Il regime transitorio delle situazioni giuridiche pendenti in caso d’introduzione di un nuovo termine di decadenza
18 Settembre 2015
Massima
L'introduzione di un termine di decadenza prima non previsto ha efficacia anche sulle situazioni soggettive pendenti, ma, in forza dell'art. 252 disp. att. c.c., il termine decorre dall'entrata in vigore della modifica legislativa. Nella specie, il termine triennale di decadenza introdotto dalla legge 25 luglio 1997, n. 238, è applicabile alle domande d'indennizzo per epatiti post trasfusionali contratte e accertate prima del 28 luglio 1997, data di entrata in vigore della nuova disciplina, ma con decorrenza da questa data. Il caso
Con ricorso contro il Ministero della salute, gli eredi di un soggetto colpito da epatite post trasfusionale adivano il giudice del lavoro per ottenere l'indennizzo previsto dalla L. n. 210 del 1992 in favore dei soggetti danneggiati da trasfusione di emoderivati. Il ricorso si fondava sul presupposto che alla domanda amministrativa non fosse applicabile il termine di decadenza triennale introdotto dalla L. n. 238 del 1997, di modifica della L. n. 210 del 1992, ma il termine di prescrizione decennale. Il giudice rigettava la domanda per scadenza del termine, ritenendo applicabile il termine di decadenza triennale, decorrente dalla scoperta della patologia. La corte d'appello confermava la sentenza di primo grado, ritenendo, tuttavia, che il termine decorresse dalla data di entrata in vigore della L. 238 del 1997. Gli eredi ricorrevano per cassazione, contestando l'applicabilità del termine di decadenza triennale. La questione
Le sezioni unite compongono il contrasto giurisprudenziale sorto in merito all'applicabilità, o meno, del termine di decadenza introdotto dalla L. n. 238 del 1997 alle ipotesi di epatiti post trasfusionali contratte e accertate prima dell'entrata in vigore della suddetta legge. Le soluzioni giuridiche
Per una prima soluzione – più risalente (cfr. Cass. 22 marzo 2010, n. 6923; 8 maggio 2004, n. 8781; 17 aprile 2004, n. 7341; 23 aprile 2003, n. 6500; 27 aprile 2001, n. 6130) e riaffermata da Cass. 12 maggio 2014, n. 10215 – alle domande d'indennizzo per epatiti post trasfusionali verificatesi prima della L. n. 238 del 1997 continua ad applicarsi il termine di prescrizione decennale, decorrente dalla conoscenza del danno. Alla base v'è il principio d'irretroattività della legge, espresso dall'art. 11 disp. prel. c.c., secondo cui, in accordo con la teoria dei dirittiquesiti, la nuova disciplina è inapplicabile, non solo ai rapporti esauriti prima della sua entrata in vigore, ma anche a quelli sorti in precedenza e ancora pendenti, qualora l'applicazione retroattiva determini il disconoscimento degli effetti già verificatesi, ovvero la privazione di efficacia delle conseguenze attuali e future. Cfr. Cass. 3 luglio 2013, n. 16620; 28 settembre 2002, n. 14073; 3 marzo 2000, n. 2433; 18 maggio 1999, n. 4805. Si esclude l'applicazione dell'art. 252 disp. att. c.c., che avrebbe a oggetto il diverso fenomeno dell'abbreviazione dei termini di prescrizione e di usucapione, e non quello dell'introduzione di un nuovo termine di decadenza, prima non previsto.
Un secondo orientamento – prevalente negli ultimi anni (cfr. Cass. 12 giugno 2014, n. 13355; 28 marzo 2014, n. 7392; 26 febbraio 2014, n. 4591; 20 febbraio 2014, n. 4051; 10 luglio 2013, n. 17131; 3 febbraio 2012, n. 1635; 9 febbraio 2009, n. 25746; sez.un., 7 marzo 2008, n. 6173) – ritiene, invece, che il termine triennale di decadenza sia applicabile anche alle epatiti contratte e accertate in epoca anteriore alla L. n. 238 del 1997, con decorrenza dall'entrata in vigore della nuova disciplina. Tale interpretazione, accolta dalla pronuncia in commento, si fonda sull'applicazione dell'art. 252 disp. att. c.c.
Le sezioni unite muovono dal principio – affermato da Corte cost. 2 febbraio 2014, n. 69 e Corte cost. 10 maggio 2005, n. 191 – secondo cui la retroattività della legge, il cui divieto non ha rilevanza costituzionale, salvo che per la materia penale, deve trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrastare con altri valori costituzionalmente protetti. L'efficacia retroattiva della legge trova un limite nell'affidamento dei consociati nella certezza dell'ordinamento giuridico, il mancato rispetto del quale si risolve in irragionevolezza e illegittimità della norma retroattiva. La stessa Corte Costituzionale ritiene, però, che la copertura offerta al principio dell'affidamento dall'art. 3 Cost. non sia posta in termini assoluti e inderogabili, ammettendosi una “modifica in senso peggiorativo in presenza di un interesse pubblico che imponga interventi normativi diretti a incidere su posizioni soggettive consolidate, a condizione che sia rispettato il limite della proporzionalità dell'incisione rispetto agli obiettivi perseguiti”. Cfr. Corte cost. 31 marzo 2015, n. 56; 27 gennaio 2011, n. 31; 22 ottobre 2010, n. 302; 24 luglio 2009, n. 236. Con l'introduzione di un nuovo termine di decadenza, l'interesse del privato non si traduce in una situazione giuridica consolidata, non potendosi configurare un diritto alla conservazione del termine prescrizionale, ma un semplice affidamento nella possibilità di fruirne. Tale affidamento, tuttavia, non è compromesso dall'efficacia generale della disciplina introdotta dalla L. n. 238 del 1997. In forza dell'art. 252 disp. att. c.c., per coloro che già si trovavano nella situazione richiesta dalla legge per far valere il diritto, poi sottoposto a decadenza, non si determina una situazione giuridica diversa, se non per un fatto: il termine decorre dal momento dell'entrata in vigore della legge che l'ha previsto. Osservazioni
Le sezioni unite risolvono la questione di diritto intertemporale – apparentemente specifica, ma di grande rilevanza pratica – relativa all'applicabilità, in assenza di una speciale disciplina transitoria, dell'art. 1 della L. n. 238 del 1997 ai diritti sorti prima della sua entrata in vigore, in esecuzione dell'art. 252 disp. att. c.c.
Parte della dottrina e della giurisprudenza ritiene che l'art. 252 disp. att. c.c. non presenti caratteristiche tali da assurgere a regola generale. Dal tenore della disposizione – che si riferisce ai soli termini di prescrizione e di usucapione, al fine di risolvere complessi e specifici problemi di diritto transitorio nel passaggio fra leggi anteriori al codice e codice medesimo, ma non fra questo e leggi posteriori – deriverebbe la natura eccezionale della norma, insuscettibile d'applicazione analogica e inidonea a derogare al principio d'irretroattività della legge. In dottrina v. A. Rondo, Le sezioni unite sulla prescrizione dei contributi previdenziali, in ADL., 2008, 1192 ss, che richiama Cass. 5 giugno 1991, n. 6347 e Cass. 23 maggio 2003, n. 8146, Foro it., 2004, I, 192, con nota di G. Albenzio, a proposito del circoscritto ambito applicativo della disposizione, non suscettibile di analogia.
La decisione delle sezioni unite si allinea, invece, alla tesi più favorevole agli enti previdenziali, in accordo con lo spirito dell'art. 252 disp. att. c.c., come ricavabile da un attento esame della norma. Invero, al primo comma la norma non disciplina la sola modifica dei termini di prescrizione e usucapione, ma si riferisce espressamente alle ipotesi di apposizione di un termine all'esercizio di un diritto. Se, come stabilito dall'art. 2964 c.c., la decadenza avviene “quando un diritto deve esercitarsi entro un determinato termine”, non v'è ragione per cui il principio non possa essere applicato in via diretta anche con riferimento a questo istituto, senza dover ricorrere al procedimento per analogia. È la norma stessa, poi, che, al secondo comma, attribuisce portata estensiva generale al principio in essa contenuto, affermando che “la disposizione si applica in ogni altro caso in cui l'acquisto di un diritto è subordinato al decorso di un termine più breve di quello stabilito dalle leggi anteriori”. L'obiezione che vuole la norma applicabile ai soli casi di acquisto di un diritto, mentre la decadenza ne comporterebbe la perdita, non appare dirimente. La critica s'incentra sul soggetto onerato dalla decadenza, senza considerare che il titolare della situazione giuridica passiva, decorso il termine, è liberato dal proprio obbligo, potendo paralizzare l'eventuale tardiva richiesta del danneggiato. A ciò si aggiunga che la decadenza, al contrario di quanto previsto dall'art. 2934 c.c. per la prescrizione, non comporta l'estinzione del diritto, poiché con essa il legislatore disciplina soltanto la modalità del suo esercizio.
Come affermato dalla giurisprudenza di legittimità e da quella costituzionale (cfr. Cass. sez. un. 7 marzo 2008, n. 6173 e Corte cost. 3 febbraio 1994, n. 20), vista la sede in cui è collocato, l'intitolazione del capo e l'ampiezza della previsione, l'art. 252 disp. att. c.c. è espressione di un principio generale dell'ordinamento giuridico dello Stato, che regola lo ius superveniens in materia di termini per l'esercizio di un diritto, ovvero per la prescrizione o per l'usucapione. Esso è applicabile anche all'esercizio dei diritti sorti in precedenza e alle prescrizioni e usucapioni in corso, ma con decorrenza dall'entrata in vigore della nuova disciplina. In tal senso, cfr. anche Cass. 10 luglio 2013, n. 17131; 19 marzo 2010, n. 6705.
In assenza di una speciale disciplina transitoria che prevalga, per il principio di specialità, sulla regola generale di cui all'articolo 252 disp. att. c.c., nulla esclude, pertanto, l'applicabilità del principio ivi contenuto a tutte le ipotesi di successioni di termini per l'esercizio di un diritto. Risulta, così, assicurato, il corretto bilanciamento fra l'interesse del singolo a non vedersi privato di un diritto, per causa a lui non imputabile, e l'esigenza di una sollecita definizione di controversie a elevato impatto sociale, rispetto alle quali non esiste solo una generica esigenza di certezza giuridica, comune a tutto il diritto civile, ma anche un'esigenza specifica che attiene alla certezza degli impegni di spesa gravanti sui bilanci pubblici. |