Applicabilità dell’art. 18 al rapporto di lavoro con datore avente natura pubblica
21 Luglio 2017
Massime
In caso di licenziamento illegittimo intimato dopo l'entrata in vigore della L. n. 92/2012, l'art. 18 della L. n. 300/70, nel testo modificato dalla medesima legge, si applica al rapporto di lavoro con enti aventi natura pubblica quando il rapporto stesso sia per legge di natura privatistica.
L'art. 18 co. IV riconosce la tutela reintegratoria in caso di insussistenza del fatto disciplinare contestato o di fatto cui le fonti collettive colleghino una sanzione solo conservativa; la sproporzione tra espulsione e fatto disciplinare rientra nelle “altre ipotesi” di non ricorrenza di giusta causa o giustificato motivo, cui l'art. 18 co. V accorda la mera tutela indennitaria. Il caso
Il dirigente medico di una Fondazione I.R.C.S.S. impugnava il licenziamento disciplinare intimato per una serie di condotte asseritamente ostative alla realizzazione di un progetto di riorganizzazione dell'unità organizzativa di cardiologia.
Il giudice del “rito Fornero” riteneva fondate solo due delle nove contestazioni mosse ed affermava che gli addebiti, pur configurando un inadempimento contrattuale disciplinarmente rilevante, non erano idonei a giustificare il licenziamento in tronco, previsto dalla contrattazione collettiva e dal TUPI per fattispecie più gravi, e neppure rientravano in ipotesi di applicazione di una sanzione meramente conservativa, sicchè pronunciava la risoluzione del rapporto di lavoro e la condanna del datore al pagamento di un'indennità risarcitoria.
La Corte d'Appello di Milano rigettava il reclamo del dirigente medico (che chiedeva il riconoscimento della più ampia tutela reintegratoria), confermando l'applicazione del co. V dell'art. 18, come novellato.
Il dirigente ha proposto ricorso per Cassazione deducendo -per quanto di interesse in questa sede- violazione e/o falsa applicazione dell'art. 18 co. IV L. n. 300/70, nel testo novellato dalla L. n. 92/2012, nella parte in cui la Corte territoriale ha negato la tutela reintegratoria, pur ritenendo sussistenti solo due addebiti i quali, per esser stati ridimensionati dall'istruttoria, rientrerebbero nell'alveo dell'irrilevanza disciplinare, con conseguente applicazione della tutela ex co. IV dell'art. 18 novellato. Con memoria ex art. 378 c.p.c. ha anche contestato l'applicabilità delle modifiche apportate all'art. 18 dalla L. n. 92/2012, stante la natura pubblica della Fondazione IRCCS.
Quest'ultima ha proposto ricorso incidentale con cui ha censurato la ritenuta sussistenza di due soltanto degli addebiti elevati al dirigente e l'esclusione da parte della Corte territoriale di una giusta causa di recesso. Le questioni
Le questioni affrontate dalla Cassazione sono due:
Le soluzioni giuridiche
Richiamando il D. Lgs. n. 288/2003 di “riordino della disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico”, la Corte ha evidenziato come l'art. 11 stabilisca espressamente che negli IRCCS di diritto pubblico trasformati in Fondazioni il “rapporto di lavoro del personale ha natura privatistica”, ed ha affermato che tale statuizione vale senz'altro ad escludere l'applicazione in via diretta al rapporto delle norme del TUPI.
Pertanto, trattandosi non di pubblico impiego contrattualizzato bensì di impiego privato tout court (nonostante la natura pubblicistica del datore di lavoro) non trovano spazio i principi affermati da Cass. sez. lav., 9 giugno 2016, n. 11868 sui limiti di applicabilità del nuovo art. 18.
Tale importante arresto è intervenuto nel dibattito scaturito dall'approvazione della legge Fornero, a proposito dell'applicabilità al pubblico impiego contrattualizzato della nuova disciplina delle tutele prevista dall'art. 18 novellato, giungendo ad escluderla sulla scorta di una serie di elementi testuali e sistematici, quali:
Nel caso di specie, nonostante la natura dell'ente, il rapporto di lavoro è esplicitamente dichiarato privatistico dalla legge e, pertanto, vi si applica senza dubbio il nuovo art. 18.
La sentenza ripercorre la giurisprudenza formatasi sul concetto di “insussistenza del fatto” contestato, che il nuovo co. IV pone a base della tutela massima accordabile.
Secondo Cass. sez. lav., 6 novembre 2014, n. 23669, il nuovo art. 18 ha tenuto distinta dal fatto materiale la sua qualificazione come giusta causa o giustificato motivo; e la reintegrazione trova ingresso in relazione alla verifica di sussistenza o meno del fatto materiale posto a base del licenziamento, cosicchè la verifica si esaurisce nell'accertamento, positivo o negativo, dello stesso fatto, che dovrà essere condotto, senza margini per valutazioni discrezionali, con riguardo alla individuazione della sussistenza del fatto nella sua materialità, con la conseguenza che “esula dalla fattispecie che è alla base della reintegrazione ogni valutazione della proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità del fatto addebitato”.
Tale pronuncia è stata in seguito “integrata” sotto l'aspetto di come intendere la “insussistenza del fatto”, se cioè come insussistenza del mero fatto materiale o del fatto giuridico, giungendo la S.C. via via ad affermare che il concetto debba comprendere anche il fatto sussistente ma privo di qualsiasi illiceità o rilevanza giuridica, tanto da essere inapprezzabile sotto il profilo disciplinare (Cass. sez. lav., 13 ottobre 2015, n. 20540); il fatto non imputabile al lavoratore (Cass. sez. lav., 16 giugno 2016, n. 10019); il fatto che presupponga anche un elemento materiale (come la gravità del danno) che diventa elemento costitutivo del fatto materiale (Cass. sez. lav., 13 ottobre 2015, n. 29545).
Ora, secondo la pronuncia in commento, così ricostruita la fattispecie dell'insussistenza del fatto comportante la massima tutela reintegratoria, l'unico spazio concesso alla proporzionalità della sanzione alla gravità della condotta, ai fini del riconoscimento della tutela massima accordata dal co. IV, è quella dell'espressa previsione nei contratti collettivi ovvero nei codici disciplinari applicabili della punibilità della condotta con una sanzione meramente conservativa.
Al di fuori di tale ultimo caso, chiosa la sentenza in commento, <<la sproporzione tra la condotta e la sanzione espulsiva rientra nelle “altre ipotesi” in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa, per le quali il V comma dell'art. 18 prevede la tutela indennitaria forte“.
In pratica, secondo la S.C., la novella del 2012 ha introdotto una graduazione delle ipotesi di illegittimità della sanzione espulsiva dovuta a motivi disciplinari, così schematizzabile: (a) insussistenza del fatto giuridico o (b) previsione di una sanzione meramente conservativa da parte delle fonti collettive = tutela reintegratoria ex co. IV; (c) sussistenza del fatto ma sproporzione tra condotta e sanzione espulsiva, in difetto di specifiche statuizioni delle fonti collettive = tutela indennitaria ex co. V. Osservazioni
La soluzione della questione più generale sembra tuttavia fatalizzata e difficilmente ribaltabile; appaiono, invero, convincenti le argomentazioni spese dalla citata Cass. civ., sez. IV, n. 11686/2016 per affermare che le modifiche apportate all'art. 18 non sono estensibili al pubblico impiego privatizzato.
In attesa dell'intervento armonizzatore del legislatore, resta, naturalmente, aperta la via del un ricorso alla Corte Costituzionale del lavoratore privato che lamenti una disparità di trattamento rispetto al dipendente pubblico, non dovendo però sottovalutarsi le numerose peculiarità del rapporto di pubblico impiego, in grado di rendere non irragionevole la diversità di trattamento.
Spicca la volontà del legislatore di ridimensionare le conseguenze per il datore di lavoro del sindacato giudiziale sulla proporzionalità della sanzione disciplinare espulsiva rispetto alla gravità dell'infrazione.
Non potendo eliminare del tutto una prerogativa prevista dall'art. 2106 c.c. come contrappeso al potere disciplinare del datore di lavoro [“L'inosservanza delle disposizioni contenute nei due articoli precedenti (obbligo di diligenza e di fedeltà) può dar luogo all'applicazione di sanzioni disciplinari secondo la gravità dell'infrazione ….], il legislatore è intervenuto sui suoi effetti, stabilendo per la generalità dei licenziamenti disciplinari privi di giusta causa o giustificato motivo soggettivo una tutela meramente indennitaria, con le eccezioni del fatto insussistente e di quello sussistente ma ritenuto meritevole di sanzione conservativa dalla normativa contrattuale, unici casi nei quali è riconosciuta la tutela reintegratoria.
Si tratta, peraltro, di un trend proseguito con l'art. 3 co. 2 della L. n. 23/2015, sul c.d. contratto a tutele crescenti. |