Annullabilità delle dimissioni per vizi del consenso
25 Febbraio 2015
In quali casi le dimissioni rassegnate dal lavoratore possono celare un vizio di consenso e conseguentemente essere dichiarate nulle? Le dimissioni rassegnate dal lavoratore in stato di incapacità naturale ovvero viziate da errore, violenza o dolo, sono annullabili. La violenza morale può variamente atteggiarsi, fermo restando che deve essere specificamente diretta ad estorcere le dimissioni (Cass. 18 agosto 2004, n. 16179; Cass. 14 agosto 2004, n. 15926; Cass. 26 maggio 1999, n. 5154). Al contrario, sono state ritenute non viziate le dimissioni conseguenti alla minaccia di un provvedimento disciplinare, quando tale minaccia non sia finalizzata a ottenere il recesso del dipendente (Cass. 4 maggio 1979, n. 2567). È inoltre considerato lecito favorire le dimissioni - da parte del datore di lavoro - offrendo un incentivo economico ai dipendenti che decidano di rassegnarle entro un certo termine (Cass. 22 gennaio 1994, n. 600). Quanto all'incapacità naturale, perché possa rilevare come causa di annullamento delle dimissioni, non è necessario che si abbia totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, ma è sufficiente che tali facoltà risultino diminuite in modo tale da impedire od ostacolare una seria valutazione dell'atto e la formazione di una volontà cosciente circa la valenza dell'atto che sta per compiersi (Cass. 14 maggio 2003, n. 7485). In questo senso anche lo stato di temporaneo turbamento psichico dovuto a una sindrome ansioso-depressiva può legittimare la richiesta di annullamento delle dimissioni (Cass. 15 gennaio 2004, n. 515). Dall'annullamento delle dimissioni per vizio del consenso deriva il ripristino del rapporto di lavoro. |