La promettente ma "breve vita" della negoziazione assistita in materia lavoro

Marco Giardetti
18 Dicembre 2014

Il Decreto Legge n. 132/2014 (il cd. Salva Italia) “aveva” introdotto una misura che ai più appariva un valido meccanismo per deflazionare il contenzioso e alleggerire l'apparato burocratico di una delle procedure storiche quali la conciliazione in sede cd. protetta. L'Autore con il presente elaborato delinea il quadro della questione partendo dall'evoluzione storica della conciliazione in materia giuslavoristica - in sede sindacale, illustra la negoziazione assistita e conclude con la conversione in legge del decreto.

Il Decreto Legge n. 132/2014 (il cd. Salva Italia) aveva introdotto una misura che ai più appariva un valido meccanismo per deflazionare il contenzioso e alleggerire l'apparato burocratico di una delle procedure storiche quali la conciliazione in sede cd. protetta. Infatti alle normali tre sedi protette ossia la Sede sindacale, la Direzione Territoriale del Lavoro ed il Tribunale Lavoro, ne veniva affiancata una da svolgersi davanti ai legali delle parti che venivano rivestiti di quella funzione di garanzia che la legge sino ad oggi riconosceva alle tre citate opzioni.
In particolare con il Decreto Legge n. 132/2014 recante "Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione e altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile", (poi convertito con modificazioni in Legge n. 162/2014), si introducevano nell'ordinamento “disposizioni idonee a consentire, da un lato, la riduzione del contenzioso civile, attraverso la possibilità del trasferimento in sede arbitrale di procedimenti pendenti dinanzi all'autorità giudiziaria, d'altro lato, la promozione, in sede stragiudiziale, di procedure alternative alla ordinaria risoluzione delle controversie nel processo”.
La risoluzione dei conflitti e delle controversie in via stragiudiziale viene favorita dall'introduzione di un nuovo istituto: la procedura di negoziazione assistita da un avvocato, la cui finalità è “risolvere in via amichevole” una controversia civile con il fine quindi di portare la trattazione di parte delle controversie destinate ad essere oggetto di una procedura diversa da quelle canoniche, sino ad ora vigenti.

L'evoluzione storica della conciliazione in materia giuslavoristica
Il legislatore italiano ha sempre manifestato un favor rispetto alle conciliazioni riguardanti le controversie di lavoro.

Il primo esempio di attività conciliativa risale al collegio dei probiviri, istituito dalla legge 15 giugno 1893 n. 295, ipotesi poi cancellata cancellata con il regio decreto 26 febbraio 1928 n. 471.

Nel codice del 1942, emanato nella vigenza dell'ordinamento corporativo, nel quale le associazioni sindacali avevano la rappresentanza legale di tutte le categorie dei datori di lavoro e dei lavoratori, la denuncia delle lite a quelle associazioni ed il tentativo di conciliazione in sede sindacale costituivano presupposti per l'esercizio dell'azione relativa alle controversie di lavoro (art. 430 c.p.c.).

A seguito della soppressione dell'ordinamento corporativo, la norma in questione è stata travolta e sostituita da un'interpretazione giurisprudenziale e dottrinale che ha ridotto il tentativo di conciliazione, previsto da numerosi contratti e accordi collettivi come obbligatorio, ad adempimento meramente facoltativo.

Con lo Statuto dei Lavoratori vengono poi attribuite funzioni di conciliazione agli uffici provinciali e regionali del lavoro con riferimento alle controversie in materia di licenziamento individuale e a quelle derivanti dall'irrogazione di una sanzione disciplinare (art. 7, legge 20 maggio 1970, n. 300).

L'istituto della conciliazione subisce una nuova e importante modificazione ad opera della legge di riforma del processo del lavoro, n. 533 dell'11 agosto 1973. In questo contesto viene definito compiutamente come tentativo stragiudiziale di conciliazione, a carattere facoltativo, che può svolgersi tanto in sede amministrativa quanto in sede sindacale.

L'art. 7 della Legge n. 604/1966 in materia di licenziamenti individuali ha previsto, accanto alle procedure sindacali, la possibilità di esperire il tentativo di conciliazione dinanzi all'Ufficio provinciale del lavoro.

Il nuovo art. 410 c.p.c., introdotto a seguito della riforma del processo del lavoro, ha esteso questa ipotesi alla generalità delle controversie di lavoro, fermo restando il carattere facoltativo della procedura.

Gli interventi legislativi di riforma del 1998 introducono una profonda modifica: l'istituto della conciliazione in materia di lavoro diventa obbligatorio e dotato di una specifica rilevanza sul piano processuale. Le parti non possono adire il giudice se prima non tentano di risolvere la controversia in questa sede (condizione di procedibilità della domanda giudiziale). Quanto precede al fine di creare un efficace meccanismo alternativo al processo per decongestionare il traffico giudiziario.

Attualmente, dopo l'entrata in vigore della Legge 183/2010 (cd. “Collegato lavoro”) il tentativo di conciliazione è tornato ad essere facoltativo, con la sola eccezione dei contratti certificati per cui permane l'obbligatorietà presso la sede che ha effettuato la certificazione prima dell'azione in giudizio.

Ed infatti l'art. 31 del Collegato Lavoro ha quindi rimesso alla facoltà delle parti la conciliazione

Sulla conciliazione in sede sindacale
Una delle sedi elettive della conciliazione in materia lavoro è la sede sindacale.
Il verbale di accordo redatto ivi redatto, verrà poi depositato presso la DPL competente, che provvederà a depositarlo presso la cancelleria del tribunale della circoscrizione in cui è stato redatto.

Di particolare importanza sono i requisiti formali e sostanziali che deve avere un accordo tra datore di lavoro e lavoratore per poter essere considerato definitivo e non impugnabile.

Per costante giurisprudenza della Suprema Corte, una conciliazione, per essere qualificata come "sindacale", ai sensi degli artt. 411, c. 3 c.p.c., nonché 2113, c. 4 c.c., deve risultare da un documento sottoscritto contestualmente dalle parti nonché dal rappresentante sindacale di fiducia del lavoratore.

Il carattere dell'inoppugnabilità e della definitività della conciliazione stessa sussiste quindi solo qualora abbia partecipato attivamente alla conciliazione e sottoscritto la transazione stessa il sindacalista appartenente all'organizzazione sindacale alla quale risulti iscritto il lavoratore; deve essere quindi presente il sindacalista che possa considerarsi rappresentante "di fiducia" del lavoratore.

In considerazione di ciò, e trascurando il caso della conciliazione intervenuta in sede giudiziale, possiamo evidenziare due ipotesi:
- nel procedimento di conciliazione il lavoratore è assistito dal rappresentante sindacale dell'organizzazione a cui è iscritto;
- nel procedimento di conciliazione il lavoratore è solo e comunque non è assistito da un rappresentante sindacale.

Nel primo caso l'accordo raggiunto con l'assistenza del mediatore nel rispetto delle procedure definite dal D.Lgs. 28/2010 può essere equiparato a tutti gli effetti a un accordo sottoscritto “in sede sindacale”, in quanto con la presenza attiva e la contestuale sottoscrizione del rappresentante sindacale, è pertanto già perfettamente conforme al disposto dell'art. 2113 c.c.

Nella seconda ipotesi, invece, l'eventuale accordo raggiunto tra le parti con l'ausilio del mediatore per essere reso definitivo e non impugnabile dovrà essere nuovamente sottoscritto, a istanza congiunta delle medesime parti, avanti la Commissione Provinciale di conciliazione competente territorialmente al fine di ottenere la ratifica del medesimo. Si tratterà comunque di un passaggio puramente formale dal momento che più volte la Cassazione si è espressa nel senso che l'organo collegiale non possa esimersi dal ratificare la volontà delle parti espressa nel verbale di accordo di cui si chiede la ratifica.

La negoziazione assistita
Il Decreto Salva Italia, mirava ad introdurre anche per la materia giuslavoristica uno strumento di conciliazione alternativo alle tre sedi indicate sopra, che avesse comunque la stessa efficacia. Sarà quindi interessante oltre che utile esaminare la procedura prevista per la negoziazione assistita per comprendere quale grande occasione è stata mancata da parte del legislatore nel non estendere la stessa, o meglio nel decidere di non più estenderla, anche alla materia lavoro.

Una prima fase è rappresentata dalla cosiddetta Informativa.

In particolare all'atto del conferimento dell'incarico, ciascun avvocato deve informare il proprio cliente della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita.
Di conseguenza la parte sceglie di provare la nuova procedura e il legale formula alla controparte un invito a stipulare una convenzione di negoziazione.

L'invito deve:

  • indicare l'oggetto della controversia (che non può riguardare diritti indisponibili, né, come aggiunto in sede di conversione, vertere in materia di lavoro;
  • contenere l'avvertimento che la mancata risposta all'invito entro trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto può essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli art. 96 e 642, c. 1, c.p.c.;
  • contenere la certificazione dell'autografia della firma apposta all'invito ad opera dell'avvocato che formula l'invito.

Dal momento della comunicazione dell'invito (ovvero della sottoscrizione della convenzione) si producono sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data è impedita, peruna sola volta, la decadenza, ma se l'invito è rifiutato o non è accettato entro 30 giorni, la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza decorrente dal rifiuto, dalla mancata accettazione nel termine ovvero dalla dichiarazione di mancato accordo certificata dagli avvocati.

Qualora la procedura abbia buon esito verrà stipulata la cosiddetta Convenzione di negoziazione, ossia l'accordo mediante il quale le parti convengono di “cooperare in buona fede e con lealtà” per risolvere in via amichevole la controversia tramite l'assistenza di avvocati.

In particolare, la convenzione di negoziazione:

  • deve indicare il termine concordato dalle parti per l'espletamento della procedura, in ogni caso non inferiore a un mese e, come aggiunto in sede di conversione, non superiore a tre mesi, prorogabile per ulteriori trenta giorni su accordo tra le parti;
  • deve altresì indicare l'oggetto della controversia; al riguardo si segnala che tale oggetto non deve riguardare diritti indisponibili, né, come aggiunto in sede di conversione, vertere in materia di lavoro;
  • i difensori non possono essere nominati arbitri (art 810 c.p.c.) “nelle controversie aventi il medesimo oggetto o connesse”.
  • va redatta in forma scritta; ciò a pena di nullità;
  • va sottoscritta dalla parti e dagli avvocati, i quali certificano l'autografia delle sottoscrizioni;

L'assistenza degli avvocati è, pertanto, obbligatoria e sottolinea la novità dell'istituto in esame rispetto alle altre forme di conciliazione previste.
Il legislatore ha poi dettato delle vere e proprie regole di comportamento in relazione alla procedura di negoziazione.
In particolare è previsto un dovere di lealtà che impone agli avvocati, nell'attività volta a risolvere in via amichevole la controversia, di comportarsi con lealtà.
Non meno importante è il dovere di riservatezza. Ed infatti, agli avvocati e alle parti è fatto obbligo di tenere riservate le informazioni ricevute. In particolare:

  • le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso del procedimento non possono essere utilizzate nel giudizio avente in tutto o in parte il medesimo oggetto;
  • i difensori delle parti e coloro che partecipano al procedimento non possono essere tenuti a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite;
  • a tutti coloro che partecipano al procedimento si applicano le disposizioni dell'art. 200 del c.p.p. e si estendono le garanzie previste per il difensore dalle disposizioni dell'art. 103 c.p.p. in quanto applicabili.

Lo svolgimento della negoziazione può portare, come ovvio, ad un risultato positivo o negativo.
In caso di esito negativo ci sarà il cosiddetto mancato accordo e verrà redatta una dichiarazione in tal senso certificata dagli avvocati.

In caso di esito positivo l'accordo raggiunto:
- dovrà essere conforme alle norme imperative e all'ordine pubblico;
- è sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono;
- costituisce così titolo esecutivo e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale.

Sulla conversione in legge
Come esposto sopra, in sede di conversione in legge, è sparita l'applicabilità dell'istituto della negoziazione assistita alle controversie relative ai rapporti di lavoro.
Tale decisione, obiettivamente discutibile nell'ottica di deflazionamento dell'apparato burocratico del nostro paese (le aule delle Direzioni Territoriali del Lavoro sono quotidianamente intasate da centinaia di procedure conciliate), è stata salutata con favore dal Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro che ha rimarcato il fatto che i diritti indisponibili devono essere necessariamente affidati a chi garantisce terzietà e che esistono già le Commissioni di Certificazione, Conciliazione e Arbitrato che sono in grado di garantire adeguate tutele soprattutto in una materia così delicata come quella in cui si tratta di attuare rinunce o transazione in materia di lavoro.
Dal testo del decreto legge di riforma della giustizia viene così eliminato l'articolo 7 (Conciliazione avente per oggetto diritti del prestatore di lavoro).
In particolare la norma prevedeva l'aggiunta all'articolo 2113 del codice civile, quarto comma, dopo le parole "del codice di procedura civile" le seguenti: "o conclusa a seguito di una procedura di negoziazione assistita da un avvocato".
Pertanto vengono meno i positivi intenti riformatori volti a creare una forma di conciliazione protetta del tutto equiparabile a quelle già esistenti. giustificata sulla base del rilievo che gli avvocati hanno comunque l'obbligo di verificare la conformità dell'accordo alle norme imperative e dell'ordine pubblico.

In conclusioni

Pertanto accanto alle materie già in precedenza escluse dal campo di applicazione della negoziazione assistita, ossia
- i procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione;
- i procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all'articolo 696-bis del codice di procedura civile;
- i procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata;
- i procedimenti in camera di consiglio;
- l'azione civile esercitata nel processo penale.

si va oggi ad aggiungere la materia giuslavoristica che pertanto rimarrà ancorata ad una procedura conciliativa esperibile nelle sole sedi da sempre previste (Sindacato, Direzione Territoriale del Lavoro e Tribunale).

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