Procedimento disciplinare: il diritto all’audizione del lavoratore incolpato

Enrico Zani
21 Aprile 2017

Il datore di lavoro che intenda adottare una sanzione disciplinare nei confronti del dipendente non può omettere l'audizione del lavoratore incolpato che ne abbia fatto espressa ed inequivocabile richiesta contestualmente alla comunicazione – nel termine di cui all'art. 7, comma 5, L. 20 maggio 1970, n. 300 – di giustificazioni scritte, anche se queste appaiano già di per sè ampie ed esaustive. Una volta che l'espressa richiesta sia stata formulata dal lavoratore, deve reputarsi che la sua previa audizione costituisca in ogni caso indefettibile presupposto procedurale che legittima l'adozione della sanzione disciplinare, anche nell'ipotesi in cui il lavoratore, contestualmente alla richiesta di audizione a difesa, abbia comunicato al datore di lavoro giustificazioni scritte. Queste ultime, infatti, per il solo fatto che si accompagnino alla richiesta di audizione, sono ritenute dal lavoratore stesso non esaustive e destinate ad integrarsi con le giustificazioni ulteriori che lo stesso fornisca in sede di audizione.
Massima

Il datore di lavoro che intenda adottare una sanzione disciplinare nei confronti del dipendente non può omettere l'audizione del lavoratore incolpato che ne abbia fatto espressa ed inequivocabile richiesta contestualmente alla comunicazione – nel termine di cui all'art. 7, comma 5, L. 20 maggio 1970, n. 300 – di giustificazioni scritte, anche se queste appaiano già di per sè ampie ed esaustive.

Una volta che l'espressa richiesta sia stata formulata dal lavoratore, deve reputarsi che la sua previa audizione costituisca in ogni caso indefettibile presupposto procedurale che legittima l'adozione della sanzione disciplinare, anche nell'ipotesi in cui il lavoratore, contestualmente alla richiesta di audizione a difesa, abbia comunicato al datore di lavoro giustificazioni scritte.

Queste ultime, infatti, per il solo fatto che si accompagnino alla richiesta di audizione sono ritenute dal lavoratore stesso non esaustive e destinate ad integrarsi con le giustificazioni ulteriori che lo stesso fornisca in sede di audizione.

Il caso

In primo ed in secondo grado, i Giudici del merito avevano dichiarato l'illegittimità del licenziamento disciplinare irrogato ad un lavoratore, rilevando la violazione dell'art. 7, comma 5, Statuto dei Lavoratori.

Il provvedimento era stato assunto dal datore di lavoro senza avere sentito a difesa il dipendente incolpato, il quale, pur avendo fornito giustificazioni per iscritto, aveva esplicitamente domandato l'audizione.

La questione

Il datore di lavoro adiva la Cassazione sostenendo che, da un'attenta lettura dell'art. 7, L. 20 maggio 1970, n. 300, si potesse escludere ogni profilo d'illegittimità nel licenziamento irrogato.

Secondo la prospettazione del ricorrente, la norma porrebbe sullo stesso piano le giustificazioni scritte e quelle orali, non permettendo un cumulo tra le medesime, sicchè, per il datore di lavoro, sarebbe sufficiente ricevere, in una delle dette forme, le giustificazioni del dipendente incolpato per procedere all'inflizione della sanzione. L'opzione per una diversa interpretazione consentirebbe al lavoratore di assumere posizioni meramente defatigatorie.

Le soluzioni giuridiche

I Giudici di legittimità rigettano il ricorso in quanto infondato. La pronunzia in esame appare testimoniare il sempre maggiore consolidamento della posizione giurisprudenziale che considera l'audizione del lavoratore incolpato come un diritto non suscettibile di compressioni.

Com'è noto, l'art. 7, comma 2, Statuto dei Lavoratori vieta al datore di lavoro di applicare sanzioni disciplinari al lavoratore senza una previa contestazione scritta e senza “averlo sentito a sua difesa”; il successivo comma 5 precisa inoltre che il provvedimento disciplinare più grave del rimprovero non può intervenire “prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa”. La giurisprudenza di legittimità si è trovata più volte a decidere in quali modalità possa estrinsecarsi il diritto del lavoratore a discolparsi e in quali termini tale diritto interagisca con il periodo di cinque giorni nel quale sono precluse iniziative punitive datoriali.

Un primo, consistente orientamento, riconducibile alla risalente pronunzia della sezione lavoro, 16 gennaio 1992, n. 467, ritiene che la scelta dei modi e delle forme in cui difendersi sia sempre rimessa al lavoratore: fatta salva la possibilità di limitare le proprie esposizioni alla sola forma scritta, egli può, con una semplice richiesta in tal senso, esplicitare la propria facoltà di essere sentito oralmente.

Da ciò scaturisce il correlato dovere del datore di lavoro di procedere a tale adempimento. La presentazione di giustificazioni scritte, in altre parole, non “consuma” il diritto alla difesa del dipendente, poichè egli conserva la chance di essere udito se solo lo richiede. Diversamente, il diritto all'audizione non ricorre ove il lavoratore abbia scelto di tacere sul punto, preferendo – ad esempio – difendersi solamente con note scritte o con l'assistenza di un rappresentante sindacale.

La decisione della Cassazione da ultimo citata specificò che questa interpretazione dell'art. 7 dello Statuto dei Lavoratori, pienamente legittimata dal dato letterale della norma, non apre la via ad alcuna circoscrizione del potere disciplinare, spettando infatti pur sempre alla discrezionalità del datore di lavoro stabilire tempi e modi dell'audizione.

L'indirizzo interpretativo abbracciato nel 1992 ebbe riscontri in altre sentenze degli anni '90 (v. Cass. sez. lav., 20 gennaio 1998, n. 476; Cass. sez. lav., 6 luglio 1999, n. 7006) per poi essere messo in discussione agli inizi del nuovo millennio.

In un primo momento, con la decisione della sezione lavoro 16 settembre 2000, n. 12268 vennero puntualizzate dalla Suprema Corte alcune limitazioni al diritto all'ascolto del lavoratore. Con questo arresto, infatti, si precisò che l'esercizio delle citata facoltà doveva, in ogni caso, informarsi al principio di buona fede e risultare univoca, atta a tutelare l'affidamento del datore di lavoro.

In conseguenza di ciò, si considerò legittimo il provvedimento disciplinare elevato senza udire il dipendente che l'aveva sì richiesto, ma con formulazione ipotetica, eventuale, ponendo svariati limiti alla propria disponibilità (egli aveva presentato la richiesta solo il penultimo dei cinque giorni a sua disposizione ed aveva invocato la presenza del difensore, “libero” da altri impegni soltanto la mattina); ancora, la domanda d'audizione era stata svolta dopo aver già fornito esaurienti giustificazioni per iscritto.

Ancor più eterodossa fu la sentenza della sezione lavoro 23 marzo 2002, n. 4187 della Suprema Corte.

Questa pronunzia fonda le proprie argomentazioni sul rilievo per cui l'art. 7, L. n. 300/1970 non garantirebbe il diritto di difesa del lavoratore in ogni fase del procedimento disciplinare: in particolare, il comma 5 della norma non costituirebbe un termine di riflessione da osservare (da parte del datore di lavoro) in ogni caso, ma soltanto uno spazio lasciato al lavoratore per esporre le proprie giustificazioni, suscettibile di restringersi non appena quest'ultimo eserciti pienamente le proprie facoltà difensive.

Da qui la conclusione per cui non è possibile riconoscere un indiscriminato diritto del dipendente a difendersi oralmente, de visu. Secondo la Suprema Corte, occorre introdurre una differenziazione caso per caso, rimessa al Giudice del merito, ispirata ai criteri generali di buona fede e correttezza.

Pertanto, il datore di lavoro non risulta sempre tenuto a dar seguito alle richieste di audizione svolte dal lavoratore; un simile obbligo ricorre solo allorquando la domanda del dipendente non sia meramente dilatoria, equivoca, generica, immotivata e – soprattutto – quando non siano già state elaborate esaustive giustificazioni scritte.

La giurisprudenza di legittimità successiva all'arresto del 2002, tuttavia, tornò a muoversi nel solco interpretativo tracciato dal precedente del 1992.

Esemplare la sentenza della sezione lavoro, 2 maggio 2005, n. 9066, che ricalcò ampi passaggi della pronunzia di tredici anni più vecchia.

Sulla stessa linea la decisione della Cass. sez. lav., 22 marzo 2010, n. 6845, testimone dell'esplicito superamento della lettura dell'art. 7 Statuto dei Lavoratori proposta dalla medesima Corte nel 2002. I Giudici di legittimità cassarono, infatti, una pronunzia d'appello che, proprio richiamando la sentenza n. 4187/2002 della Suprema Corte, aveva ritenuto legittima l'omissione dell'audizione del lavoratore a fronte della presentazione di corpose difese scritte.

Addirittura, la pronunzia del 2010 definì “ambigua e foriera solo di incertezze” la distinzione effettuata dai Giudici di secondo grado. Conseguentemente, la Cassazione sostenne che il datore di lavoro che voglia applicare una sanzione disciplinare non può omettere l'audizione del lavoratore che ne abbia fatto espressa richiesta, a nulla rilevando che tale domanda venga avanzata unitamente a giustificazioni scritte di per sè esaustive. D'altro canto, venne precisato altresì che la domanda di audizione, per essere in grado di vincolare la controparte, dev'essere univoca, non meramente ipotetica o svolta in forma di riserva.

Sempre all'anno 2011 risalgono altre decisioni della sezione lavoro della Suprema Corte, schierate per l'opzione interpretativa da ultimo esaminata. Si veda, ad esempio Cass. sez. lav., 14 giugno 20011, n. 12978, inequivocabile nell'esplicitare come la richiesta di audizione del lavoratore che non sia ambigua od incerta non risulta sindacabile dal datore di lavoro in ordine alla sua effettiva idoneità difensiva.

Deriva ovviamente da ciò, ancora una volta, l'affermazione dell'obbligo di udire il dipendente che l'abbia chiesto, prima di assumere provvedimenti punitivi.

La successiva giurisprudenza di legittimità scelse di aderire all'orientamento originario, ribadito nel 2011. Si rinvengono così pronunzie che, dando per scontato l'obbligo datoriale di udire comunque il lavoratore, si soffermano sulle caratteristiche che la convocazione per l'audizione deve possedere per non essere qualificata come un inammissibile tentativo di eludere il disposto dello Statuto dei lavoratori.

Si consideri, tra le tante, Cass. sez. lav., 29 agosto 2014, n. 18462, un arresto che aprì alla convocazione del lavoratore anche al di fuori del posto e dell'orario del lavoro (ma sempre con formalità tali da non ledere il diritto alla difesa della controparte).

A chiusura di questa rapida carrellata di pronunzie di legittimità, appare interessante riportare alcuni passi della sentenza della sezione lavoro 10 luglio 2015, n. 14437, in una fattispecie di licenziamento disciplinare: “il lavoratore ha diritto, qualora ne abbia fatto richiesta, ad essere sentito oralmente dal datore di lavoro [...] una volta che l'espressa richiesta sia stata formulata dal lavoratore, la sua previa audizione costituisce in ogni caso indefettibile presupposto procedurale che legittima l'adozione della sanzione disciplinare anche nell'ipotesi in cui il lavoratore, contestualmente alla richiesta di audizione a difesa, abbia comunicato al datore di lavoro giustificazioni scritte”.

Si tratta, a sommesso avviso di chi scrive, di un'eloquente dimostrazione del consolidamento dell'opzione interpretativa che vede nell'esposizione orale delle proprie difese un diritto del lavoratore giammai sacrificabile dalla controparte datoriale.

Osservazioni

Concludendo, la sentenza in commento non si segnala per la novità del principio di diritto in essa enunciato ma testimonia la crescente affermazione di un già robusto indirizzo giurisprudenziale.

Il procedimento disciplinare – secondo quest'esegesi – non può prescindere dall'ascolto delle giustificazioni orali del lavoratore che abbia svolto una (non equivoca od ambigua) richiesta in tal senso, né il datore di lavoro può sottrarsi a tale dovere eccependo la completezza delle difese fornite per iscritto.

Guida all'Approfondimento
  • Di Paola, Luigi, Puntualizzazioni in ordine all'audizione del lavoratore nell'ambito del procedimento disciplinare e interrogativi su altre antiche e recenti questioni, in Riv. It. Dir. Lav., 2011, pp. 23 ss.
  • Martinucci, Giuseppe, Licenziamento disciplinare e modalità di esercizio del diritto del lavoratore alla difesa, in Riv. It. Dir. Lav., 2002, pp. 881 ss.

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