Il giudizio di proporzionalità delle sanzioni disciplinari

Daniela Bracci
20 Aprile 2016

Nella valutazione complessiva della proporzionalità tra l'infrazione e la sanzione disciplinare irrogata rientra non solo l'illiceità in senso oggettivo della condotta, ma anche l'intensità o la tenuità dell'elemento psicologico del lavoratore. Tale operazione valutativa, compiuta dal giudice di merito nell'applicare le clausole generali come quella di cui all'art. 2106 c.c., che detta tipiche “norme elastiche”, non sfugge ad una verifica in sede di legittimità, sotto il profilo della correttezza del metodo seguito nell'applicazione della clausola generale, poiché l'operatività in concreto di norme di tale tipo deve rispettare criteri e principi desumibili dall'ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali e dalla disciplina particolare (anche collettiva) in cui la fattispecie si colloca.
Massima

Nella valutazione complessiva della proporzionalità tra l'infrazione e la sanzione disciplinare irrogata rientra non solo l'illiceità in senso oggettivo della condotta, ma anche l'intensità o la tenuità dell'elemento psicologico del lavoratore. Tale operazione valutativa, compiuta dal giudice di merito nell'applicare le clausole generali come quella di cui all'

art. 2106 c.c.

, che detta tipiche “norme elastiche” (ossia norme di limitato contenuto, delineanti un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama), non sfugge ad una verifica in sede di legittimità, sotto il profilo della correttezza del metodo seguito nell'applicazione della clausola generale, poiché l'operatività in concreto di norme di tale tipo deve rispettare criteri e principi desumibili dall'ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali e dalla disciplina particolare (anche collettiva) in cui la fattispecie si colloca.

Il caso

Un lavoratore si è reiteratamente assentato in giorno di domenica senza alcuna giustificazione, recandosi, invece, al lavoro nel giorno previsto come turno di riposo. In sostanza, sul presupposto che la domenica sia per un soggetto che pratica la fede cattolica un giorno destinato al culto e alla pratica religiosa, per cui il datore di lavoro non possa imporre unilateralmente al prestatore di lavorare in tale giorno, il lavoratore, in difformità con i turni prestabiliti dal datore di lavoro, ha riposato la domenica e lavorato nel giorno previsto come riposo.

Nell'azienda in questione il turno domenicale era stato introdotto in via sperimentale sin dal 1999, su base volontaria, e nel 2004 unilateralmente esteso ad altri reparti, tra cui quello ove era addetto il lavoratore.

Alcune organizzazioni sindacali avevano contestato l'introduzione del turno domenicale su base obbligatoria e proposto una iniziativa di protesta, invitando gli aderenti ad astenersi dal lavoro domenicale. La vicenda oggetto del giudizio si inserisce in tale contenzioso sindacale.

A seguito della condotta del prestatore il datore di lavoro ha applicato due sanzioni disciplinari, una della multa e un'altra della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per giorni uno.

Le questioni

La questione affrontata dalla Suprema Corte in materia di sanzione disciplinare riguarda non già la legittimità del rifiuto del lavoratore di prestare servizio nel turno domenicale, essendo pacifico che tale condotta integri un inadempimento, quanto la proporzionalità delle due sanzioni in concreto applicate rispetto alla gravità della condotta.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ha confermato la sentenza di appello che aveva ritenuto le due sanzioni applicate non proporzionate alla gravità della condotta valorizzando soprattutto la tenuità dell'elemento psicologico del lavoratore, desunta, nella fattispecie, da tre indici:

  • l'affidamento indotto dal comportamento aziendale, che aveva portato il lavoratore a ritenere che sarebbe stato mantenuto un atteggiamento di tolleranza riguardo alla mancata prestazione di lavoro domenicale;

  • l'atteggiamento collaborativo del lavoratore, consistente nell'offrire la prestazione lavorativa nel giorno di riposo settimanale;

  • l'inserimento della condotta all'interno di una più ampia iniziativa sindacale che aveva portato alla richiesta di non assegnare i lavoratori che lo richiedessero a turni domenicali per consentire l'esercizio del diritto di culto religioso, richiesta peraltro accolta dal datore di lavoro che aveva poi soppresso il turno domenicale.

Osservazioni

L'

art. 2106 c.c.

detta il principio in base al quale la sanzione disciplinare debba essere proporzionata alla gravità dell'inadempimento del lavoratore.

La proporzionalità della sanzione disciplinare costituisce, al pari della nozione di giusta causa, nozione che la legge, allo scopo di adeguare le norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo, configura con disposizioni, ascrivibili alla tipologia delle cosiddette clausole generali, di limitato contenuto e delineanti un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è, quindi, deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l'accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni e della loro concreta attitudine a far sussistere la proporzionalità tra infrazione e sanzione, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici (

Cass

.

, sez. lav., 26 aprile 2012, n. 6498

;

Cass., sez. lav., 2 marzo 2011, n. 5095

,

Cass., sez. lav., 13 dicembre 2010

n. 25144

).

Pertanto, premesso che il giudizio di proporzionalità tra sanzione disciplinare e addebito contestato è devoluto al giudice di merito, la cui valutazione non è censurabile in sede di legittimità, ove sorretta da motivazione sufficiente e non contraddittoria (

Cass., s

ez.

lav., 25 maggio 2012

n. 8293

), l'operazione valutativa compiuta dal giudice di merito nell'applicare le clausole generali come quella di cui all'

art. 2119

o all'art.

2106 c.c.

, che dettano tipiche "norme elastiche", non sfugge ad una verifica in sede di giudizio di legittimità, sotto il profilo della correttezza del metodo seguito nell'applicazione della clausola generale, poiché l'operatività in concreto di norme di tale tipo deve rispettare criteri e principi desumibili dall'ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali e dalla disciplina particolare (anche collettiva) in cui la fattispecie si colloca.

Nella valutazione complessiva della proporzionalità tra la sanzione disciplinare e la condotta del lavoratore, viene in rilievo non solo la illiceità in senso oggettivo e generale della condotta, ma anche la intensità dell'elemento psicologico del lavoratore nella sequenza dei singoli comportamenti (

Cass. 13 gennaio 2006,

n. 526

).

Non esiste alcun diritto del lavoratore di non rendere la propria prestazione in giorno di domenica, qualora richiesto dal datore di lavoro: pertanto, deve ritenersi illegittima la condotta del lavoratore il quale, per motivi religiosi legati al culto, si rifiuti di rendere la propria prestazione lavorativa in tal giorno.

Tuttavia, poiché ai sensi dell'

art. 2109, primo comma, c.c.

il giorno di riposo settimanale di regola deve coincidere con la domenica, il lavoro prestato nella giornata di domenica, anche nell'ipotesi di differimento del riposo settimanale in un giorno diverso, deve essere in ogni caso compensato con un quid pluris che, ove non previsto dalla contrattazione collettiva, può essere determinato dal giudice e può consistere anche in benefici non necessariamente economici, salva restando l'applicabilità della disciplina contrattuale collettiva più favorevole (

Cass., sez. lav., 20 settembre 2013,

n. 21626

). Il diritto dei lavoratori turnisti ad essere compensati per lo svolgimento dell'attività lavorativa nella giornata di domenica può essere soddisfatto, oltre che con supplementi di paga o con specifiche indennità, con l'attribuzione di vantaggi e benefici economici contrattuali di diversa natura (quale la concessione di un maggior numero di riposi), atteso che, da un lato, la penosità del lavoro domenicale - a seconda delle circostanze di fatto e delle particolari esigenze del lavoratore, da valutare peraltro nell'attuale contesto socio - economico - può anche essere eliminata o comunque ridotta mediante un sistema di riposi settimanali che, permettendone il recupero in forma continua e concentrata nel tempo, risulti suscettibile di reintegrare compiutamente le energie psicofisiche del lavoratore e che, dall'altro, l'attribuzione alla contrattazione collettiva di margini di flessibilità nella regolamentazione dei regimi dell'orario e dei riposi lavorativi discende da ripetuti riconoscimenti legislativi intesi, nel rispetto delle direttive comunitarie, alla modernizzazione della materia (

Cass., sez. lav., 8 novembre 2013, n. 25196

).

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