Simulazione fraudolenta della malattia
19 Agosto 2016
Con sentenza del 16 agosto 2016 n. 17113, la Corte di Cassazione ha affermato che le certificazioni mediche possono essere contestate dal datore di lavoro attraverso la valorizzazione di ogni circostanza di fatto volta a dimostrare l'insussistenza dalla malattia o quantomeno uno stato di incapacità lavorativa tale da giustificare l'assenza.
Il caso sottoposto all'esame della Corte di Cassazione riguarda un licenziamento per giusta causa per una “simulazione fraudolenta della malattia”.
Il dipendente aveva tenuto infatti un comportamento palesemente incompatibile con la patologia “lombalgia” che risultava dai certificati medici. Il datore di lavoro incaricava un'agenzia investigativa per accertare l'attendibilità di quanto risultava dalla suddetta certificazione medica.
La Corte, in continuità con quanto già precedentemente espresso, rileva che le certificazioni mediche possono essere contestate dal datore di lavoro attraverso la valorizzazione di ogni circostanza di fatto volta a dimostrare l'insussistenza dalla malattia o quantomeno uno stato di incapacità lavorativa tale da giustificare l'assenza.
La Cassazione ribadisce altresì che il datore di lavoro può avvalersi delle agenzie investigative quando ci sia un solo sospetto che illeciti siano in corso di esecuzione.
L'unico motivo del ricorso che la Corte ritiene fondato riguarda la violazione del termine previsto dalla contrattazione collettiva per la irrogazione del provvedimento disciplinare. Da ciò deriva che, nel regime di tutele graduate dall'art. 18 della legge n. 300 del 1970, come modificata dalla l. n. 92 del 2012 applicabile al caso di specie, la violazione delle previsione della contrattazione collettiva che prevede un termine per l'adozione del provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare, è idonea a integrare una violazione della procedura dei cui all'art. 7 della l. n. 300/70 con conseguente operatività della tutela prevista dal sesto comma dell'art. 18 della stessa legge, come novellato.
Benché il rapporto sia comunque risolto, al lavoratore spetta un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei mesi ed un massimo di dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. |