Licenziamento per GMO: obbligo di comparazione con altre sedi aziendali

22 Marzo 2017

Nelle ipotesi di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, in conseguenza della soppressione della posizione lavorativa presso una delle sedi aziendali, la legittimità del recesso è condizionata alla sola verifica della effettività della esigenza di riduzione del personale e del rapporto di causalità tra tale esigenza ed il licenziamento concretamente operato, sicché una questione di comparazione con altre sedi si pone nei soli casi in cui l'esigenza di riorganizzazione aziendale sia potenzialmente riferibile ad una pluralità di posizioni di lavoro e non anche, invece, su base territoriale.
Massime

Nelle ipotesi di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, in conseguenza della soppressione della posizione lavorativa presso una delle sedi aziendali, la legittimità del recesso è condizionata alla sola verifica della effettività della esigenza di riduzione del personale e del rapporto di causalità tra tale esigenza ed il licenziamento concretamente operato, sicché una questione di comparazione con altre sedi si pone nei soli casi in cui l'esigenza di riorganizzazione aziendale sia potenzialmente riferibile ad una pluralità di posizioni di lavoro e non anche, invece, su base territoriale.

Nei casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il datore ha l'onere di provare che al momento del licenziamento non sussisteva alcuna posizione a cui il lavoratore avrebbe potuto essere assegnato per l'espletamento di mansioni equivalenti, ovvero di avere prospettato al lavoratore, la possibilità di essere adibito a mansioni inferiori, ove rientranti nel bagaglio professionale del lavoratore e compatibili con l'assetto organizzativo senza, tuttavia, ottenerne il consenso.

Il caso

Un lavoratore ha agito in giudizio impugnando il licenziamento intimato per la soppressione della sua posizione di unico manutentore presso la sede aziendale, lamentando la violazione dei criteri di scelta e deducendo la possibilità di un reimpiego alternativo in mansioni equivalenti o inferiori.

Tra le doglianze, il ricorrente evidenziava di avere appreso solamente nel corso dell'istruttoria della circostanza, omessa del tutto nella comunicazione di licenziamento, che la società aveva provveduto all'esternalizzazione della funzione di manutentore solo in alcune sedi aziendali.

La domanda, accolta in primo grado, è stata respinta dalla Corte d'Appello. È risultato accertato che la società aveva provveduto ad esternalizzare l'attività svolta dal ricorrente solamente presso il punto vendita cui lo stesso risultava adibito.

Ad avviso della Corte d'Appello il ricorrente non aveva assolto all'onere, posto a suo carico, di allegare gli elementi in base ai quali la scelta fosse in contrasto con i criteri di correttezza e buona fede; la soppressione della specifica posizione ricoperta dal ricorrente, inoltre, escludeva la violazione dei criteri di scelta, posto che la riorganizzazione determinava in via diretta l'estromissione del lavoratore, senza alcun margine discrezionale. Non si poneva, nel caso di specie, l'obbligo di comparazione, richiesto, viceversa, nel caso di licenziamento collettivo.

Le questioni

La pronuncia in commento offre l'occasione per una breve riflessione sul temi dei criteri di scelta e dell'onere di ricollocazione in ipotesi di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, in particolare, sotto il profilo degli oneri di allegazione e probatori, del rispetto dei criteri di correttezza e buona fede ed, infine, dell'ambito in riferimento al quale occorre valutare l'inutilizzabilità del lavoratore licenziato.

Le soluzioni giuridiche

Il datore di lavoro, per effettuare un licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo che superi il vaglio di legittimità, deve procedere attraverso due distinte fasi.

La prima di queste è diretta all'individuazione delle ragioni oggettive, ovvero tecniche, organizzative e produttive, della posizione lavorativa da sopprimere, nonché del nesso di causalità tra le predette ragioni e la scelta del lavoratore licenziato. In relazione a tale fase, ove chiamato in giudizio, il datore avrà l'onere di dimostrare, innanzitutto, sia la sussistenza delle motivazioni addotte che giustificano la riorganizzazione (per tutte v. Cass. sez. lav., 14 maggio 2012, n. 7474), sia il nesso causale tra le predette ragioni e il licenziamento intimato (Cass. sez. lav., 9 luglio 2001, n. 9310, Mass. giur. lav., 2001, 1241 con nota di Ogriseg).

In proposito la giurisprudenza di legittimità ha da tempo affermato che, ove le ragioni dell'impresa implichino un riassetto dell'organizzazione aziendale che riguardi più lavoratori con prestazioni di lavoro fungibili, non è sufficiente per il datore fornire la prova della sussistenza delle ragioni e del nesso di causalità, ma è tenuto, altresì, a dimostrare che la selezione tra i vari lavoratori interessati sia avvenuta con applicazione analogica dei criteri previsti dall'art. 5, Legge n. 223/1991, quali i carichi di famiglia e l'anzianità (Cass. sez. lav., 11 aprile 2004, n. 11124, in Riv. giur. lav. 2005, II, 273 - nota di Salvagni; Cass. sez. lav., 7 dicembre 2016, n. 25192).

In relazione, quindi, all'individuazione della posizione lavorativa da sopprimere e, dunque, del lavoratore da licenziare fra più lavoratori occupati in posizione di piena fungibilità, il datore avrà l'onere di dimostrare di avere rispettato le regole di correttezza e buona fede di cui all'art. 1175 c.c.

La seconda fase richiesta, ai fini della legittimità del licenziamento, postula che il datore, una volta individuato il lavoratore o i lavoratori da licenziare, cerchi una sua (o una loro) ricollocazione all'interno dell'azienda.

In giudizio il datore ha, sotto tale profilo, l'onere di dimostrare anche l'impossibilità di adibire utilmente il lavoratore a mansioni diverse da quelle originariamente svolte, cd. repêchage.

Tale impostazione, pur partendo dal principio dell'insindacabilità della scelta del datore di lavoro ai sensi dell'art. 41 Cost., si basa sul presupposto che il licenziamento è giustificato solo in quanto extrema ratio (per tutte v. Cass. sez. lav., 26 marzo 2010, n. 7381; Cass. sez. lav., 20 maggio 2009 n. 11720).

Con riguardo alla questione dell'ambito territoriale su cui deve essere effettuata la verifica dell'inutilizzabilità del lavoratore, un indirizzo risalente ha affermato che, in ipotesi di licenziamento di una pluralità di lavoratori per giustificato motivo oggettivo, l'onere del datore di lavoro va assolto con riferimento a tutte le sedi dell'attività aziendale, essendo, viceversa, sufficiente la limitazione all'azienda cui erano addetti i lavoratori licenziati solo nel caso di preliminare rifiuto dei medesimi a trasferirsi altrove (Cass. sez. lav., 3 giugno 1994, n. 5401, in DL Riv. critica dir. lav. 1995, 190 - nota di Muggia. Nello stesso senso, in fattispecie di licenziamento di un solo lavoratore, Cass. sez. lav., 23 ottobre 1996, n. 9204; Cass. sez. lav., 26 ottobre 1996, n. 9369).

L'ampiezza dell'ambito di ricerca di un'utile ricollocazione è chiaramente espressa da Cass. sez. lav., 15 luglio 2010, n. 16579, in DL Riv. critica dir. lav., 2010, 3, 857 (nota di Bordone), secondo cui, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l'impossibilità di impiego in un'altra posizione deve essere provata dal datore di lavoro con riferimento a tutte le sedi o articolazioni dell'impresa, comprese quelle collocate all'estero.

Con riguardo, invece, al diverso profilo dell'ampiezza dell'onere probatorio posto a carico del datore di lavoro per il cd. repêchage, la pronuncia in esame afferma che il datore, non solo, deve dimostrare di non avere potuto assegnare il lavoratore licenziato a mansioni equivalenti, ma anche di avergli prospettato la possibilità di essere adibito a mansioni inferiori, rientranti nel bagaglio professionale del lavoratore e compatibili con l'assetto organizzativo, senza ottenerne il consenso. Il principio espresso è in linea con quanto di recente affermato da Cass. sez. lav., 8 marzo 2016, n. 4509.

In relazione al patto di demansionamento, Cass. sez. lav., 18 marzo 2009, n. 6552 ha affermato la necessità che il patto di demansionamento sia coevo o antecedente al licenziamento, poiché le condizioni che legittimano il licenziamento per giustificato motivo oggettivo devono sussistere ed essere verificate alla data del licenziamento stesso e non possono consistere in fatti o manifestazioni di volontà sopravvenuti.

Tale indirizzo si è, poi, evoluto con Cass. sez. lav., 19 novembre 2015, n. 23698, secondo cui l'art. 2103 c.c. deve essere interpretato alla stregua del bilanciamento del diritto del datore di lavoro a perseguire un'organizzazione aziendale produttiva ed efficiente e quello del lavoratore al mantenimento del posto, in coerenza con la "ratio" di numerosi interventi normativi, quali l'art. 7, comma 5, D.Lgs. n. 151/2001, l'art. 1, comma 7, L. n. 68/1999, l'art. 4, comma 11, D.Lgs. n. 223/1991 anche come da ultimo riformulato dall'art. 3, comma 2, D.Lgs. n. 81/2015.

Da tale impostazione la S.C. ha tratto la conclusione che, ove il demansionamento rappresenti l'unica alternativa al recesso datoriale, non è necessario un patto di demansionamento o una richiesta del lavoratore in tal senso anteriore o contemporanea al licenziamento, ma è onere del datore di lavoro, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, prospettare al dipendente la possibilità di un reimpiego in mansioni inferiori compatibili con il suo bagaglio professionale. Sulla medesima scia si è posta la pronuncia in commento.

Occorre segnalare, infine, il contrasto tra due orientamenti della S.C. con riferimento all'esistenza o meno di un onere di allegazione del lavoratore circa la possibilità di ricollocazione, questione che si rivebera sull'ampiezza dell'onere probatorio posto a carico del datore di lavoro.

In particolare, secondo Cass. sez. lav., 16 maggio 2016, n. 10018 in caso di licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore, questi è tenuto ad allegare l'esistenza di altri posti di lavoro presso cui poter essere ricollocato, inclusi quelli determinanti una dequalificazione, e a manifestare la disponibilità a ricoprire le mansioni di livello inferiore, anche in altre unità produttive, mentre sul datore grava l'onere di provare, solo nei limiti delle allegazioni della controparte, l'impossibilità di assegnarlo a mansioni diverse.

Tale pronuncia si pone nel solco tracciato da Cass. sez. lav., 10 ottobre 2005, n. 19686, in Resp. civ. e prev., 2006, 2, 262 (nota di Bertoncini); Cass. sez. lav., 22 luglio 2009, n. 22417; Cass. sez. lav., 8 febbraio 2011, n. 3040; Cass. sez. lav., 3 marzo 2014 n. 4920.

Di diverso avviso è Cass. sez. lav., 22 marzo 2016, n. 5592 (in Ilgiuslavorista.it, 2016, 15 settembre - nota di Pagni, Diritto delle Relazioni Industriali 2016, 3, 842 -nota di Ferraresi), secondo cui spetta al datore di lavoro l'allegazione e la prova dell'impossibilità di "repêchage" del dipendente licenziato, in quanto requisito di legittimità del recesso datoriale, senza che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili, essendo contraria agli ordinari principi processuali una divaricazione tra i suddetti oneri.

La sentenza da ultimo richiamata segue l'orientamento espresso da Cass. sez. lav., 5 marzo 2015 n. 4460, secondo cui l'indicazione - da parte del lavoratore che si sia fatto parte diligente - di un posto di lavoro alternativo a lui assegnabile, o l'allegazione di circostanze idonee a comprovare l'insussistenza del motivo oggettivo di licenziamento, non comporta l'inversione dell'onere della prova.

Osservazioni

La pronuncia in commento risponde alla questione, sollevata dal lavoratore, relativa alla corretta applicazione del criterio di scelta. In particolare, chiarisce la Suprema Corte che, nella fase dell'individuazione dell'unico lavoratore da licenziare, qualora il riassetto riguardi una sola sede aziendale, la scelta del lavoratore non implica per il datore un onere di comparazione con le posizioni di altri lavoratori, svolgenti mansioni equivalenti, presso le diverse sedi aziendali.

In tal caso non si tratta di violazione delle regole di correttezza e buona fede nell'applicazione dei criteri di scelta, in quanto non si pone la necessità di operare una scelta. In altri termini, non viene in rilievo la questione relativa al rispetto dei criteri di correttezza e buona fede, cadendo la scelta imprenditoriale proprio su una specifica posizione lavorativa.

Obbligo che, viceversa, sussiste in ipotesi di licenziamento collettivo, ove la riduzione del personale investe l'intero complesso aziendale o, a talune condizioni, solo alcuni rami aziendali, ed è preceduta da una comunicazione nella quale il datore di lavoro esplicita sia le ragioni per cui limita i licenziamenti ad alcune unità produttive, sia le ragioni per le quali non ritiene di ovviare ad alcuni licenziamenti con il trasferimento ad unità produttive geograficamente vicine.

Il quadro giurisprudenziale sopra richiamato chiarisce che, nel licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, allorché si tratti di accertare la correttezza dell'applicazione dei criteri di scelta, l'ambito della verifica giudiziale è diverso a seconda che vi sia la soppressione di una specifica posizione lavorativa, ovvero una questione di scelta fra più lavoratori occupati in posizione di piena fungibilità nella medesima.

Nel primo caso, non occorre un verifica circa il rispetto dei principi di correttezza e buona fede, cadendo la scelta imprenditoriale su un'unica posizione lavorativa, occupata da un singolo lavoratore; nel secondo caso, viceversa, tale verifica è necessaria e, a tal fine, utile parametro è costituito dai criteri forniti dall'art. 5, Legge n. 223/1991, quali i carichi di famiglia e l'anzianità.

Sotto il diverso profilo dell'ambito territoriale di verifica dell'esistenza effettiva delle ragioni addotte e del nesso di causalità tra queste ultime e il/i lavoratori licenziati, il controllo sulla legittimità dell'individuazione della o delle posizioni lavorative da sopprimere è limitato alla sola sede interessata al riassetto organizzativo, indistintamente sia nel licenziamento individuale, sia nel licenziamento plurimo oggettivo.

In tali ipotesi, occorre precisare che la verifica del rispetto dei criteri di correttezza e buona fede si pone solo ove nella sede aziendale interessata vi sia una pluralità di lavoratori adibiti a mansioni fungibili.

Per quanto riguarda, invece, il repêchage, l'indagine dovrà essere, viceversa, compiuta sull'intero complesso aziendale.

Interessante è notare, infatti, come, ai fini del controllo circa la possibilità di riallocazione del lavoratore licenziato, l'ambito di verifica giudiziale raggiunge la massima estensione territoriale. Sotto questo profilo la S.C. ha, infatti, imposto a carico del datore un onere di prova di impossibilità di ricollocazione con riferimento a tutte le sedi aziendali, comprese quelle all'estero.

Nel licenziamento collettivo, viceversa, è la stessa legge che impone, per l'individuazione delle unità da licenziare, una comparazione tra i lavoratori occupati nell'intero complesso aziendale.

L'art. 5, comma 1, L. n. 223/1991, rubricato, appunto, "Criteri di scelta ed oneri per le imprese", dispone, infatti, che l'individuazione dei lavoratori da licenziare debba avvenire in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale.

Il riferimento espresso al complesso aziendale, assente nella disciplina del licenziamento individuale, rafforza le ragioni del differente ambito territoriale di verifica evidenziato dalla giurisprudenza sopra richiamata per il licenziamento individuale.

Con riferimento alla seconda massima, la sentenza in commento affronta la spinosa questione della ripartizione dell'onere di allegazione e prova in ordine al cd. repêchage sotto il profilo della possibilità di adibizione a mansioni inferiori, per confermare l'orientamento espresso dalla S.C., sopra richiamato.

Il datore di lavoro ha, dunque, l'onere di allegare e poi dimostrare di avere preventivamente prospettato al lavoratore un impiego in mansioni inferiori, ove rientranti nel suo bagaglio professionale e che siano compatibili con l'assetto organizzativo aziendale.

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