La portabilità a fondo pensione preesistente a ripartizione e a prestazioni definite
19 Marzo 2015
Massime
Seppure non si possa negare che nei fondi pensione preesistenti non a capitalizzazione individuale la “posizione previdenziale” sia, almeno in talune ipotesi, di difficile enucleazione, nondimeno la stessa è in ogni caso determinabile sulla base di regole e metodi delle specializzazioni matematiche che si occupano dei problemi del settore assicurativo-previdenziale. Pertanto nel caso di fondi pensione a ripartizione o a capitalizzazione collettiva e a prestazione definita va riconosciuto, ai sensi dell'art. 10 d.lgs. n. 124/1993, il diritto dell'iscritto - in caso di cessazione dal servizio senza maturazione della pensione complementare - alla portabilità dell'intera posizione previdenziale individuale, comprensiva non solo dei contributi versati dall'iscritto medesimo, ma anche di quelli versati del datore di lavoro, non rilevando in senso contrario il fatto che lo Statuto del Fondo limiti ai primi le prerogative del lavoratore. Ciò sia in quanto la portabilità è da ritenersi uno degli strumenti fondamentali per garantire il perseguimento di più elevati livelli di copertura previdenziale sia in quanto la portabilità soddisfa la crescente mobilità occupazionale che caratterizza il mercato del lavoro e consente ai lavoratori, esposti al frammentarsi della vita lavorativa, di attenuare i contraccolpi sul versante previdenziale. Il caso
Il dipendente di un'azienda in cui è presente un fondo pensione preesistente a ripartizione (in cui i contributi dei lavoratori attivi vengono utilizzati per pagare le pensioni in corso), all'atto della cessazione dal rapporto con il fondo senza aver maturato il trattamento pensionistico, richiede, ai sensi dell'art. 10 del d.lgs. n. 124/1993 (normativa applicabile al momento del radicamento della controversia), il trasferimento, presso altro fondo, tanto dei contributi da lui versati, quanto di quelli versati a suo vantaggio dal datore di lavoro; il fondo “a quo”, ai sensi del relativo Statuto, dispone il trasferimento solo della parte di contribuzione versata dal lavoratore, ma non dell'altra. Il dipendente conviene in giudizio il Fondo pensione e dopo i due gradi di merito, in cui risulta soccombente, propone ricorso per Cassazione. Rilevandosi la sussistenza in materia di orientamenti diversi all'interno della Corte di Cassazione, la causa viene assegnata alle Sezioni Unite. La questione
Il decreto legislativo n. 124/1993 (attuativo della legge n. 421/1992), nell'introdurre, per i lavoratori dipendenti assunti dopo la sua entrata in vigore, un modello di previdenza complementare incentrato su fondi pensione a contribuzione definita a capitalizzazione individuale, ha previsto la portabilità della posizione previdenziale del singolo interessato (diritto al trasferimento e al riscatto), anteriormente alla maturazione del diritto pensionistico. Posto che il medesimo decreto ha, nel contempo, complessivamente salvaguardato i fondi c.d. preesistenti, anche quelli operanti secondo modalità notevolmente diverse dal modello legale (fondi a ripartizione o a capitalizzazione collettiva e a prestazioni definite), si è ripetutamente posta la questione, non solo in sede giudiziale, se il diritto alla portabilità della posizione individuale sia a tali fondi riferibile o, se al contrario, almeno in determinate ipotesi, possa risultare inconciliabile con la struttura organizzativa-operativa degli stessi. Le soluzioni giuridiche
Al riguardo, negli anni passati, si sono contese il campo, anche a livello di giurisprudenza di legittimità, due diverse impostazioni che le Sezioni Unite hanno inteso ora ricomporre con una sentenza che riconosce al lavoratore iscritto a fondo preesistenti a ripartizione o a capitalizzazione collettiva, e a prestazioni definite, un diritto sulla posizione previdenziale, che, nella fattispecie, viene riferito sia ai contributi dallo stesso versati che a quelli versati dal datore di lavoro.
A favore di tale soluzione, sul fronte del dato normativo, viene anzitutto rammentato che l'art. 10 del d.lgs. n. 124/1993, nel disciplinare la portabilità della posizione individuale, non opera distinzione alcuna fra i fondi pensione negoziali di nuova istituzione e i fondi preesistenti, né, d'altra parte, fa riferimento all'art. 10 l'art. 18 (norme finali) che analiticamente esclude l'applicazione di alcune previsioni del decreto alle forme pensionistiche preesistenti. Le Sezioni Unite rilevano come la distinzione, non introdotta in maniera espressa dal legislatore, non può essere ricavata assumendo che la normativa sulla portabilità, riferendosi alla “posizione individuale” (art. 10, lett. c), non può essere applicata ai fondi preesistenti a ripartizione o a capitalizzazione collettiva nei quali sarebbe impossibile enucleare una posizione individuale. In tal senso, evidenzia la sentenza in commento, si confonde la nozione di “posizione previdenziale individuale” e di “conto individuale”, posto che la prima, quale risultante - quanto meno - dei finanziamenti sia del lavoratore che del datore di lavoro, è enucleabile in tutte le forme pensionistiche anche preesistenti, mentre la seconda attiene alla tecnica, tra le varie possibili, per la raccolta, contabilizzazione e gestione delle risorse dei fondi a capitalizzazione individuale. In definitiva, ai sensi delle Sezioni Unite, la posizione previdenziale, nei fondi preesistenti, anche se può essere non determinata e di non facile determinazione, risulta, comunque, in ogni caso determinabile in “applicazione di regole e metodi delle specializzazioni matematiche che si occupano del settore assicurativo-previdenziale”, con la conseguenza che deve riconoscersi il diritto alla portabilità della stessa quali che siano le caratteristiche strutturali del fondi preesistente.
Merita ancora di essere evidenziato che la sentenza in commento prende anche in considerazione, seppure incidentalmente, il decreto legislativo n. 252/2005 (subentrato al d.lgs. n. 124/1993, che resta però il solo applicabile ratione temporis alla controversia), per escludere la validità dell'argomentazione, avanzata dalla difesa del fondo, giusta la quale il legislatore del 2005, dettando una disciplina transitoria per i fondi preesistenti al 1992, avrebbe in qualche modo dato atto che la normativa previgente non si applicava a quei fondi. Ad avviso delle Sezioni Unite, dall'attuale disciplina transitoria non è dato evincere che solo dal 1° gennaio 2007 (data di entrata in vigore del d.lgs. n. 252/2005) la portabilità è diventata operativa, ma anzi il carattere circoscritto delle deroghe ammesse comproverebbe ulteriormente l'insussistenza di una incompatibilità sistemica fra portabilità e fondi a ripartizione o a capitalizzazione collettiva. Osservazioni
Nell'affrontare il tema oggetto della sentenza può essere utile brevemente ricordare che, al momento dell'intervento legislativo del 1992-1993, fondi pensione per dipendenti privati erano diffusi soprattutto nel settore del credito, quali forme per lo più aziendali di tutela pensionistica integrativa e aggiuntiva rispetto alla pensione dell'AGO. Fonte istitutiva e normativa di tali fondi era, quasi in via esclusiva, la contrattazione collettiva, nell'ambito di una cornice legislativa assai scarna (incentrata soprattutto nelle disposizioni degli artt. 2117 e 2123 c.c.). Il modello tipico di fondo pensione preesistente, era quello a prestazioni definite, mentre erano assai meno diffusi fondi pensione a contribuzione definita. La “prestazione definita” comporta, sostanzialmente, il riconoscimento all'iscritto di un trattamento che, unito a quello pubblico di base, realizza un livello di copertura complessiva predeterminato (es.: percentuale dell'ultima retribuzione, sensibilmente superiore rispetto alla percentuale raggiunta con la sola prestazione di base), con impegno, fra l'altro, del fondo a tener fermo tale livello anche in ipotesi di riduzione dei livelli della pensione integrata (quella dell'AGO: come avvenuto con le riforme degli anni novanta), con conseguente sopportazione da parte del fondo – e delle parti istitutive – dei maggiori oneri di finanziamento necessari. Il legislatore del 1993, mentre aveva escluso che i fondi pensione di nuova istituzione per lavoratori subordinati (c.d. fondi pensione negoziali) potessero adottare tale modello, optando quindi per lo schema del fondo a contribuzione definita e a capitalizzazione individuale (sistema in cui il rischio, di tipo finanziario, è posto a carico dell'aderente), ha salvaguardato, entro certi limiti, i regimi preesistenti a prestazione definita, anche a ripartizione, che hanno potuto continuare a operare secondo tali modalità, sebbene con limitato riguardo ai c.d. “vecchi iscritti” (lavoratori iscritti a un fondo preesistente alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 124 cit.: cfr. art. 18, commi 7 e 8).
Tanto premesso, si può rilevare come già il decreto legislativo n. 124/1993, al di là del dato letterale, venisse per lo più inteso nel senso che, in linea di principio, il riconoscimento di prerogative sulla posizione previdenziale individuale in via di formazione (diritto al trasferimento e al riscatto) fosse norma generale di tutela, riferibile anche ai fondi preesistenti, ma che in determinate ipotesi, la particolare struttura degli stessi e la scelta legislativa di garantirne comunque la sopravvivenza (art. 18 d.lgs. n. 124 cit.), rendesse legittime deviazioni, soprattutto laddove si rinvenissero forme di tutela alternative per l'iscritto. Ecco che quindi, in un'ottica di bilanciamento degli interessi in gioco, in dottrina (già all'epoca P. Sandulli, Previdenza complementare, in Digesto Discipline Privatistiche Sez. comm., 1995, pag. 243 ss.), in giurisprudenza (cfr. le sentenze richiamate dalle stesse S.U.) e da parte della stessa Covip (cfr. orientamenti 15 febbraio 2001) è stato affermato che, in determinate fattispecie, è coerente escludere il diritto alla portabilità (se non nei limiti già previsti a livello statutario). Si consideri, per esempio, che un eventuale esercizio ampio e sistematico del diritto alla portabilità nell'ambito di un fondo a ripartizione può minarne le stesse basi costitutive, con nocumento dell'intera platea dei destinatari della tutela (in tal senso, potranno essere opportuni distinguo fra fattispecie, assai eterogenee, richiamate in maniera indifferenziata nella vertenza, quali la ripartizione e la capitalizzazione collettiva). Si consideri, per altro verso, che in molti casi gli iscritti a fondi preesistenti godono di forme di tutela diverse, ma equivalenti, rispetto alla portabilità dei contributi, quali per esempio la possibilità di accedere alla prestazione pensionistica al momento della integrazione dei requisiti anagrafici.
La necessità di una considerazione “a parte” di tali regimi pensionistici emerge anche, indirettamente, dal fatto che, il legislatore del d.lgs. n. 252/2005, ha dovuto regolare il conferimento tacito del Tfr nei fondi preesistenti diversi da quelli a contribuzione definita sulla base di soluzioni, per gli stessi, derogatorie: tali fondi hanno potuto “accogliere” il Tfr dei lavoratore interessati nella misura in cui si siano dotati di apposita, distinta “sezione” a contribuzione definita, nell'ambito della quale il Tfr degli iscritti, quale fonte di contribuzione, si mantenga separato (cfr. art. 23 comma 4-bis d.lgs. n. 252/2005 e art. 4 D.M. n. 62/2005).
Ancora, merita di essere considerato come i fondi preesistenti in discorso, in quanto operativi nei riguardi dei soli c.d. vecchi iscritti, si rivolgono per lo più a lavoratori destinatari, in maniera del tutto prevalente, della pensione di base c.d. retributiva: evidentemente, per tali lavoratori l'esigenza di “assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale” (art. 1 d.lgs. n. 124/1993) ha un significato diverso rispetto a coloro che vedranno liquidata la pensione dell'AGO con il metodo c.d. contributivo; il che può giustificare alcune deviazioni anche sul fronte considerato.
Tali rilievi, uniti al fatto che i fondi preesistenti non a contribuzione definita sono sistemi ad esaurimento (in quanto non è ammesso l'ingresso di nuovi iscritti), portano a ritenere che l'autorevole intervento delle Sezioni Unite non renda impraticabili ulteriori approfondimenti della questione in commento, soprattutto se considerata nell'ambito di vicende in cui emergano aspetti rilevanti nell'ottica del giudizio di bilanciamento degli interessi in gioco. |