gestione dei parcheggi comunali, servizio poi affidato ad una società in house dello stesso Comune.
In particolare, i lavoratori deducevano l'illegittimità del licenziamento e argomentavano il proprio diritto a proseguire il rapporto di lavoro alle dipendenze del nuovo appaltatore, sostenendo l'applicabilità dell'art. 2112 c.c. in caso di subentro nell'esecuzione dell'attività appaltata.
Il Tribunale di Viterbo accoglieva la domanda dei ricorrenti in primo grado con sentenza che veniva poi riformata dalla Corte di Appello di Roma in data 24 ottobre 2013.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso, confermando la sentenza pronunciata in secondo grado. La questione
Nella sentenza in commento, la Cassazione si pronuncia sull'applicabilità dell'art. 2112 c.c. all'ipotesi di subentro nell'esecuzione dell'attività appaltata che sia eventualmente accompagnato dall'assunzione da parte del nuovo appaltatore dei dipendenti già impiegati nell'appalto. La Cassazione chiarisce altresì il significato che deve essere attribuito all'art. 29, 3 comma, D.Lgs. n. 276/2003, il quale prescriveva, nella formulazione vigente, alla data del subentro del nuovo appaltatore nella fattispecie oggetto della controversia che “l'acquisizione del personale già impiegato nell'appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d'appalto, non costituisce trasferimento d'azienda o di parte d'azienda”.
Per accertare se l'art. 2112 c.c. trovi applicazione nella fattispecie sottoposta all'esame della Cassazione, è necessario innanzitutto precisare se la stessa norma presupponga o meno un accordo diretto fra il precedente appaltatore e quello subentrante avente ad oggetto la cessione dell'apparato produttivo impiegato per l'esecuzione del servizio oggetto dell'appalto.
Con riferimento a tale profilo, la Suprema Corte dà continuità al proprio precedente consolidato orientamento (cfr., citate in sentenza: Cass. sez. lav., 16 maggio 2013, n. 11918; Cass. sez. lav., 13 aprile 2011, n. 8460; Cass. sez. lav., 15 ottobre 2010, n. 21278; Cass. sez. lav., 10 marzo 2009, n. 5708; Cass. sez. lav., 8 ottobre 2007, n. 21023; Cass. sez. lav., 7 dicembre 2006, n. 26215; Cass. sez. lav., 13 gennaio 2005, n 493; Cass. sez. lav., 27 aprile 2004, n. 8054; Cass. sez. lav., 20 settembre 2003, n. 13949; Cass. sez. lav., 6 dicembre 2000, n. 15468; Cass. sez. lav., 27 dicembre 1999, n. 14568), secondo il quale “per l'applicabilità dell'art. 2112 c.c. basta che il complesso organizzato dei beni dell'impresa – nella sua identità obiettiva – sia passato ad un diverso titolare in forza di una vicenda giuridica (negozi singoli o collegati), anche a prescindere da un rapporto contrattuale diretto tra l'imprenditore uscente e quello che subentra nella gestione”.
Orientamento, questo, conforme al principio espresso dalla Corte di Giustizia UE nell'interpretazione delle direttive in materie di trasferimento di azienda, la quale ne ha riconosciuto l'applicabilità anche in assenza di un vincolo contrattuale diretto fra le imprese, purché vi sia il subentro in un complesso organizzato di persone e di elementi che consentono l'esercizio di un'attività economica organizzata in modo stabile (cfr., tra le altre: CGUE 11 marzo 1997, C-13/95, Suzen; CGUE25 gennaio 2001, C-172/99,Oy Liikenne; CGUE 26 settembre 2000, C-175/99, Didier Mayeur; CGUE 20 novembre 2003, C-340/01, Abler).
La questione logicamente successiva che la Cassazione viene chiamata ad affrontare è se, ai fini della configurabilità del trasferimento di azienda in una ipotesi di successione nell'esecuzione dell'appalto, sia sufficiente l'assunzione da parte del nuovo appaltatore dei dipendenti impiegati dal precedente, eventualmente nel rispetto di un obbligo previsto da una clausola sociale di fonte legislativa o contrattuale.
Per rispondere a tale quesito la Corte deve chiarire quale rapporto intercorra fra l'art. 2112 c.c. e l'art. 29, 3 comma, D.Lgs. n. 276/2003 sopra citato, tenuto conto della necessità di scegliere, fra quelle possibili, l'interpretazione che sia maggiormente conforme alle previsioni delle direttive europee in materia, come interpretate dalla Corte di Giustizia UE. Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte risolve la questione poc'anzi riassunta affermando che il subentro nell'esecuzione di un contratto di appalto non è di per sé sufficiente a configurare un trasferimento d'azienda ai sensi dell'art. 2112 c.c.
È infatti necessario che la successione nell'esecuzione dell'attività sia accompagnata da “un passaggio di beni di non trascurabile entità, tali da rendere possibile lo svolgimento di una specifica impresa”.
Da tale affermazione la Cassazione desume che non è configurabile un diritto dei dipendenti impiegati dal precedente appaltatore ad essere assunti dall'appaltatore subentrante per il solo fatto che vi sia stato la successione dell'attività.
Ciò che bisogna accertare è piuttosto se i lavoratori già impiegati in precedenza nell'appalto ed assunti dal nuovo appaltatore (eventualmente in esecuzione di un obbligo posto da una clausola sociale prevista dalla legge o dal contratto collettivo) possano essere considerati nel loro complesso come un'azienda od un ramo di essa ai sensi della norma codicistica. Solo in tale ipotesi si configura un diritto di tutti i lavoratori che appartenevano alla struttura acquisita dall'appaltatore subentrante ad invocare la continuità del rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo.
Al riguardo, la Cassazione afferma, in continuità il proprio precedente orientamento (cfr. in particolare Cass. sez. lav., 12 aprile 2016, n. 7121 e Cass. sez. lav., 7 marzo 2013, n. 5678), che ben può un gruppo di lavoratori costituire azienda o ramo di azienda, purché questi siano stabilmente coordinati ed organizzati tra loro, in modo tale che il gruppo di lavoratori sia dotato di un'autonoma capacità operativa assicurata dal fatto di essere dotati di un particolare know how.
Detto altrimenti, la mera assunzione di tutti o di parte dei lavoratori già impiegati nell'appalto non è da sola sufficiente a rendere applicabile l'art. 2112 c.c., essendo piuttosto necessario che i lavoratori transitati alle dipendenze del nuovo datore di lavoro “siano dotati di particolari competenze e che siano stabilmente coordinati ed organizzati tra loro, così da rendere le loro attività interagenti ed idonee a tradursi in beni e servizi” (così Cass. 7121/2016).
Tale interpretazione della nozione di ramo di azienda, precisa la Suprema Corte, non è in contrasto con la previsione dell'art. 29, 3 comma, D.Lgs. n. 276/2003, a mente del quale l'applicazione dell'art. 2112 c.c. è esclusa solo nel caso in cui l'assunzione del personale da parte del nuovo appaltatore, in applicazione di una clausola sociale, non realizzi anche il subentro in una struttura produttiva configurabile come azienda o ramo di azienda nel senso poc'anzi riferito.
La Cassazione pone quindi in evidenza che con il 3 comma dell'art. 29, D.Lgs. n. 276/2003 il legislatore ha voluto escludere un'estensione dell'ambito di applicazione dell'art. 2112 c.c. alle ipotesi di mera assunzione del personale impiegato già in precedenza dell'appalto, laddove tali assunzioni non diano luogo al trasferimento di una struttura produttiva configurabile come azienda o come ramo di essa.
Letto in questa prospettiva, il 3 comma dell'art. 29 D.Lgs. n. 276/2003 risulta coerente con quanto disposto dalla Direttiva Europea 2001/23/CE in materia di mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimento, come interpretato dalla Corte di Giustizia UE.
Come da ultimo precisato da quest'ultima, invero, la Direttiva del 2001 riconosce il diritto dei lavoratori a transitare alle dipendenze del cessionario ogni qualvolta ciò che è fatto oggetto di cessione sia un'entità economica intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un'attività economica. Al di fuori di questa ipotesi, in assenza di un'espressa previsione normativa volta ad estendere l'ambito di applicazione dell'effetto della continuità dei rapporti di lavoro ad altre fattispecie, non è configurabile un diritto del lavoratore a transitare alle dipendenze del cessionario (così CGUE 6 marzo 2014, C-458/12, Amatori).
Con l'art. 29, 3 comma, D.Lgs. n. 276/2003, il legislatore non ha dunque fatto altro che esplicitare l'inapplicabilità dell'art. 2112 c.c. ad una fattispecie che doveva comunque considerarsi esclusa in base alla corretta interpretazione della norma codicistica. Osservazioni
La sentenza in commento, pur ponendosi in continuità con i precedenti della Suprema Corte in materia di trasferimento di azienda, assume notevole rilevanza sotto almeno due profili.
Da un primo punto di vista, la Cassazione chiarisce, per la prima volta in maniera esplicita, che, nelle fattispecie nelle quali si configura il subentro di un appaltatore ad un altro nell'esecuzione di un appalto, la mera assunzione di tutto o di parte del personale impiegato dal precedente imprenditore non è da sola sufficiente a rendere applicabile l'art. 2112 c.c.
L'assunzione dei lavoratori da parte del nuovo appaltatore deve piuttosto essere valutata in relazione alle caratteristiche dell'attività oggetto dell'appalto e della struttura produttiva necessaria a svolgere tale attività. Affinché sia applicabile la disciplina in materia di trasferimento d'azienda devono dunque concorrere due condizioni:
Il secondo profilo per il quale la sentenza in commento desta interesse riguarda l'interpretazione data all'art. 29, 3 comma, D.Lgs. n. 276/2003, tramite la quale la Suprema Corte scongiura ogni rischio di incompatibilità con la Direttiva Europea 2001/23/CE.
L'interpretazione così sposata dalla Suprema Corte non è però stata ritenuta sufficiente dalla Commissione Europea, che ha avviato una procedura preventiva di infrazione nei confronti dell'Italia sull'assunto che l'originaria formulazione del terzo comma dell'art. 29, D.Lgs. n. 276/2003 non fosse compatibile con la Direttiva 2001/23/CE (Cfr. Caso EU Pilot 7622/15/EMPL, nonché la scheda di lettura dell'art. 30, L. n. 122/2016 a cura del Senato della Repubblica).
Per evitare l'annunciata procedura di infrazione, anziché abrogare tout court il ricordato terzo comma dell'art. 29, il legislatore ha preferito riscriverne il testo tramite l'art. 30, L. 122/2016, adottando però una formulazione che presenta evidenti tratti di complessità e che, anche per questo, è probabilmente destinata a fomentare un nuovo ed acceso dibattito.
Il nuovo 3 comma dell'art. 29 dispone ora che “l'acquisizione del personale già impiegato nell'appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d'appalto, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa, non costituisce trasferimento d'azienda o di parte d'azienda”.
La nuova disposizione non è di facile interpretazione, poiché richiede che si chiarisca, da un lato, cosa significhi che l'appaltatore deve essere dotato di una propria struttura organizzativa e operativa, e, dall'altro, quando sia possibile ravvisare elementi di discontinuità che determinino una specifica identità di impresa.
Al fondo delle indicate questioni interpretative rimane, però, la constatazione che l'interpretazione della nuova disposizione che deve essere prescelta non può che essere quella conforme all'ordinamento europeo, cosicché ci si deve innanzitutto chiedere se la nuova formulazione consenta di superare le censure mosse dalla Commissione Europea.
Un altro profilo da sottolineare è che la nuova disposizione collega la mancata applicazione dell'art. 2112 c.c. non alle caratteristiche possedute dal ramo oggetto di trasferimento, quanto piuttosto a quelle che connotano la struttura del cessionario.
È in questo elemento che sembra doversi individuare la chiave di lettura della nuova disposizione, consentendo di escludere l'effetto di continuità dei rapporti di lavoro ogniqualvolta i mezzi acquisiti dal cedente costituiscano una parte marginale e comunque non prevalente dell'organizzazione investita dall'appaltatore entrante per la realizzazione dell'appalto.
|