Assistenza disabile e trasferimento lavoratore: quale esigenza prevale?

La Redazione
20 Giugno 2017

La Cassazione, con sentenza n. 12729/2017, ribadisce che il trasferimento del lavoratore è vietato anche quando la disabilità del familiare, che egli assiste, non si configuri come grave, a meno che il datore di lavoro, a fronte della natura e del grado di infermità psico-fisica di quello, provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive e urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte.

Una lavoratrice chiedeva di dichiarare l'illegittimità del provvedimento aziendale che disponeva il suo trasferimento, con conseguente ordine di reintegra nel posto precedentemente occupato. Soccombente nei primi due gradi di giudizio, ricorreva per la cassazione della pronuncia, denunciando la mancata valorizzazione del disagio personale e familiare provocato dallo spostamento, vista l'assistenza prestata al familiare disabile.

La Suprema Corte, con sentenza n. 12729/2017, ribadisce il principio secondo cui “la disposizione dell'art. 33, co. 5, L. n. 104 del 1992, laddove vieta di trasferire, senza consenso, il lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile convivente, deve essere interpretata in termini costituzionalmente orientati in funzione della tutela della persona disabile, sicché il trasferimento del lavoratore è vietato anche quando la disabilità del familiare, che egli assiste, non si configuri come grave, a meno che il datore di lavoro, a fronte della natura e del grado di infermità psico-fisica di quello, provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive e urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte”.

Avendo la Corte d'Appello ritenuto sussistenti tali esigenze aziendali effettive, in considerazione della soppressione del posto cui la lavoratrice era in precedenza assegnata, la Cassazione rigetta il ricorso.

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