La promettente ma "breve vita" della negoziazione assistita in materia lavoro
18 Dicembre 2014
Il Decreto Legge n. 132/2014 (il cd. Salva Italia) aveva introdotto una misura che ai più appariva un valido meccanismo per deflazionare il contenzioso e alleggerire l'apparato burocratico di una delle procedure storiche quali la conciliazione in sede cd. protetta. Infatti alle normali tre sedi protette ossia la Sede sindacale, la Direzione Territoriale del Lavoro ed il Tribunale Lavoro, ne veniva affiancata una da svolgersi davanti ai legali delle parti che venivano rivestiti di quella funzione di garanzia che la legge sino ad oggi riconosceva alle tre citate opzioni. L'evoluzione storica della conciliazione in materia giuslavoristica Il primo esempio di attività conciliativa risale al collegio dei probiviri, istituito dalla legge 15 giugno 1893 n. 295, ipotesi poi cancellata cancellata con il regio decreto 26 febbraio 1928 n. 471. Nel codice del 1942, emanato nella vigenza dell'ordinamento corporativo, nel quale le associazioni sindacali avevano la rappresentanza legale di tutte le categorie dei datori di lavoro e dei lavoratori, la denuncia delle lite a quelle associazioni ed il tentativo di conciliazione in sede sindacale costituivano presupposti per l'esercizio dell'azione relativa alle controversie di lavoro (art. 430 c.p.c.). A seguito della soppressione dell'ordinamento corporativo, la norma in questione è stata travolta e sostituita da un'interpretazione giurisprudenziale e dottrinale che ha ridotto il tentativo di conciliazione, previsto da numerosi contratti e accordi collettivi come obbligatorio, ad adempimento meramente facoltativo. Con lo Statuto dei Lavoratori vengono poi attribuite funzioni di conciliazione agli uffici provinciali e regionali del lavoro con riferimento alle controversie in materia di licenziamento individuale e a quelle derivanti dall'irrogazione di una sanzione disciplinare (art. 7, legge 20 maggio 1970, n. 300). L'istituto della conciliazione subisce una nuova e importante modificazione ad opera della legge di riforma del processo del lavoro, n. 533 dell'11 agosto 1973. In questo contesto viene definito compiutamente come tentativo stragiudiziale di conciliazione, a carattere facoltativo, che può svolgersi tanto in sede amministrativa quanto in sede sindacale. L'art. 7 della Legge n. 604/1966 in materia di licenziamenti individuali ha previsto, accanto alle procedure sindacali, la possibilità di esperire il tentativo di conciliazione dinanzi all'Ufficio provinciale del lavoro. Il nuovo art. 410 c.p.c., introdotto a seguito della riforma del processo del lavoro, ha esteso questa ipotesi alla generalità delle controversie di lavoro, fermo restando il carattere facoltativo della procedura. Gli interventi legislativi di riforma del 1998 introducono una profonda modifica: l'istituto della conciliazione in materia di lavoro diventa obbligatorio e dotato di una specifica rilevanza sul piano processuale. Le parti non possono adire il giudice se prima non tentano di risolvere la controversia in questa sede (condizione di procedibilità della domanda giudiziale). Quanto precede al fine di creare un efficace meccanismo alternativo al processo per decongestionare il traffico giudiziario. Attualmente, dopo l'entrata in vigore della Legge 183/2010 (cd. “Collegato lavoro”) il tentativo di conciliazione è tornato ad essere facoltativo, con la sola eccezione dei contratti certificati per cui permane l'obbligatorietà presso la sede che ha effettuato la certificazione prima dell'azione in giudizio. Ed infatti l'art. 31 del Collegato Lavoro ha quindi rimesso alla facoltà delle parti la conciliazione
Sulla conciliazione in sede sindacale Di particolare importanza sono i requisiti formali e sostanziali che deve avere un accordo tra datore di lavoro e lavoratore per poter essere considerato definitivo e non impugnabile. Per costante giurisprudenza della Suprema Corte, una conciliazione, per essere qualificata come "sindacale", ai sensi degli artt. 411, c. 3 c.p.c., nonché 2113, c. 4 c.c., deve risultare da un documento sottoscritto contestualmente dalle parti nonché dal rappresentante sindacale di fiducia del lavoratore. Il carattere dell'inoppugnabilità e della definitività della conciliazione stessa sussiste quindi solo qualora abbia partecipato attivamente alla conciliazione e sottoscritto la transazione stessa il sindacalista appartenente all'organizzazione sindacale alla quale risulti iscritto il lavoratore; deve essere quindi presente il sindacalista che possa considerarsi rappresentante "di fiducia" del lavoratore. In considerazione di ciò, e trascurando il caso della conciliazione intervenuta in sede giudiziale, possiamo evidenziare due ipotesi: Nel primo caso l'accordo raggiunto con l'assistenza del mediatore nel rispetto delle procedure definite dal D.Lgs. 28/2010 può essere equiparato a tutti gli effetti a un accordo sottoscritto “in sede sindacale”, in quanto con la presenza attiva e la contestuale sottoscrizione del rappresentante sindacale, è pertanto già perfettamente conforme al disposto dell'art. 2113 c.c. Nella seconda ipotesi, invece, l'eventuale accordo raggiunto tra le parti con l'ausilio del mediatore per essere reso definitivo e non impugnabile dovrà essere nuovamente sottoscritto, a istanza congiunta delle medesime parti, avanti la Commissione Provinciale di conciliazione competente territorialmente al fine di ottenere la ratifica del medesimo. Si tratterà comunque di un passaggio puramente formale dal momento che più volte la Cassazione si è espressa nel senso che l'organo collegiale non possa esimersi dal ratificare la volontà delle parti espressa nel verbale di accordo di cui si chiede la ratifica.
La negoziazione assistita Una prima fase è rappresentata dalla cosiddetta Informativa. In particolare all'atto del conferimento dell'incarico, ciascun avvocato deve informare il proprio cliente della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita. L'invito deve:
Dal momento della comunicazione dell'invito (ovvero della sottoscrizione della convenzione) si producono sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data è impedita, peruna sola volta, la decadenza, ma se l'invito è rifiutato o non è accettato entro 30 giorni, la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza decorrente dal rifiuto, dalla mancata accettazione nel termine ovvero dalla dichiarazione di mancato accordo certificata dagli avvocati. Qualora la procedura abbia buon esito verrà stipulata la cosiddetta Convenzione di negoziazione, ossia l'accordo mediante il quale le parti convengono di “cooperare in buona fede e con lealtà” per risolvere in via amichevole la controversia tramite l'assistenza di avvocati. In particolare, la convenzione di negoziazione:
L'assistenza degli avvocati è, pertanto, obbligatoria e sottolinea la novità dell'istituto in esame rispetto alle altre forme di conciliazione previste.
Lo svolgimento della negoziazione può portare, come ovvio, ad un risultato positivo o negativo. In caso di esito positivo l'accordo raggiunto:
Sulla conversione in legge
In conclusioni Pertanto accanto alle materie già in precedenza escluse dal campo di applicazione della negoziazione assistita, ossia si va oggi ad aggiungere la materia giuslavoristica che pertanto rimarrà ancorata ad una procedura conciliativa esperibile nelle sole sedi da sempre previste (Sindacato, Direzione Territoriale del Lavoro e Tribunale).
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